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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.05.2017 'Il ritorno delle tribù': il nuovo libro di Maurizio Molinari
Recensione di Paolo Lepri

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 maggio 2017
Pagina: 47
Autore: Paolo Lepri
Titolo: «La paura investe l’Occidente e alimenta il nostro tribalismo»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/05/2017, a pag. 47, con il titolo "La paura investe l’Occidente e alimenta il nostro tribalismo", l recensione di Paolo Lepri.

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Paolo Lepri

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La copertina (Rizzoli ed.)

«Le democrazie industriali si trovano davanti a una doppia temibile sfida che ha origine dall’indebolimento degli Stati nazionali: il jihadismo dall’esterno, il populismo dall’interno. Diverse per genesi, identità e pericolosità, entrambe le minacce possono fiaccare in maniera strategica l’Occidente, e hanno bisogno di risposte urgenti capaci di respingerle e, in ultima istanza, batterle». Non appaiono certo tranquillizzanti le parole che Maurizio Molinari usa nel suo libro Il ritorno delle tribù (Rizzoli) per descrivere l’orizzonte che abbiamo davanti a noi. In questa epoca difficile sono effettivamente a rischio sia i valori della libera convivenza, attaccati in modo efferato dal terrorismo islamico, sia la stabilità di società costruite nel segno di quella integrazione indicata come un nemico dai movimenti antisistema. Per vincere questa battaglia l’unico metodo, osserva il direttore della «Stampa», è «combattere il jihadismo come se il populismo non esistesse e rispondere al populismo come se il jihadismo non vi fosse».

Le «due emergenze parallele» devono infatti essere affrontate in modo separato «perché in un caso si tratta di ridisegnare la sicurezza collettiva e nell’altro di riprogettare la prosperità collettiva». È un discorso convincente. Senza dimenticare che la non completa percezione della gravità di quella minaccia (che viene analizzata collegando tra loro i più sanguinosi episodi in una stessa trama) è una delle ragioni del grande malessere delle opinioni pubbliche. In questo senso le due emergenze sono anche la stessa faccia della medaglia: un’Europa più efficiente nel combattere il terrorismo, per esempio, è sicuramente un’Europa meno lontana dai cittadini e meno sensibile alla propaganda dei suoi contestatori. Prima di prendere la guida del quotidiano torinese, Molinari è stato inviato diplomatico e poi corrispondente dal Medio Oriente e dagli Stati Uniti. Con Jihad. Guerra all’Occidente e Il califfato del terrore aveva già iniziato a compiere una riflessione sulle minacce provenienti dalle aree di crisi e in particolare su quelle Rivolte nell’Islam (cui è dedicata la prima parte di Il ritorno delle tribù ) in cui si è collocata l’affermazione dell’Isis. Ma per provare a capire meglio un mondo che diventa ogni giorno più complesso serve una chiave di lettura in grado di collegare fenomeni diversi e di individuare le motivazioni profonde del crescente disordine.

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Maurizio Molinari

Questa chiave di lettura è il tribalismo, alimentato nel mondo arabo dal crollo dei regimi dispotici e in Occidente dal «corto circuito economico avvenuto all’interno della globalizzazione». I due tribalismi hanno in comune l’avversario: lo Stato nazionale, le sue istituzioni, l’ establishment , «considerati un ostacolo da affrontare, contestare e, nei casi più estremi, rovesciare». A connettere questi «opposti universi» è l’ondata di migrazioni di massa nel Mediterraneo. Ma non solo. Il suo impatto — che Molinari mette nella luce giusta — ha provocato «la più seria crisi politica dai tempi del crac finanziario innescato nel 2008 dal crollo di Lehman Brothers a Wall Street». L’Europa sta cambiando pelle. Tornano i muri e crescono le paure che tra le centinaia di migliaia di disperati «si confondano e annidino trafficanti, criminali e anche terroristi animati dalle peggiori intenzioni nei confronti dei Paesi d’arrivo». In questo quadro «un’unica ostilità contro i migranti, le istituzioni comunitarie e i partiti tradizionali emerge dal cuore del Vecchio continente» e sollecita risposte che finora non sono arrivate. Molinari non dimentica, nel suo ragionamento, la rivolta della «tribù bianca d’America» e spiega con l’attendibilità del testimone «l’uragano di scontento» prodotto dalla vittoria di Trump. È presto per capire con esattezza la reale tenuta di una svolta dalle molte incognite, ma questo libro ci aiuta a interpretare cambiamenti che vanno al di là della figura del nuovo inquilino della Casa Bianca. A suo giudizio, tra l’altro, i risultati dell’impegno di Obama per ridurre disuguaglianze, povertà e razzismo sono stati «ben al di sotto delle attese».

Restando più vicino a noi, nella nostra «casa comune» indebolita dall’uscita della Gran Bretagna, è vero che gli egoismi nazionali sono all’attacco e che «uno o più leader» dovranno riuscire «a non aver paura delle prossime elezioni affrontando insieme, con determinazione, i problemi concreti da risolvere». Forse, aggiungiamo, questi due leader potrebbero essere Emmanuel Macron e Angela Merkel, una volta archiviato il voto tedesco, anche se un eventuale ridimensionamento dei socialdemocratici può incidere negativamente sulla capacità della Germania di fare passi in direzione degli altri. Si vedrà. Per quanto riguarda invece l’Italia (al cui possibile ruolo sullo scenario internazionale vengono dedicate pagine acute), le speranze che si unisca a questa avanguardia sono scarse, anche se non inesistenti. Il direttore della «Stampa» evita di pronunciarsi, ma non è mai stato, giustamente, un antipatizzante del nostro Paese.

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