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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.11.2016 Menzogna su menzogna: 'In Iran diritti umani rispettati, Israele Stato criminale di apartheid'
Carlo Vulpio intervista il ministro iraniano Mohammad Reza Nematzadeh

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 novembre 2016
Pagina: 14
Autore: Carlo Vulpio
Titolo: «Il ministro iraniano: 'L'accordo sul nuclare non è solo con gli Usa'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/11/2016, a pag. 14, con il titolo "Il ministro iraniano: 'L'accordo sul nuclare non è solo con gli Usa' ", l'intervista di Carlo Vulpio a Mohammad Reza Nematzadeh, ministro dell’Industria, miniere e commercio iraniano.

A destra: quello che i fanatici ayatollah vorrebbero per Israele

Carlo Vulpio, facendo le domande giuste senza timore al ministro iraniano, consente al lettore di capire la posizione del sanguinario regime degli ayatollah su molti temi importanti. Le risposte del rappresentante della dittatura sciita sono menzogne tanto palesi da manifestarsi da sé.

Su Israele il ministro risponde che «Noi abbiamo e vogliamo avere relazioni amichevoli con tutti i Paesi del mondo, tranne con quelli razzisti e che non rispettano le convenzioni internazionali. Con il Sudafrica, per esempio, non avevamo rapporti. Ma, caduto l’apartheid, li abbiamo riallacciati. (...) Per Israele vale lo stesso principio. Quindi, finché non rispetterà il popolo palestinese noi non avremo relazioni commerciali con Israele». Lo Stato ebraico viene dipinto per quello che non è e si nasconde ipocritamente che l'intento vero - più volte dichiarato in modo manifesto - dell'Iran è la distruzione totale di Israele e dei suoi abitanti. Il ministro, d'altra parte, sostiene anche altre menzogne inverosimili, per esempio che i diritti umani nel suo Paese sono scrupolosamente rispettati.

Una intervista con ottime domande del giornalista e pessime risposte dell'emissario della teocrazia di Teheran.

Ecco l'articolo:

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Carlo Vulpio

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Mohammad Reza Nematzadeh

Per la prima volta dopo la fine dell’embargo, durato 37 anni, l’Iran torna in Occidente con il proprio «Paese reale», 200 imprese di tutti i settori che fino al 26 novembre saranno alla Fiera di Roma. «La circostanza è storica — dice il “numero 2” del governo iraniano, Mohammad Reza Nematzadeh, ministro dell’Industria, miniere e commercio — perché la fine dell’embargo è un successo per noi e per il resto del mondo».

Ministro Nematzadeh, in realtà questa non è la prima volta che l’Iran sceglie l’Italia. Anche l’allora premier Mousavi, dopo la fine della guerra con l’Iraq nel 1988, venne a Roma a dire che «abbiamo scelto l’Italia per riallacciare i rapporti con l’Europa». Perché l’Iran sceglie sempre l’Italia? «Perché i rapporti tra Italia e Iran sono antichi, millenari, come le loro culture. E poi perché l’Italia è stata presente in Iran anche nei momenti più difficili».

Quanto ha contato in questo senso l’esperienza in Iran dell’Eni di Enrico Mattei, che voleva per il vostro Paese non solo il 70% delle royalties del petrolio ma anche la partnership tra le vostre imprese e quelle italiane? «Moltissimo. La nostra gente se ne ricorda e gliene è riconoscente. Anzi, ci auguriamo che l’idea di Mattei della partnership venga ripresa, è questo che vogliamo fare con l’Italia e vogliamo che l’Eni torni a lavorare in Iran».

Lo storico iraniano Ervand Abrahamian scrive che «l’Iran è entrato nel ‘900 con i buoi e l’aratro di legno e ne esce con un programma nucleare». Ma non sono trascorse 24 ore dall’elezione di Donald Trump, che il direttore nominato della Cia, Mike Pompeo, ha detto che una delle prime cose da fare è rivedere l’accordo con l’Iran sul nucleare. Cosa ne pensa? «Credo che Trump sia più preoccupato per il muro alla frontiera del Messico e non abbia il tempo di occuparsi anche del nucleare iraniano (sorride, ndr). L’accordo sul nucleare è stato raggiunto tra l’Iran e la comunità internazionale, non solo con gli Stati Uniti, e l’Iran ha rispettato tutte le condizioni. L’Iaea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) ha riconosciuto che l’Iran lavora a un uso civile dell’energia atomica».

L’Iran ha una lunga storia di ingerenze: britannica, russa, americana. Gli stessi Stati Uniti hanno riconosciuto che il colpo di Stato del 1953 che rovesciò Mossadeq fu opera della Cia. Ritiene che oggi esista il rischio di ingerenze straniere? «Il motto principale dell’Iran e degli iraniani è “indipendenza, libertà e tolleranza”. Le nostre sono elezioni libere. Dunque, non le temiamo».

Lei pensa che nonostante il mezzo milione di iraniani trapiantati negli Stati Uniti, ci siano ancora resistenze da parte americana? «Credo che gli Stati Uniti spesso sbaglino a individuare i loro nemici. Che non siamo noi, ma, come dimostrano i fatti, quelli che io definisco gruppi perversi, come l’Isis e i talebani. Noi lo abbiamo sempre detto agli Usa e all’Europa che questi erano terroristi. Ma gli Usa appoggiavano Bin Laden e il presidente Bush (nel 2002, ndr) includeva l’Iran nel cosiddetto “asse del male”. Eppure, nello stesso periodo, erano iraniani i film più incisivi che con linguaggio artistico facevano conoscere al mondo le “imprese” dei talebani, come per esempio “Viaggio a Kandahar”, del regista Makhmalbaf. Evidentemente, gli americani non hanno appreso la lezione dai loro errori e hanno permesso che crescesse l’Isis. Oggi, con ritardo, tutto il mondo ha capito che avevamo ragione, e che aveva ragione il nostro presidente Rouhani quando tre anni fa, all’Onu, disse che il mondo è in pericolo e bisognava combattere il virus della violenza e del terrorismo».

Finito l’embargo, tornerete ad avere relazioni commerciali con tutto il mondo. Questa opportunità varrà anche nei confronti di Israele? «Noi abbiamo e vogliamo avere relazioni amichevoli con tutti i Paesi del mondo, tranne con quelli razzisti e che non rispettano le convenzioni internazionali. Con il Sudafrica, per esempio, non avevamo rapporti. Ma, caduto l’apartheid, li abbiamo riallacciati. Persino con l’Iraq, che pure ci ha invaso e tenuto sotto attacco per otto anni, abbiamo ripreso i rapporti una volta che l’Iraq ha cambiato atteggiamento nei nostri confronti. Tanto che recentemente due milioni di sciiti iraniani sono andati in pellegrinaggio in Iraq, alla moschea dell’imam Alì. Per Israele vale lo stesso principio. Quindi, finché non rispetterà il popolo palestinese noi non avremo relazioni commerciali con Israele».

Questo vale anche per l’Arabia Saudita? «No. Anche se Arabia Saudita e Israele sono d’accordo tra loro su molte cose. Per esempio sono entrambi contrari all’accordo sul programma nucleare iraniano. Ma speriamo che anche loro riconoscano i propri errori».

Ritiene che in Iran vengano rispettati i diritti umani, per noi europei valore inderogabile? «Ritengo di sì. Certo, non tutto è stato perseguito con la necessaria forza e determinazione, ma sono convinto che la strada è quella riformista tracciata dall’ex presidente Khatami, che ideò e avviò anche il dialogo interculturale e il dialogo interreligioso. Ma le dirò di più. La nostra Costituzione e le nostre leggi prevedono la totale uguaglianza tra uomo e donna, tra musulmani e non musulmani. E mentre noi abbiamo ratificato la Convenzione Onu per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne, gli Stati Uniti non lo hanno ancora fatto».

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