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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.07.2016 Quella polemica assurda di Claude Lanzmann contro Elie Wiesel
Commento di Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 luglio 2016
Pagina: 32
Autore: Stefano Montefiori
Titolo: «La sconcertante requisitoria di Lanzmann contro Wiesel»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/07/2016, a pag. 32, con il titolo "La sconcertante requisitoria di Lanzmann contro Wiesel", il commento di Stefano Montefiori.

Forse invecchiare è più difficile che vivere. Riemergono dissapori personali molto pericolosi, tanto da pregiudicare la stima che un illustre personaggio come Claude Lanzmann si è meritatamente conquistato durante la vita. Una brutta storia, della quale va comunque preso atto perché le notizie spiacevoli non vanno nascoste con la ramazza sotto il tappeto.

Ecco l'articolo:

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Stefano Montefiori

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Claude Lanzmann

«Credevo che lei mi avesse chiamato per la morte di Michel Rocard, che amavo molto. Quanto a Elie Wiesel, di sicuro ci saranno molte persone pronte a rendergli omaggio, ma per me è un po’ diverso, perché non sono un fanatico di Elie Wiesel, sotto molti aspetti». Cominciano così sette lunghi minuti di una imbarazzante intervista telefonica concessa da Claude Lanzmann alla radio pubblica «France Inter», che gli chiedeva una reazione alla scomparsa del premio Nobel per la pace. Il ricordo di una grande personalità appena defunta è sempre pericoloso, uno slalom tra gli opposti rischi dell’agiografia e dell’ingenerosità. Ma Lanzmann, il grande regista e scrittore, autore del colossale documentario Shoah e del libro autobiografico La lepre della Patagonia , si è superato.

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Elie Wiesel

Dotato di un ego e di una scontrosità che i 90 anni hanno accentuato, Lanzmann ha colto l’occasione per regolare conti vecchi di quasi mezzo secolo. «Sento l’obbligo di dire un certo numero di cose — ha dichiarato Lanzmann —. Dopo il mio primo film Perché Israele , il governo israeliano mi ha chiesto se fossi disposto a lavorare al progetto di Shoah . Ho accettato e ho subito pensato a Elie Wiesel, che non conoscevo. Dunque l’ho visto a New York (intorno al 1973, ndr ), ho cenato con lui e sua moglie alla Russian Tea Room e lì è successo qualcosa di straordinario: quando gli ho parlato di Shoah , ho creduto di avere commesso un crimine di lesa maestà, di avere annunciato la fine del mondo…».

L’intervistatrice capisce che ci si sta dirigendo verso terre pericolose, interrompe Lanzmann e gli chiede di commentare una frase di Wiesel sulla memoria collettiva, ma il regista — che è un po’ sordo — prima si fa ripetere la domanda, poi si innervosisce, protesta perché è stato interrotto, e continua: «Perché l’idea che io realizzassi Shoah lo faceva impazzire? Perché per lui la Shoah era il suo campo, e io non ero un sopravvissuto dei lager nazisti. E poi, se lei leggesse il libro di un altro premio Nobel, non della pace come Wiesel ma della letteratura, Imre Kertész… Ha forse sentito già questo nome?», l’intervistatrice risponde pazientemente «sì», e Lanzmann continua, «Kertész in Essere senza destino dice che Wiesel ha passato a Auschwitz tre o quattro giorni e notti, non di più. Wiesel è stato soprattutto a Buchenwald, non a Auschwitz. Ed è un testimone attendibile, Imre Kertész».

E ancora: «Quando Shoah è uscito negli Stati Uniti è stato un grande trionfo e tutti volevano sapere che cosa ne pensasse Elie Wiesel, dopo mesi ha finito per scrivere nel “New York Times” solo che gli sarebbe piaciuto stringere la mano alle persone filmate». L’intervistatrice, stremata, passa la linea al giornale radio. A differenza di quel che sostiene Lanzmann, in Essere senza destino Imre Kertész (morto nel marzo scorso) non cita mai Wiesel, né la durata della sua permanenza ad Auschwitz. L’ormai notorio cattivo carattere di Lanzmann lo ha forse salvato dall’ipocrisia, ma ha purtroppo fornito un ulteriore falso argomento ai negazionisti.

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lettere@corriere.it

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