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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.10.2017 Iran, condanna a morte per il medico Djalali: 'Spia di Israele'
Cronaca di Alessandro Fulloni

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 ottobre 2017
Pagina: 20
Autore: Alessandro Fulloni
Titolo: «'Non uccidete Djalali': Da Novara ai rettori appello italiano all'Iran»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/10/2017, a pag. 20, con il titolo "'Non uccidete Djalali': Da Novara ai rettori appello italiano all'Iran", la cronaca di Alessandro Fulloni.

La vicenda di Ahmadreza Djalali è emblematica di come il regime degli ayatollah calpesti quotidianamente i più elementari diritti umani. Un Paese, l'Iran, che non esita a rispondere al dissenso con accuse di tradimento e condanne a morte.

Ecco l'articolo:

Risultati immagini per Ahmadreza Djalali
Ahmadreza Djalali

«Lui è solo un ricercatore. Sono scioccata, sbalordita. Non mi aspettavo che mio marito venisse condannato a morte. Lo hanno accusato di essere una spia, ma lui è un medico. Ora prego perché la giustizia iraniana ribalti la decisione emessa sabato in primo grado. Ma ci sono appena 20 giorni, quelli che mancano per il via al processo di secondo grado. Italia e Svezia stanno facendo tanto per aiutarci...». La voce è flebile e spesso rotta dal pianto. Vida Mehrannia parla al telefono da Stoccolma dove ha ricevuto da poche ore la conferma della sentenza di morte per il marito Ahmadreza Djalali, 45 anni. Entrambi iraniani, si erano trasferiti in Svezia nel 2009 per un dottorato; poi hanno vissuto a Novara, dove dal 2012 al 2015 lui è stato assegnato al «Centro di ricerca interdipartimentale in medicina dei disastri» dell'Università del Piemonte Orientale. Djalali non aveva mai tagliato i ponti con l'Iran dove ogni sei mesi teneva workshop universitari. Ma il 24 aprile 2016, mentre era a Teheran su invito dell'Università, è scomparso. Quella emersa poi tra difficoltà e lentezze è — secondo la «Corte rivoluzionaria della Repubblica islamica dell'Iran» che ha firmato la condanna a morte — una vicenda di spionaggio con al centro il medico accusato di avere avuto «contatti con Israele».

A inguaiarlo (ma è l'ipotesi dei colleghi italiani e svedesi del dottore, esperto in chirurgia d'emergenza) potrebbe essere stato il fatto di aver firmato articoli specialistici con ricercatori sauditi o di avere insegnato con professori israeliani nello stesso master e aver partecipato, ancora con un esperto israeliano, a un progetto Ue sulla gestione di emergenze radiologiche, chimiche e nucleari. Il pressing per evitare l'esecuzione è colossale. «Ridaremo vigore alla mobilitazione a favore di Djalali» assicurano i senatori pd Luigi Manconi ed Elena Ferrara che ieri mattina hanno avuto la notizia della condanna dalla moglie del medico e dai suoi colleghi di Novara, attivissimi nell'opera di sostegno e informazione. Il ministro degli Esteri Alfano ha ribadito che l'Italia continuerà «a sensibilizzare gli iraniani su questo caso fino all'ultimo» come ha già fatto «a livello diplomatico con il nostro ambasciatore e a livello politico come Farnesina». Amnesty International ha avviato una raccolta firme (già 200 mila) mentre i figli di 5 e 14 anni si sono rivolti anche al Papa su Facebook «Francesco aiuta il mio papà a tornare a casa».

L'assemblea generale dei rettori italiani ha approvato nel marzo scorso una mozione per «l'incondizionata difesa di tutte le libertà civili e processuali». Vida (avvertita dell'arresto del marito dalla telefonata di un poliziotto iraniano che le intimò di «non parlare con nessuno») racconta che «per tre mesi Ahmad è stato in isolamento assoluto e per altri quattro parziale nel carcere di Ervin». «Mi chiamava per due minuti una volta al mese — prosegue — poi è stato spostato nel Reparto 7, con gli altri prigionieri e per la prima volta gli hanno permesso di avere un avvocato». La donna non sembra perdersi d'animo: «Io lo sento che rivedrò presto mio marito...».

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lettere@corriere.it

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