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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.12.2016 Arabia Saudita: volto scoperto, per la giovane donna insulti e prigione
Cronaca di Monica Ricci Sargentini

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 dicembre 2016
Pagina: 15
Autore: Monica Ricci Sargentini
Titolo: «A volto scoperto su Twitter, e la giovane saudita finisce (insultata) in prigione»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/12/2016, a pag. 15, con il titolo "A volto scoperto su Twitter, e la giovane saudita finisce (insultata) in prigione", la cronaca di Monica Ricci Sargentini.

Basta un volto scoperto, in Arabia Saudita, per mandare in prigione una donna. Questa è la società sottomessa alla legge della sharia, la stessa che l'islamismo dei Fratelli musulmani e della costellazione di gruppi terroristi islamici vuole imporre anche in Europa.

Ecco l'articolo:

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Monica Ricci Sargentini

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Malak al-Shehri

È uscita di casa con il volto scoperto, per sentire finalmente l'aria sul viso. Un gesto rivoluzionario in Arabia Saudita dove le donne vivono segregate in casa, costrette a uscire solo se accompagnate da un guardiano (il marito o il fratello), ossessivamente coperte dalla testa ai piedi per evitare di «eccitare sessualmente» gli uomini. Malak al-Shehri, 20 anni, capelli neri, occhiali scuri che nascondono lo sguardo fiero, non ha avuto paura di sfidare le rigide e assurde regole del Regno. Anzi. Lo scorso mese ha annunciato su Twitter che si sarebbe tolta il velo in pubblico e poi ha postato la foto che la ritrae in piedi nella via al-Tahliya, una delle strade principali di Riad, senza l'abaya, l'abito nero d'ordinanza che riduce le donne a ombre nere uguali una all'altra. Sotto il cappotto scuro spunta un abito a fiori dai colori vivaci che copre il ginocchio. Un paio di stivaletti marroni completano la mise. La foto, diventata virale, ha scatenato la rete.

Uomini indignati hanno minacciato Malak, il cui nome significa angelo, creando persino l'hashtag #Chiediamol'arrestodell'angeloribelleShehri. «La punizione minima per lei è la decapitazione», ha scritto uno. «Uccidetela e datela in pasto ai cani», è il tweet di un altro. Parole di una violenza inaudita che hanno portato la giovane a chiudere il suo account. Ma non è bastato. Ieri Shehri è finita in prigione «per aver violato l'obbligo per le donne a mostrarsi velate in pubblico», ma anche per aver «parlato apertamente di relazioni vietate con uomini» che non sono suoi parenti. «La polizia ha arrestato una ragazza che si era tolta l'abaya in via al-Tahliya dopo aver annunciato il gesto sui social media molti giorni fa», ha detto il colonnello Fawaz al-Maiman al quotidiano arabo al-Sharq senza però citare il nome della giovane. Una parte della Rete, però, è accorsa in difesa di Malak che è stata paragonata a Rosa Parks, la donna nera che nel 1955 in Alabama sfidò l'apartheid sui bus pubblici. «Sono ammirata dal coraggio e dalla resilienza di questa donna», ha scritto @MajedAbboud.

«È venuto il momento di protestare contro la prigione dell'abaya, le donne #gridinoperlalibertà», twitta Farah Aqqad. Sotto il regno del defunto re Abdallah le saudite hanno fatto qualche piccolo passo avanti. Dal 2015 possono votare nelle elezioni municipali. Troppo poco nell'unico Paese in cui alle donne è vietato guidare. Divieti anacronistici che vengono sfidati da poche coraggiose come le protagoniste del gruppo #women2drive o la regista Haifaa Al-Mansour che ne La bicicletta verde ha raccontato il sogno di liberazione di una bambina. Il senso di soffocamento che si prova in Arabia Saudita viene descritto alla perfezione nel libro, appena uscito, della neozelandese Katherine Dolan, Le ragazze di Rub' al-Khali (astoria edizioni), in cui la donna racconta la sua esperienza di insegnante di inglese in una sperduta cittadina al confine con lo Yemen. La separazione soffocante dall'aria aperta, il vivere in gabbia, braccate dall'uomo. «Uno degli effetti principali della segregazione tra i sessi — scrive — era l'ipersessualizzazione di qualsiasi contatto tra gli uomini e le donne. Era come essere tornati alla pubertà».

Lo scorso settembre migliaia di sauditi hanno firmato una petizione in cui si chiede al governo di porre fine al «sistema del guardiano» che impedisce alla donne di muoversi e prendere decisioni autonomamente. A novembre il principe Al Waleed bin Talal ha inaspettatamente chiesto di permettere alle saudite di guidare: «Non è più l'ora delle discussioni, diamo la patente alle donne», ha scritto su Twitter. Il re lo ascolterà?

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lettere@corriere.it

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