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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.07.2016 Khomeini vinse a piccoli passi: la morte lenta dell'Iran laico
Recensione di Gian Antonio Stella

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 luglio 2016
Pagina: 40
Autore: Gian Antonio Stella
Titolo: «Khomeini vinse a piccoli passi: la morte lenta dell'Iran laico»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/07/2016, a pag. 40, con il titolo "Khomeini vinse a piccoli passi: la morte lenta dell'Iran laico", la recensione di Gian Antonio Stella.

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Gian Antonio Stella

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L'immagine della donna in Iran prima e dopo il colpo di stato khomeinista

«Quando una donna voleva andare in un ristorante, trovava qualcuno che le presentava dei foulard, magari colorati e alla moda, e le chiedeva gentilmente se le dispiaceva indossarne uno per entrare. Così, a poco a poco, senza quasi che ce ne accorgessimo, il velo è diventato legge». Lo racconta una giornalista iraniana, «lei stessa convinta religiosa», spiegando come la norma «fu introdotta passo per passo, per non creare allarme nella società e tra gli ex alleati laici».

Mette la pelle d’oca, L’Iran oltre l’Iran (Castelvecchi) , scritto da Alberto Zanconato, per vent’anni corrispondente dell’Ansa da Teheran. Perché aiuta a ricostruire il calendario. Che fu diverso da quello rimasto nella nostra memoria, dove il passato è appiattito come se tutto fosse successo in un giorno: fuori lo Scià, dentro Khomeini. No. La totale islamizzazione della società (è qui che inquietano le analogie con la re-islamizzazione fino a ieri «morbida» della Turchia) fu fatta a tappe. E il roussari («sopra la testa», come è chiamato in velo in farsi , il persiano moderno) fu imposto dal codice, tra le proteste di piazza delle donne laiche, soltanto nel 1983. Dalla rivoluzione erano già passati quattro lunghi e tormentati anni. E fu allora che si scatenò davvero la caccia: «Al grido di “roussari ya toussari” (“velo in testa o botte in testa”) i miliziani islamici attaccarono le manifestanti che cercavano di esprimere il loro dissenso».

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La copertina (Castelvecchi ed.)

Tra gli stereotipi più diffusi, scrive Zanconato, c’è «l’identificazione tra Islam sciita e potere e la convinzione che quella del 1979 sia stata esclusivamente una rivoluzione “islamica”. In realtà il movimento che portò all’abbattimento dello Scià vedeva anche gruppi e partiti laici e marxisti come forza di primo piano, radicati come erano nella storia del Paese fin dall’inizio del Novecento. All’interno del clero, invece, gli ideali rivoluzionari e anti imperialisti propugnati da Khomeini, insieme all’assunzione del potere da parte dei religiosi, dovettero affrontare all’inizio forti resistenze, in parte mai venute meno. Ancora nel 2006 il centro di Teheran fu teatro di scontri tra la polizia e centinaia di sostenitori dell’ayatollah Mohammad Kazemeini Boroujerdi, arrestato perché chiedeva la separazione tra Stato e religione affermando che “il popolo si è stancato della religione politica”».

È pieno di rispetto, amore e nostalgia per la Persia di oggi, Alberto Zanconato. Che una ragazza persiana, a costo di pagare il «pedaggio» d’una conversione forzata (irresistibile la cronaca della pratica notarile) se l’è pure sposata. E qua e là spuntano annotazioni dolci sulla primavera a Teheran, i riti familiari del Norouz, il capodanno di antichissime origini che si celebra il giorno dell’equinozio ed è sopravvissuto anche all’Islam, le passeggiate, i picnic nei giardini di Saadabad, l’accoglienza serena di certe «moschee fresche che ti danno ristoro nella pausa di un lungo viaggio» come quella del villaggio di Abianeh, «con le esili colonne di legno, aperta sulle cime innevate come un tempio tibetano».

Rispetto anche per l’islam: «Da nessuna moschea sono stato respinto in Iran, anche da quelle dove in teoria non potrebbero entrare i non musulmani, i mausolei più importanti». Eppure, ciò «non cancella gli orrori delle amputazioni e delle lapidazioni eseguite in nome della sharia , a volte in pubblico. O il rifiuto per una legge che lascia una donna indifesa se il marito decide di ripudiarla prendendosi i figli e la casa, o che considera il suo valore la metà di quella dell’uomo come erede, testimone in tribunale o vittima di un incidente. O la pena di morte per gli omosessuali. O che consente a un padre di dare “in sposa” una figlia anche di nove anni a un uomo di qualunque età…».

Tutte cose calate poco alla volta, dall’alto, su un Paese che prima del 1979 viveva (almeno a Teheran, nelle città, nelle aree più ricche…) quasi all’«occidentale» con bagnanti in bikini, vino tollerato, ragazze laureande in misurata minigonna, copertine simili a quelle di «Oggi» o «Gente». L’integralismo, insomma, si impossessò del Paese piano piano. Stando attento a non spaventare i moderati e più ancora gli alleati… «Si dice che l’ Hokoumat-e eslami », la raccolta di lezioni tenute a Najaf sul progetto di un regime islamico, «sia stato distribuito clandestinamente in Iran solo tra i più fedeli sostenitori di Khomeini per non allarmare le fazioni laiche dell’opposizione», spiega Zanconato. «Nelle decine di interviste che l’ayatollah diede negli ultimi mesi di esilio a Parigi agli organi di informazione di tutto il mondo non parlò mai del velayat-e faqih », cioè della «tutela del giurista» islamico, l’autorità suprema. Affermò anzi, in quelle interviste, «che non avrebbe avuto un ruolo nella vita politica del Paese e assicurò che il nuovo Iran avrebbe favorito la democrazia e rispettato la libertà di espressione».

«Esteqlal, Azadi, Jomhouri-ye eslami era lo slogan che risuonava nelle strade di Teheran durante le grandi manifestazioni che tra il 1978 e il 1979 portarono alla rivoluzione: indipendenza, libertà, Repubblica islamica. Le richieste che avevano unificato le diverse anime dell’opposizione, compresi i gruppi laici e marxisti, che avevano accettato Khomeini come leader della rivoluzione, consapevoli della presa che la sua figura carismatica aveva sulle masse popolari. In quei giorni di euforia collettiva nessuno dedicava troppo tempo a riflettere su quale sarebbe stato il ruolo dello stesso Khomeini e del clero nel nuovo Iran». Anzi, racconta Ali Reza, inc arcerato dopo l’irrigidimento del regime: «Li ricordo bene i Mojaheddin (islamici sì, ma un po’ marxisti, ndr) in prigione. Avevano sempre quell’aria di sfida, cantavano le loro canzoni nelle celle, erano ostili con le guardie e con noi monarchici. Ci dicevano: “I mullah rimarranno solo per qualche tempo, poi prenderemo noi il potere”». Sbagliavano. Ma lo scoprirono tardi.

«Gradualmente le esecuzioni aumentarono a venti al giorno, e poi arrivarono a cento, quando si scatenò lo scontro finale con i Mojaheddin. Un giorno ci dissero che nella notte precedente ne erano stati fucilati duecento. Erano stati processati in un solo giorno da tre giudici. Forse cinque minuti ciascuno, il tempo per chiedere come si chiamavano o poco più». Liquidato il Fronte nazionale nel giugno 1981, «quando i seguaci del movimento fondato da Mossadeq organizzarono una manifestazione contro l’introduzione della qesas , la legge islamica dell’“occhio per occhio, dente per dente”» bollata da Khomeini come «una manifestazione contro Dio» e impedita da migliaia di miliziani islamici, il regime schiacciò via via il tallone su ogni dissidenza: «Dal giugno 1981 al giugno 1985 i giustiziati furono non meno di 8.000, nella stragrande maggioranza rivoluzionari laici e di sinistra. A queste cifre vanno aggiunte le migliaia di oppositori, già detenuti da diversi anni, che sarebbero stati eliminati nelle carceri nell’arco di pochi mesi nel 1988, dopo la fine della guerra con l’Iraq. Molti erano stati condannati a pene detentive che stavano per finire di scontare...».

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