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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.12.2017 Gerusalemme come la vorrebbe il Vaticano. Se lo scordi.
Gian Guido Vecchi intervista il Cardinale Parolin

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 dicembre 2017
Pagina: 19
Autore: Gian Guido Vecchi
Titolo: «Gerusalemme città di pace ma solo con il dialogo diretto»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/12/2017, a pag.19, con il titolo "Gerusalemme città di pace ma solo con il dialogo diretto" l'intervista di Gian Guido Vecchi a Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano.

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Il cardinale Pietro Parolin

Nell'intervista, il Cardinale Parolin afferma "«Gerusalemme è una città unica e sacra per ebrei, cristiani e musulmani. Dovrebbe avere uno statuto speciale che ne faccia una "città aperta", offra assicurazioni di libertà religiosa per i membri delle tre religioni che condividono i luoghi santi e permetta l'accesso ai pellegrini. II cuore della proposta, quindi, è quello di uno statuto speciale garantito internazionalmente». Vale a dire la situazione attuale, dopo secoli di dominio islamico, in cui nessuna delle richieste di Parolin trovava riscontro.
L'atteggiamento del Vaticano rivela ancora una volta come, dietro a queste affermazioni retoriche, ci sia in realtà la volontà di sottrarre a Israele la sua capitale. Parolin non è uno sprovveduto, sa benissimo che una volta sottratta Gerusalemme a Israele, si tornerebbe all'antico regime, una città divisa, esattamente il contrario di ciò che è oggi: una città dove tutte le fedi hanno gli stessi diritti,doveri e rispetto, in una condizione di libertà totale.
E' questo che il Vaticano ritiene indigesto da 2.000 anni. Se ne faccia una ragione, gli ebrei, ritornati ad essere israeliani, non assomigliano a quelli che vivevano sottomessi, privati di qualunque possibilità di difendersi, come avveniva -anche- negli stati pontifici.

Di eguale contenuto, gli articoli usciti stamane sui due giornali cattolici: 
AVVENIRE, pag.4 " Natale in Terra Santa due millenni dopo"
OSSERVATORE ROMANO, pag.6 "Una città per tutte le fedi di Abramo"
Tralasciamo ogni ulteriore  commento, non risultandoci che 2.000 anni fa gli ebrei celebrassero il Natale, nè che Abramo avesse avuto qualche connessione con cristianesimo e islam.

Ecco l'intervista: 

Città del Vaticano- «Vede, ci guardiamo attorno e tante volte questo sguardo, nel nostro tempo, produce in noi una sensazione di impotenza e negatività, quasi di delusione e disperazione. Viene da pensare: è impossibile cambiare questo mondo. Ma noi dobbiamo mantenere ferma la speranza, una speranza che poi diventa impegno». Il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, ha appena inaugurato nella sede del Bambino Gesù di Palidoro, appena fuori Roma, la mostra con un centinaio di disegni che bambini di tutto il mondo hanno inviato al Papa, a Santa Marta. Francesco li ha affidati alla Civiltà Cattolica. La presidente dell'ospedale, Mariella Enoc, e padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti, hanno pensato di selezionarne un centinaio a sostegno di una raccolta fondi  per accogliere e curare bambini dall'estero. «Sono un dono dei bimbi al Papa e ora possono diventare un dono per altri bambini», dice il cardinale. Il mondo visto attraverso gli occhi dei più piccoli: guerre, migranti, «gli angeli scomparsi in mare» che in un disegno oscillano senza volto, sopra le onde, su altalene appese alle stelle.
Eminenza, ha parlato dell'Avvento come «tempo di attesa e speranza». Non che ci siano grandi motivi di speranza, di questi tempi, no?
«Credo purtroppo ci siano più motivi di preoccupazione, ma la speranza nasce proprio quando c'è preoccupazione. Se le cose andassero bene, non avremmo bisogno di speranza. E questo è proprio il momento di aiutare la speranza a nascere e crescere. Soprattutto da parte della Chiesa, che è depositaria del messaggio del Vangelo».
Lei ha appena incontrato il re di Giordania, ricevuto in Vaticano da Francesco. Subito dopo la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, il presidente palestinese Abu Mazen aveva telefonato al Papa. Che cosa si chiede alla Chiesa?
«Naturalmente, a livello di diplomazia, la Chiesa può intervenire in situazioni molto concrete. Lo abbiamo fatto, anche nel passato. Non so se ci sarà l'opportunità, in questo caso, dipende molto dalle circostanze, dagli attori che sono coinvolti e così via. Però io credo che alla Chiesa si chieda soprattutto di continuare a proclamare quelli che sono i grandi valori del Vangelo: la pace, il dialogo come cammino per arrivare alla pace, la fraternità, la solidarietà. Ecco, queste parole bisogna continuare a ripeterle perché rischiano di essere smentite ogni giorno dai fatti. E quindi vanno risvegliate ogni giorno nei cuori della persone. La Chiesa deve fare questo e aiutare in concreto le persone, essere l'ospedale da campo di cui parla il Papa».
E possibile la vostra proposta di uno statuto internazionale per Gerusalemme? «Che sia possibile adesso non saprei. Certo, le decisioni che sono state prese rendono oggettivamente più difficile percorrere questa strada. Ma credo che la proposta della Santa Sede rimanga valida».
Cosa significherebbe?
«Gerusalemme è una città unica e sacra per ebrei, cristiani e musulmani. Dovrebbe avere uno statuto speciale che ne faccia una "città aperta", offra assicurazioni di libertà religiosa per i membri delle tre religioni che condividono i luoghi santi e permetta l'accesso ai pellegrini. II cuore della proposta, quindi, è quello di uno statuto speciale garantito internazionalmente».
Si dice che l'iniziativa del presidente Usa abbia reso più difficile la pace. Ma non è che prima ci fossero grandi prospettive....
«Infatti la ragione che è stata data è proprio quella: buttare il sasso nello stagno in modo che le acque comincino di nuovo ad agitarsi, perché erano completamente ferme. Io però mi domando se la decisione vada in quel senso. Almeno lo pongo come interrogativo. Lo ripetiamo da sempre e lo ripeto qui: l'unica soluzione è il dialogo diretto tra le due parti per poter arrivare ad un consenso intorno ad alcune proposte. Questa è l'unica strada. Le decisioni unilaterali, a mio parere, non sono utili per andare nella direzione della pace».

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