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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.01.2018 La politica estera della UE flirta con le dittature
Analisi di Angelo Panebianco (fuori luogo però le critiche a Trump)

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 gennaio 2018
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «L'Europa vicina ai regimi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/01/2018, a pag.1/28 l'editoriale di Angelo Panebianco dal titolo " L'Europa vicina ai regimi "

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L'analisi di Angelo Panebianco è come sempre lucida e controcorrente, peccato - come avevamo già segnalato in merito a un suo precedente articolo- non abbia resistito a criticare, anche lui come quasi tutti, Trump. E' diventato una specie di salvacondotto per chi non se la sente di affermare le proprie opinioni, forse per timore di passare per filo-trumpiano. In questo modo può tornare utile pore dire "ma io ho criticato Trump!" ed evitare così ogni contestazione.

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Angelo Panebianco

E' una tesi da tanti condivisa quella secondo cui l'Europa non avrebbe una politica estera comune. Ma è una tesi errata. L'errore dipende dal fatto che tutte le volte in cui gli Stati membri della Ue scoprono di avere interessi vitali in rotta di collisione fra loro (dai contenziosi sulla distribuzione dei migranti alla sorda lotta a coltello fra Italia e Francia sul presente e il futuro della Libia), quella politica estera comune viene meno temporaneamente. Ma essa poi ricompare quando non ci sono vitali interessi nazionali in conflitto. Il fatto che non possa piacere a chiunque abbia a cuore la libertà e le sue sorti, non la rende meno reale. Si tratta di una politica estera che nasconde, sotto la retorica del rispetto dei diritti umani, una scelta strategica: ricercare a tutti i costi l'appeasement, l'accomodamento, con i regimi nemici dei diritti umani. Precisiamo che non ci sono tracce né intenzioni di moralismo nelle considerazioni che seguono. Sono le conseguenze politiche che qui interessano. Si consideri quanto sia stata differente la reazione dell'Europa sulla questione di Gerusalemme e su quella della rivolta antiregime in Iran. Nel primo caso, immediata, vibrante e solenne condanna della mossa di Trump. Nel secondo caso, solo qualche farfugliamento sulla necessità che l'Iran rispetti i diritti umani (che è un po' come consigliare a un carnefice di fare almeno una carezza alle sue vittime). Spiace dirlo ma, per lo meno in questa fase, le dichiarazioni del «ministro degli Esteri europeo» Federica Mogherini (lo confermano anche le proteste dei dissidenti per ciò che ella ha detto o non detto, a nome della Ue, nella sua visita a Cuba), rappresentano piuttosto fedelmente questa politica. La condanna europea della scelta di Trump di spostare l'ambasciata a Gerusalemme non poteva essere più netta. L'Europa si è disinteressata del quadro strategico in cui è maturata la scelta americana. Un quadro strategico in cui, tra Libano, Siria, Striscia di Gaza, preme ormai sui confini di Israele una potenza in fortissima ascesa: quell'Iran il cui regime ha fatto dell'aspirazione alla distruzione dello Stato di Israele una componente della propria «ragione sociale», della propria ideologia, nonché la principale carta che esso gioca per accreditarsi agli occhi dell'opinione pubblica araba, per ridurne le ostilità nei propri confronti. Si consideri inoltre che un altro attore cruciale per gli equilibri della regione, la Turchia, pur essendo ancora membro della Nato, ha ormai fatto un'irreversibile scelta antioccidentale (e ciò non può non avere ricadute anche sui suoi rapporti con Israele). La decisione americana, oltre a dare attuazione a una deliberazione del Congresso risalente al 1995, è servita a ribadire in tali circostanze l'impegno degli Stati Uniti al fianco di Israele. L'Europa, preoccupata di compiacere i nemici dello Stato ebraico, ha finto di ignorare questi dati di fatto. In ogni caso, a tanto malriposto zelo europeo su Gerusalemme non è seguito altrettanto zelo a sostegno della protesta antiregime in Iran (come ha osservato Franco Venturini su questo giornale l'11 gennaio). Non c'è stato neppure un rinvio dell'incontro a Bruxelles (11 gennaio) fra il ministro degli Esteri iraniano e i rappresentanti europei sul dossier nucleare. Secondo l'avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh (Corriere, 8 gennaio), la flebile reazione europea di fronte ai fatti iraniani avrà conseguenze nefaste: renderà molto più facile per il regime liquidare fisicamente (e, il più possibile, silenziosamente) gli oppositori. Esiste dunque una politica estera comune europea ma non è precisamente quella che sognavano gli europeisti agli albori dell'avventura comunitaria. E la politica estera di una «Europa invertebrata» che mentre si allentano i legami transatlantici (fra Stati Uniti ed Europa) punta a stabilire connessioni sempre più strette con un ampio ventaglio di regimi illiberali, a cominciare dal più ingombrante di tutti, quello russo. L'idea è che più pericolosi sono e più vanno blanditi. Finita la guerra fredda, per almeno un decennio, Stati Uniti ed Europa, di concerto, hanno favorito ovunque possibile l'affermazione di democrazie e la costruzione di mercati aperti. Era una fase in cui c'era una certa coerenza fra la politica estera praticata dai Paesi occidentali e la loro natura di società libere. Tutto ciò è finito da un pezzo. Le coerenze sono saltate. Ciò che è imperdonabile in Donald Trump è che egli abbia fornito il migliore alibi che si potesse immaginare per l'intensificazione di quell'antiamericanismo che era già presente, e anche molto forte in Europa da gran tempo, e che, a causa sua, ha ora la scusa (come ha osservato Paolo Mieli su questo giornale il 28 dicembre) per manifestarsi senza più remore. Contrariamente a quanto dicono alcuni, forse sprovveduti (o forse troppo furbi), ciò non significa che l'Europa, liberandosi della tutela americana, diventerà finalmente «padrona del proprio destino». Invece, si predisporrà a entrare nell'area di influenza russa. Naturalmente, al momento, i giochi sono ancora, almeno in parte, aperti. Se l'allentamento in atto dei legami con gli Stati Uniti, la crescente indifferenza per le sorti di Israele (anche a causa del riemergere di sentimenti antisemiti in Europa), i rapporti che si desiderano sempre più stretti e amichevoli con la Russia e i suoi alleati autoritari — come l'Iran, per l'appunto —, spingono in una direzione, c'è pur sempre ancora la Nato (Trump permettendo), ci sono pur sempre i legami storici, non smantellabili in un giorno, fra le varie componenti di quella che un tempo era conosciuta come «società occidentale». Però c'è anche una forza inerziale che sta dividendo e allontanando le parti di quella società. Se la scelta di riposizionarsi internazionalmente diventerà definitiva, forse l'Europa un giorno scoprirà quali ne siano le ricadute più spiacevoli, gli effetti negativi di quel riposizionamento sulle proprie libertà.

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