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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.01.2017 Il doppio volto di Izzedin Elzir, Presidente UCOII
Lo intervista Goffredo Buccini

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 gennaio 2017
Pagina: 19
Autore: Goffredo Buccini
Titolo: «'Nell'album di famiglia dell'islam vanno messi anche i terroristi'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/01/2017, a pag. 19, con il titolo 'Nell'album di famiglia dell'islam vanno messi anche i terroristi', l'intervista di Goffredo Buccini a Izzedin Elzir, imam di Firenze e Presidente UCOII (Unione delle Comunità Islamiche Italiane).

Il Presidente UCOII Izzedin Elzir usa parole concilianti, ma la realtà è ben diversa. L'UCOII, infatti, è dominata dalla Fratellanza Musulmana, un movimento internazionale che si propone la rifondazione del Califfato e l'imposizione globale della sharia. Il giornalista del Corriere, che pure gli presenta alcune domande significative, cade nella trappola dell'islam dal doppio volto: conciliante di fronte ai media, estremista di fatto, nelle azioni.
Un giornale serio avrebbe dovuto far precedere all'intervista un commento critico. Non averlo fatto ha dato una mano ai Fratelli Musulmani, diffondendo disinformazione, quindi recando un forte danno ai lettori.

Ecco l'articolo:

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Goffredo Buccini

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Izzedin Elzir, imam di Firenze e Presidente UCOII (Unione delle Comunità Islamiche Italiane), in prima fila con l'invasione silenziosa predicata dalla Fratellanza. Furbastro lui, allocchi quelli ci cascano.

L’ Europa trema per gli attentati. Il nostro capo della Polizia, Franco Gabrielli, teme che prima o poi anche noi dovremo pagare tributo all’orrore. Lei pensa che la paura cambierà per sempre la nostra convivenza? «È ciò che vogliono i terroristi. Ma noi non dobbiamo rassegnarci al loro obiettivo. C’è una bellissima frase del poeta palestinese Darwish: “La paura non impedisce la morte, ma impedisce la vita”... Vede, le parole sono importanti».

Sì, le parole sono importanti: più che mai quando interpellano fede e identità. Izzedin Elzir le sceglie con cura, strizzando a volte le palpebre dietro gli occhialini sottili. Palestinese di Hebron, 44 anni, da quattordici è imam di Firenze; ma soprattutto da quasi sette è presidente dell’Ucoii, l’Unione delle comunità islamiche italiane, la più forte e ramificata organizzazione musulmana sul nostro territorio, con un circuito di 164 moschee, da Nord a Sud.

Negli anni Settanta la sinistra esorcizzò a lungo i terroristi rossi etichettandoli come «fascisti pagati dalla Cia, agenti deviati, provocatori...». Poi Rossana Rossanda parlò coraggiosamente di «album di famiglia» e fu una svolta decisiva. Lei se la sente di dire che il terrorismo jihadista sta nell’album di famiglia di voi islamici? «Certamente sì. Purtroppo ci sono persone che danno un’interpretazione errata della nostra fede. Per motivi puramente religiosi. O per interesse. O per potere. Ma, sì, sono fedeli...».

Islamici. «Sono musulmani a tutti gli effetti, diciamolo chiaramente. Ma i loro atti criminali no, non lo sono».

Restando nel parallelo: gli operai affrontarono i terroristi, li denunciarono, li fecero arrestare. Dovreste fare lo stesso? «È un obbligo religioso farlo. Già molti anni fa scrivemmo un documento: i musulmani d’Italia contro il terrorismo. Si vietava di fornire a questa gente supporto materiale o anche logistico, verbale o morale. Come vede, è quasi copiato dai documenti della sinistra contro Brigate Rosse e affini. Noi abbiamo studiato queste cose: come gli italiani hanno combattuto nel passato il terrorismo, rosso nel caso specifico... Legga questi fogli».

La data è luglio 2005. Ma voi dell’Ucoii per molti anni siete stati ritenuti... «...estremisti, lo so». Sì, almeno oltranzisti. Lo nega? Non lo eravate? La sua presidenza ha impresso una svolta all’Ucoii e in qualche modo il ruolo ha cambiato anche lei, le sue dichiarazioni sono mutate a poco a poco in sette anni... «Può darsi che nella mia presidenza io abbia potuto lavorare sulla separazione tra religione e politica. Potremmo dire che questa è la svolta: noi siamo una comunità religiosa, e la politica certamente mi interessa, non sarò ipocrita. Ma c’è chi fa politica».

Mi viene in mente Sadiq Khan, il sindaco di Londra. È un buon esempio? «Sì, in questo senso, lo è: penso a uomini di fede musulmana che fanno politica da laici. A ognuno la sua specificità, insomma».

La vostra immagine è stata sovrapposta a quella dei Fratelli Musulmani. La rifiuta? «Beh, era costruita per una parte dai nostri sbagli, per un’altra da una realtà incapace di comprendere».

Cosa pensa dei Fratelli Musulmani? «Sono un movimento che ha rinnovato il pensiero islamico ma in senso politico ha fatto grandi errori».

Web, carceri, moschee negli scantinati: quale realtà è a maggior tasso di radicalizzazione? Quale la preoccupa di più? «Il web, ma lì non riusciamo a incidere molto, purtroppo. Poi le carceri: in questo momento ci sono almeno cento cattivi maestri nelle prigioni italiane. Sta partendo un progetto pilota col Dap, l’amministrazione penitenziaria: tredici imam, nominati da noi e approvati dal ministero dell’Interno, andranno in sei carceri italiane, a Firenze, Milano, Torino, Cremona, Verona e Modena. Bisogna fare progetti di de-radicalizzazione, questi terroristi sono il cancro del mondo».

Un ricercatore, Michele Groppi, ha intervistato 440 islamici in tre anni e sostiene che uno su quattro appoggia la guerra santa, uno su tre pensa che chi offende l’Islam vada punito. «Noi l’abbiamo aiutato nella sua ricerca. È nostro interesse conoscere questi dati, prevenire è meglio che curare».

Dunque su oltre un milione e mezzo di musulmani in Italia, alcune centinaia di migliaia la pensano così? «Certamente no. Non è possibile fare questa proiezione, questi dati sono utili ma vanno letti con buonsenso. La guerra santa c’era al tempo delle crociate. E se una religione viene offesa ci sono i giudici e i tribunali, siamo chiari».

Lei ha firmato col sindaco di Firenze, Dario Nardella, un patto di cittadinanza. «Su tre punti: l’uso dell’italiano nei sermoni, le moschee aperte anche ai non musulmani, i nostri giovani come ponte tra la comunità e l’amministrazione locale».

Può funzionare a livello nazionale? «È un patto replicato a Torino. Si può fare altrove. Noi siamo leali col nostro Paese: l’Italia».

Lei parla spesso di contestualizzare il Corano: sa che molti suoi correligionari la ammazzerebbero per questo? «Senza offesa, se bado agli altri, non cammino di un centimetro».

Il Corano presenta un messaggio duplice, pace e guerra. «Il Corano risente di due periodi nella vita di Maometto, ci sono i capitoli della Mecca e quelli di Medina. Ma è tutto insieme, non puoi prenderne solo un pezzo. Questo lo fanno appunto gli estremisti: estrapolano un versetto, magari su Medina, e ne fanno il titolo del Libro, dicendo che quella è l’anima del Corano. Beh, non si può fare».

Pensa possa venire prima o poi un momento di riforma nella lettura del Libro? «Abbiamo bisogno di spazi di libertà dove possiamo discutere liberamente. Non ho dubbi: con questi spazi possiamo fare una riforma reale. E il compito della comunità islamica italiana ed europea è proprio questo: aprire questa strada. Non posso chiederlo a chi vive sotto la repressione o la dittatura. Ma noi, sì, possiamo farlo. Perché qui, grazie a Dio, viviamo in una condizione di libertà e di democrazia».

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