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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.02.2016 Il dramma delle ragazze musulmane in Italia: solo mogli e casalinghe
Analisi di Goffredo Buccini

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 febbraio 2016
Pagina: 27
Autore: Goffredo Buccini
Titolo: «La scuola perduta delle ragazze islamiche»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/02/2016, a pag.27, con il titolo "La scuola perduta delle ragazze islamiche" l'analisi di Goffredo Buccini.

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Il pezzo di Goffredo Buccini ha il merito di far conoscere ai lettori italiani - finora in gran parte disinformati di come l'islam viene gestito in Italia dall'UCOII, una branca dei Fratelli Musulmani - su come vengono discriminate le donne, a cominciare dalla tenera età.
Ciò detto, diventano inaccettabili  le spiegazioni ipocrite e false dei dirigenti dell'UCOII che tendono a sminuire il potere dell'islam in tutti campi, compreso quello educativo. Qui non si tratta di 'islamismo', ma di islam vero e proprio.
Per fortuna Buccini riporta le parole di Souad Sbai, che fanno capire come stanno veramente le cose.

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Souad Sbai

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                                                 Goffredo Buccini

Non è questione di velo, ma di libri di testo. Non di forma e di passato, ma di sostanza e futuro. Andare a scuola in Italia per molte ragazzine delle comunità islamiche non è affatto un diritto acquisito. I dati del Miur su frequenze e abbandoni scolastici mostrano che egiziane e senegalesi, bangladesi e pakistane alla soglia dell’adolescenza vengono ritirate (troppo) più spesso dei coetanei maschi, rinchiuse in casa, instradate su quel percorso che, statisticamente, ne trasforma poco dopo in Neet sette su dieci: giovani donne tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano, «imparano a essere buone madri e buone casalinghe, perché questa percezione è tuttora ancorata profondamente » , ammette Abdellah Redouane, segretario generale della Grande Moschea di Roma e voce politica dialogante dell’Islam italiano: «Certo, alcuni di questi dati stupiscono, eccome». E tuttavia i numeri sono quelli , percentuali talvolta sconfortanti che vengono dal Portale Integrazione Migranti e dalle statistiche incrociate di due ministeri (Miur e Lavoro). Dei nove gruppi non comunitari a maggiore dispersione scolastica (quelli cioè nei quali è più basso il rapporto percentuale tra iscritti a scuola e minori censiti nella comunità) sei provengono da Paesi di religione islamica: Egitto, Bangladesh, Senegal, Pakistan, Tunisia e Marocco. Ma, attenzione, i tre gruppi non musulmani di questa classifica alla rovescia — Sri Lanka, Cina e India — pur avendo bassi numeri di presenza tra i banchi, mantengono sostanzialmente invariato il rapporto tra maschi e femmine — circa uno a uno — dalla scuola d’infanzia fino alla secondaria di secondo grado (le vecchie superiori); così come accade ai due gruppi provenienti da Paesi musulmani ritenuti più permeabili alle istanze occidentali, Marocco e Tunisia. Lo scenario cambia par cchio per gli altri quattro gruppi di religione islamica, tra i quali, dopo le primarie (le vecchie elementari), le ragazze cominciano a diminuire velocemente sino a scendere a percentuali assai più basse nelle secondarie. Il 33 per cento del totale le egiziane, il trentasei le senegalesi. Parliamo di scarti tra i 16 e 13 punti percentuali rispetto alla media degli studenti non comunitari. Che nell’Islam la questione femmini e sia aperta drammaticamente è insomma chiaro sin dalle nostre aule. «In diverse comunità, purtroppo, il problema di genere c’è, è vero», dice Izzedin Elzir, il giovane presidente che ha cambiato toni e linea dell’Ucoii, la più forte (e un tempo più radicale) tra le associazioni di comunità islamiche: «Proprio l’altro giorno ci hanno segnalato casi a Roma, tra i bangladesi di Tor Pignattara: famiglie che non mandavano le figlie a scuola. Abbiamo chiamato gli imam, che adesso stanno lavorando con queste famiglie per superare il problema. Ma è importante che ci segnalino questi casi, io posso non sapere, sono molto colpito dal fatto che nel 2016 ci siano persone che non mandano i figli a scuola». Più che altro le figlie. Senza offesa, viene da citare la Sura IV, versetto 34, An-Nisa’ (Le Donne) che recita: «Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che Allah concede agli uni rispetto alle altre». Peserà un po’ il Corano nella differenza di genere , o no? Izzedin sorride : « Quel versetto va interpretato. Senza offesa, se uno pensa che il maschio sia superiore alla femmina non conosce il Corano. Poi magari qualche maschio ignorante lo pensa. Certo c’è una questione culturale. Non mi piace usare l’espressione terzo mondo, ma molti vengono da Paesi dove regna la “dis-cultura” del maschio». Egitto compreso? «Non Il Cairo. Ma in Egitto ci sono 90 milioni di persone, e vari milioni dormono nei cimiteri». Il peso di certi numeri è difficile da portare. Il sociologo Ali Baba Faye, già presidente della comunità senegalese, assicura: «In Senegal c ’è una legge sulla parità che funziona. . . Il vero problema sta qui in Italia, nella diaspora delle nostre famiglie .
Molti bambini senegalesi in Italia sono affidati agli assistenti sociali, si fanno ricongiungimenti familiari con matrimoni che non funzionano. Se poi qualcuno si radicalizza costruendo steccati, questo non so dirlo». Secondo un rapporto del nostro ministero d ll ’Istruzione « il rischio di abbandono dell a scuola colpisce i ragazzi con background migratorio in misura maggiore degli italiani, nella scuola primaria come in quella secondaria: più dell’80 per cento dei ragazzi di origine straniera a rischio dispersione nelle scuole secondarie è rappresentato da ragazzi nati all’estero». Si parte male, già dai livelli di frequenza prescolare «di 10 punti più bassa». Poi, il gap di genere acuisce le distanze, fino a quella categoria dolente di giovani tra i 15 e i 29 anni che i sociologi chiamano Neet, Not in employment, education and training: insomma coloro che non studiano, non lavorano e nemmeno seguono qualche percorso formativo. Il fattore genere tra i Neet è assai evidente. Secondo i rapporti del ministero del Lavoro, le «quasi sette ragazze su dieci di origine egiziana» che appartengono a questa categoria vanno raffrontate ad appena un coetaneo su dieci nella medesima condizione. Nella comunità senegalese le ragazze Neet sono sette su dieci, i ragazzi quattro su dieci. Otto su dieci le bangladesi, sette su dieci l e pakistane. Il fenomeno delle Neet tocca pesante mente anche la comunità più numerosa in Italia, quella marocchina, col 67,8 per cento delle ragazze sul totale della comunità femminile tra i 15 e i 29 anni .
Abdellah Redouane è in Italia da molti anni, ma in Marocco ci è nato, tra le montagne a nord di Marrakech . Dice che bisogna distinguere: «Chi non chiede lavoro non vuol dire che non lavori». E pensa alle molte che vivono di commercio ambulante, magari dietro le bancarelle dei nostri mercati. Non una grande prospettiva. «Ci sono comunità», dice, riferendosi ai bangladesi o ai pakistani « portate alla chiusura, che temono l’occidentalizzazione delle ragazze. La scuola aprirebbe loro gli occhi, c’è chi preferisce tenerle fuori dal circuito». E ci sono ragazze che hanno pagato con la vita il loro desiderio di integrarsi tra noi.
Souad Sbai, leader di un’associazione che difende le donne marocchine ma un po’
anche tutte le donne islamiche, ne raccoglie e ne diffonde le storie (e per questo non è da tutti amatissima) . «In Italia», dice « gli egiziani sono molto radicali e vicini alla Fratellanza musulmana. Ma il problema non è solo egiziano. Tante bambine, anche marocchine, appena avuto il ciclo, vengono tolte da scuola e spesso rispedite in Marocco, dai nonni, per riconvertirle all ’Islam. Poi tornano grandi, già sposate , raggiunte dal marito in ricongiungimento familiare. Ricordo Amina, le hanno fatto sposare il cugino in Marocco, aveva undici anni».
A sera, Izzedin Elzir mi manda un sms con la Sura XLIX versetto 13: «O uomini, vi abbiamo creato da un maschio e una femmina e abbiamo fatto di voi popoli e tribù, affinché vi conosceste a vicenda. Presso Allah, il più nobile di voi è colui che più lo teme…». Lui ci vede la prova della parità dei sessi. Ed è in fondo questo il bello di tutti i
libri: che dipende da chi li legge. Purché ce li lascino leggere.

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