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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.12.2016 Curdi argine allo Stato islamico, ma anche all'espansionismo di Erdogan e Putin
Francesco Battistini intervista Ali Rasul Kosrat, vicepresidente del Kurdistan iracheno

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 dicembre 2016
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Il Leone dei curdi: 'La Turchia? In crisi, ma Erdogan pensa solo al suo potere'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/12/2016, a pag. 17, con il titolo "Il Leone dei curdi: 'La Turchia? In crisi, ma Erdogan pensa solo al suo potere' ", l'intervista di Francesco Battistini a Ali Rasul Kosrat, vicepresidente del Kurdistan iracheno.

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Francesco Battistini

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Ali Rasul Kosrat, vicepresidente del Kurdistan iracheno

Leone del Kurdistan: quando cominciarono a chiamarla così? «Da quand’ero giovane e lottavo contro Saddam. Basta vedere la mia vita e il mio corpo. Mi hanno colpito, ferito. Porto i segni di quarant’anni di battaglie».

Arriva stanco in albergo. Chiede di dormire un po’: «Sono onorato d’essere a Firenze, ma la situazione è complicata, son partito solo all’ultimo…». La vita segnata di Ali Rasul Kosrat, leggenda vivente per 50 milioni di curdi sparsi fra la Turchia, l’Iraq e la Siria, viene premiata oggi dalla Regione Toscana col Pegaso d’Oro: una corona per il vicepresidente del Kurdistan iracheno che, a 64 anni, si batte ancora come un Leone. «Un tempo, il mondo non sapeva nemmeno che esistessimo. Ora tutti conoscono e vedono la nostra lotta. Erbil è sulla mappa del mondo».

Esistete da 25 anni, ma passate di guerra in guerra: l’Iraq, la Siria, l’Isis, la Turchia di Erdogan… «Il Kurdistan non può andare avanti così per molto. Siamo ancora fermi agli accordi di Losanna del 1923, che divisero il nostro popolo. Serve una nuova Losanna per noi e per dare libertà a tutta la regione».

Che tipo di Stato unitario sognate? «Io non sogno. Io voglio un Kurdistan reale, che riconosca tutte le minoranze sparse. Guardiamo all’Occidente: non posso pensare a uno Stato di tipo arabo, perché lì non c’è democrazia. Conclusa la liberazione di Mosul, il primo passo sarà un accordo fra i partiti curdi per mettere le 10 divisioni militari sotto un comando unificato. Speriamo anche in armi nuove dall’Europa. La presenza militare italiana sulla diga di Mosul già ci protegge, ma abbiamo 1.100 chilometri di confine coi terroristi e i fronti ormai sono chiari: noi con le democrazie occidentali, i regimi assieme ai terroristi. La nostra guerra non la facciamo solo per i curdi, ma anche per voi».

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La regione abitata in prevalenza da curdi nell'Iraq settentrionale (in rosso)

A che punto è l’offensiva contro l’Isis? «È sempre l’emergenza numero uno. Lo Stato islamico ha tentato il genocidio degli yazidi, dei cristiani, degli sciiti. Ci riproverà, è un pericolo per il mondo. A Mosul è molto debole, ma la caduta di Palmira dimostra che la guerra non finirà presto. Noi procediamo lenti, perché non vogliamo uccidere troppi civili».

E la Turchia «sultanizzata» d’oggi, come dovremmo considerarla? «L’economia va male. La riforma costituzionale che sta progettando per il 2017, tutti i poteri in mano a Erdogan, avrà un impatto negativo sul popolo turco. Che infatti si sta ribellando. Erdogan la giustifica con l’emergenza terrorismo, ma dice solo cose false. Mette sullo stesso piano l’Isis e il Pkk curdo: noi non stiamo con la lotta armata del Pkk, ma non neghiamo che sia una parte della resistenza. Come si può considerare un presidente che mette in galera Demirtas, il leader dei curdi di Turchia, e migliaia d’oppositori? Però noi siamo per il dialogo. Alla Turchia, chiediamo di sederci a un tavolo. E di riconoscere i diritti che ci spettano».

Erdogan minaccia nuovamente d’usare i migranti, anche curdi, come arma di pressione sull’Europa… «Lo farà. Perché nessuno può impedirglielo. Ma queste sue minacce sono anche la sua debolezza, piccoli trucchi di breve durata. La strategia politica è un’altra cosa. La nostra terra accoglie migliaia di profughi da Siria e Iraq: per l’Europa, aiutare noi a proteggerli, significa dare meno forza a queste minacce».

Come vede al Dipartimento di Stato americano un ex petroliere della Exxon (che tra l’altro controlla le pipeline sul vostro territorio)? «Aspettiamo a vedere. Tante volte, chi governa fa cose diverse da quelle che dice in campagna elettorale. Obama ci ha dimostrato che la politica Usa in Medio oriente non la fa solo il presidente, ma un intero sistema d’istituzioni. Quasi sempre, almeno: per noi curdi, il presidente ideale è stato Bush padre, che nel 1991 ci ha dato la libertà. Bush figlio ha fatto molto meno».

Putin o Erdogan: chi teme di più nell’area? «È una scelta improponibile. Però Erdogan vuole restare al potere fino al 2029, Putin dice di meno…».

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