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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.05.2016 Sergio Romano giustifica la riabilitazione di fascisti e nazisti
Domani giustificherà anche i loro crimini?

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 maggio 2016
Pagina: 49
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Italia e Germania nel 1945 fra epurazioni e processi»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 26/05/2016, a pag. 49, con il titolo "Italia e Germania nel 1945 fra epurazioni e processi", la lettera di Andrea Sillioni e la risposta di Sergio Romano.

Secondo Sergio Romano fu "necessaria" la riabilitazione di coloro - e furono molti - che in Italia avevano collaborato con il regime fascista, con posizioni di alta responsabilità. I fascisti vennero del tutto reinseriti negli apparati dello Stato grazie all'amnistia di Togliatti: si pensi al caso clamoroso, ma emblematico, di Gaetano Azzariti, presidente del Tribunale della Razza sotto il fascismo e della Corte Costituzionale nel dopoguerra.

Lo stesso argomento viene utilizzato da Romano nei confronti dei tedeschi che permisero al nazismo di compiere i crimini a tutti ben noti: anche l'assoluzione quasi immediata di costoro fu a sua detta "necessaria".

Oggi Sergio Romano giustifica i criminali fascisti e nazisti, domani giustificherà quelli islamisti?

Ecco lettera e risposta:

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Sergio Romano

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Palmiro Togliatti, il padre dell'amnistia che riabilitò i fascisti in Italia

Ho recentemente visto il film del regista tedesco Lars Kraume «Lo Stato contro Fritz Bauer», film che affronta la vicenda umana e politico- giuridica del procuratore generale tedesco di origine ebrea, che portò avanti una lunga battaglia per la cattura dei criminali nazisti sparsi per il mondo, riuscendo a favorire l’arresto (per mezzo del Mossad) di Eichmann responsabile della pianificazione e della deportazione degli ebrei nei campi di sterminio. Quello che mi ha colpito del film è stato il clima in cui il procuratore si muoveva e la presenza di nazionalsocialisti riciclati in tutti i livelli e in tutti i settori dello Stato. Tra il periodo post fascista italiano e quello post nazista tedesco ci sono affinità in termini di riabilitazione? Perché tante persone, nonostante le connivenze con le dittature, non furono né processate né giudicate?

Andrea Sillioni
sillioni@alice.it

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La locandina del film

Caro Sillioni,
Tra Italia e Germania, in quegli anni, vi furono analogie e differenze. In Italia Palmiro Togliatti, ministro di Grazia e Giustizia nel primo governo di Alcide De Gasperi, firmò una amnistia che ebbe il merito di chiudere, almeno sul piano giudiziario, il capitolo delle responsabilità penali. Il segretario del Partito comunista si rese conto che il Paese stava uscendo da una guerra civile e che era indispensabile, per il suo futuro, evitare una possibile ricaduta. Per le responsabilità politiche, invece, vi fu una commissione dell’epurazione che eliminò dalla pubblica amministrazione un certo numero di funzionari medio-alti. Ma quasi tutti tornarono in servizio quando la giustizia amministrativa accolse i loro ricorsi e fu evidente che le loro competenze erano necessarie al funzionamento del Paese. La continuità dello Stato sembrò alla maggioranza degli italiani la migliore garanzia contro qualsiasi deriva rivoluzionaria o reazionaria. Gli Alleati stettero a guardare e non sollevarono obiezioni. La maggioranza della pubblica opinione approvò questa linea.

In Germania, la continuità dello Stato, dopo la disfatta e il collasso del regime nazista, era un concetto improponibile. Per quattro anni, quindi, i vincitori furono contemporaneamente Governo e Giustizia. Ma anche in Germania fu chiaro che il Paese non avrebbe potuto fare a meno di buona parte del personale tecnico-amministrativo che aveva lavorato per il Terzo Reich anche nei gradi più alti della amministrazione. Vi furono polemiche quando si scoprì che qualche vecchio nazista era diventato consigliere della cancelleria. E vi fu grande scandalo quando il capo dei servizi di sicurezza della Repubblica Federale fuggì nella Germania comunista per protestare, tra l’altro, contro l’impiego di personale nazista nell’amministrazione. Si chiamava Otto John, aveva partecipato al complotto contro Hitler del luglio 1944, era riuscito a trovare riparo a Londra, dove aveva lavorato con i servizi britannici, ed era diventato, dopo la fine della guerra, capo dell’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, l’eufemismo con cui il nuovo Stato tedesco definì il suo Intelligence. L’esilio terminò nel 1955, un anno dopo la fuga, quando John fu deluso dalla sua esperienza comunista e tornò in Occidente. Ma nella Repubblica Federale fu condannato per alto tradimento a quattro anni di prigione. Sostenne di essere stato giudicato da magistrati che avevano servito il Terzo Reich.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

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