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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.11.2015 L'islam italiano parli chiaro, cosa che si guarda bene dal fare
Editoriale di Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Ora parole chiare dall'islam»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/11/2015, con il titolo " Ora parole chiare dall'islam", l'editoriale di Pierluigi Battista.


Pierluigi Battista                             Simbolo dei Fratelli Musulmani

Scalda il cuore l’immagine dei musulmani delle comunità italiane che scendono in piazza per gridare «no al terrorismo» e per contrastare apertamente chi uccide in nome dell’Islam. Ed è ammirevole il coraggio degli imam francesi che si sono spinti a dirsi disgustati per gli «attentati criminali commessi in nome della nostra religione». Sono passi importanti, il risveglio di una battaglia culturale nel mondo islamico che vive in Europa e in Occidente in cui finalmente si pronunciano parole chiare e non ambigue sullo stragismo jihadista. Ma con altrettanta chiarezza bisogna aggiungere che sono solo i primi passi. Che ce ne vogliono altri in cui si riconosca senza riserve l’accettazione di valori per noi imprescindibili come la tolleranza religiosa, la libertà dell’arte e della cultura, il pluralismo delle idee, la laicità dello Stato, l’eguaglianza tra uomo e donna e dunque il rifiuto netto, intransigente, assoluto di ogni consuetudine e di ogni comportamento sociale e familiare in cui la donna sia discriminata, minacciata, privata dei suoi diritti fondamentali. Non è solo il terrorismo che deve essere isolato, ma ogni attacco alla libertà condotto nel nome della religione. Ognuno preghi e onori senza limitazioni il suo Dio. Ma tutti, senza eccezioni, rispettino la stessa cornice di valori che è l’ossigeno di una società aperta e tollerante. Ancora una volta: senza eccezioni. Q uindi le comunità musulmane inglesi non devono sentirsi offese se finalmente in Gran Bretagna il governo di David Cameron mette fine all’eccezione scandalosa dei tribunali islamici che pretendono di applicare un loro diritto ispirato alla Sharia su matrimoni, divorzi ed eredità, compreso il «talaq» ossia il ripudio della donna che è prerogativa esclusiva dell’uomo. Non devono pretendere che la diseguaglianza radicale tra i generi sia formalizzata in una forma di diritto parallelo a quello comune a tutti gli altri cittadini e cittadine. Non devono sentirsi offese perché in uno Stato libero e aconfessionale i diritti sono di tutti, l’eguaglianza di fronte alla legge non è un principio negoziabile e le donne non sono considerate proprietà degli uomini. C’è un luogo comune molto diffuso secondo cui le forme di intolleranza e di integralismo religioso, e anche una pratica consuetudinaria in cui alla donna viene assegnato un rango inferiore, hanno caratterizzato in passato anche le società ispirate ai valori giudaico-cristiani. E che dunque bisogna aspettare fiduciosamente il futuro, quando le ombre del Medioevo saranno dissipate anche nel mondo islamico. Purtroppo non è così. L’intolleranza, la violenza, l’integralismo, l’illibertà non sono nel mondo musulmano il residuo del passato, ma sono la novità, catturano i giovani, promettono una radicalizzazione fanatica come rimedio alla fede tiepida della tradizione. La predicazione violenta e fanatica, il bacino ideologico e culturale da cui trae alimento il terrorismo apocalittico di chi vede nello sterminio degli infedeli santificato dal proprio martirio l’unica via che porta al Paradiso, fa breccia principalmente tra i giovani, gli islamici dell’oggi e del domani. A Istanbul, basta leggere i romanzi di Orhan Pamuk per capirlo, si infittisce la schiera delle donne giovani che indossano il velo e provano disprezzo per gli abiti «occidentali», considerati abominevoli e perversi, come la musica «satanica» suonata nel Bataclan di Parigi. Le fotografie dell’epoca raccontano come a Teheran, al Cairo e persino a Kabul, negli anni Sessanta e Settanta le donne non si distinguessero nel modo di vestire da una donna di Roma o di Parigi. Il radicalismo jihadista è il frutto del risveglio islamista, non di un Medioevo non ancora smaltito. Le comunità islamiche dell’Occidente devono dire all’Europa laica e tollerante se considerano giusto, degno di esempio, il tumulto cruento, l’assalto alle ambasciate, le violenze, le bandiere bruciate che infiammarono le piazze musulmane quando papa Ratzinger tenne la sua lezione a Ratisbona contestatissima dall’Islam radicale, ma anche da quello moderato. Devono dire se sono preoccupate per la violenza antisemita che colpisce gli ebrei d’Europa con la scusa di un antisionismo amplificato anche nei Paesi islamici «moderati» da serie tv tratte dai Protocolli dei Savi Anziani di Sion , un testo classico dell’antisemitismo idolatrato da Hitler e dai nazisti di ogni tempo e di ogni luogo. E che cosa pensano della persecuzione anticristiana nel mondo islamico (anche nell’Afghanistan «liberato» dai talebani, purtroppo): quella che in Arabia Saudita, non nei territori dell’Isis, comporta la condanna a morte se un cristiano viene scoperto in possesso di un crocefisso o di un rosario nascosti nel cassetto. Cosa pensano dei blogger che da Teheran a Riad, nell’islamismo sciita come in quello sunnita, vengono frustati se in dissenso con i loro governi. E se pensano che sia giusto che Ayaan Hirsi Ali, l’apostata, l’autrice di un libro bellissimo come Eretica , debba vivere blindata, bersaglio dell’odio dei fanatici jihadisti. Passi necessari, che segnino una lunga durata della dissociazione dalla violenza omicida, e l’avvio di una battaglia culturale che prosciughi il campo dell’intolleranza e del fanatismo.

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