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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.02.2017 Primo Levi: a 30 anni dalla morte
Commento di Frediano Sessi

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 febbraio 2017
Pagina: 49
Autore: Frediano Sessi
Titolo: «Bisogna onorare Primo Levi nel lager dove fu rinchiuso»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/02/2017, a pag.49, con il titolo "Bisogna onorare Primo Levi nel lager dove fu rinchiuso" il commento di Frediano Sessi

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Frediano Sessi               Primo Levi

In una intervista, pubblicata sulla rivista «Piemonte vivo», il 1 gennaio del 1987, Primo Levi dice tra l'altro: «Sa, io ho sempre fatto vernici, sono abituato a una vita concreta, in cui un problema o si risolve o si butta». A rileggere oggi queste parole, un brivido corre nel cuore. Da lì a pochi mesi, l'11 aprile, Levi, come scrive Ernesto Ferrero nella nota biografica alle Opere complete (Einaudi) «muore suicida nella sua casa di Torino». Che cosa non era riuscito a risolvere nella sua vita di uomo giusto e buono, di scrittore affermato nel mondo e testimone della furia nazista contro gli ebrei? «Io mi sono rappresentato volta a volta nei miei libri come coraggioso e come codardo, come preveggente e come sprovveduto; ma sempre, credo, come uomo equilibrato»
E invece, afferma ancora Levi «lo sono abbastanza poco (...). Faccio fronte abbastanza male alle difficoltà. E questo non l'ho mai scritto». E continua: molte lettere dei lettori ammirano la forza di reazione e sopportazione dimostrata nell'anno di prigionia ad Auschwitz-Monowitz, «ma era una forza passiva, quella con cui uno scoglio sopporta l'urto dell'acqua di un torrente. Io non sono un uomo forte».
La grandezza di Primo Levi, in ricordo del quale si tiene un ciclo d'incontri a Torino, sta anche qui, nel riconoscere la sua fragilità di fronte alla storia e alla vita, ma insieme nella sua grande vitalità di scrittore e testimone. Una luce nel buio e nel grande sconcerto provocato dalle dittature fascista e nazista del Novecento. Un faro per chi ancora oggi cerca di mettere al centro della propria esistenza l'uomo come fine.
Se guardiamo alla sua opera completa di scrittore, oggi fruibile nella nuova edizione Einaudi a cura di Marco Belpoliti, scopriamo che Levi è un autore difficile da definire e raccontare. E non solo perché, come lui stesso scriveva nel racconto Ferro, a proposito dell'amico Sandro Delmastro, «è una impresa senza speranza rivestire un uomo di parole, farlo rivivere in una pagina scritta»; ma soprattutto perché, Levi, come un centauro, racchiude in sé tanti volti.E insieme vittima e testimone di un genocidio unico nella storia dell'umanità e al tempo stesso, scrittore, poeta, giornalista, chimico e tanto altro ancora. Oggi, le Opere complete einaudiane ci danno la possibilità di studiarlo in tutte queste molteplici sfaccettature.
Qui, per fare un esempio, ci basti ricordare il lungo percorso, quasi un inseguimento senza fine, che porta Levi a scrivere il suo Se questo è un uomo e a riproporcelo, in momenti diversi con varianti e forme nuove. Quasi che, questo libro, per cui sarà conosciuto in tutto il mondo, non possa essere lasciato a se stesso, a indicare forse che l'anno trascorso ad Auschwitz gli era sempre addosso, e non solo a causa del suo numero, 174517, tatuato sul braccio, che verrà inciso anche sulla sua tomba nel cimitero di Torino, all'ombra amica di un acero. La prima edizione è del 1947 (editore Francesco De Silva) e Levi ci dice che ha scritto quel testo «a scopo di liberazione interiore, cercando di mantenere l'attenzione sui molti (...) sull'uomo qualsiasi, non infame e non santo, che di grande non ha che la sofferenza».
Le vendite del libro sono scarse, anche se l'edizione era stata preparata dalla pubblicazione di alcuni capitoli su un giornale («L'amico del popolo», di Vercelli) e su una prestigiosa rivista letteraria, «Il Ponte», diretta da Piero Calamandrei.
Una seconda versione completa del libro, con molte modifiche e inserimenti, dovuti anche ai suggerimenti di Natalia Ginzburg, sarà edita da Einaudi nel giugno del 1958.
Tra le aggiunte, Levi accorda un posto di rilievo al racconto drammatico delle vicende di alcuni bambini deportati e al capitolo «Iniziazione», non presente nell'edizione de11947, dove ci viene raccontata la babele concentrazionaria. Qui l'autore sembra suggerire al lettore che la volontà nazista di annientare gli ebrei riguarda l'intera umanità, proprio perché colpisce i bambini e punta ad annullare l'uomo nella sua essenza.
Quella del 1958 potrebbe sembrare l'edizione definitiva di Se questo è un uomo, ma invece, ne11964, Primo Levi ne licenzia una versione radiofonica che andrà in onda il 25 aprile dello stesso anno. Versione fino ad ora rimasta in un archivio e che le nuove opere einaudiane restituiscono al lettore, come accade per altri testi importanti, sconosciuti ai più.
A questa nuova scrittura, seguirà nel 1966 la riduzione teatrale, scritta con Pieralberto Marchesini. E ancora nel 1973, per predisporre una edizione scolastica di Se questo è un uomo, Levi apporterà modifiche, tagli e aggiungerà note, per rendere adatto il libro ai giovani lettori. L'Appendice, che inserirà nel volume riedito ne11975, verrà modificata e aggiornata con correzioni e aggiunte nel 1986. «Ho dedicato molto tempo — scrive Levi a Jean Samuel in una lettera — a questo libro, con amore e rabbia», e aggiunge: «Tuttavia spero di essere riuscito a fare ben più che liberarmi di un'ossessione e salvare i ricordi dall'oblio».
Se tuttavia di «oblio» si deve parlare, esso riguarda più quel che resta di Primo Levi nel museo di Auschwitz, oggi che il padiglione memoriale italiano è chiuso e che la fabbrica, Buna-Werke, come il campo per ebrei di Monowitz, non sono altro che luoghi archeologici abbandonati. E bene precisare che sin dal 1946, il Museo venne limitato a due siti: Auschwitz I e Auschwitz 2-Birkenau. La scelta, operata non senza discussioni, tenne conto del fatto che i nazisti avevano creato una vera e propria «regione concentrazionaria» con 47 sottocampi oltre ai tre maggiori (Auschwitz I, Birkenau e Monowitz) e all'enorme complesso industriale. Per questo Monowitz, oggi sede di un villaggio, costruito sulla planimetria del campo, con resti di quello che fu il lager per ebrei, potrebbe diventare il luogo del ricordo di Primo Levi, se il nostro governo si adoperasse in tal senso, in modo che gli italiani che ogni anno visitano Auschwitz possano ritrovare i luoghi dove ha vissuto Primo Levi e dove sono morti tanti suoi compagni.

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