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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.11.2015 Rohani domani a Roma: è il caso di ricevere il 'moderato' che vuole la distruzione di Israele?
Viviana Mazza, Paolo Valentino intervistano Hassan Rohani

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 novembre 2015
Pagina: 1
Autore: Viviana Mazza; Paolo Valentino
Titolo: «'Possibile una nuova fase tra Iran e Occidente'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/11/2015, a pag. 1-3, con il titolo "Possibile una nuova fase tra Iran e Occidente", l'intervista di Viviana Mazza, Paolo Valentino a Hassan Rohani.

"Voglio dire che il popolo iraniano può odiare Israele e le politiche sioniste, ma allo stesso tempo può amare l’ebraismo", sostiene ipocritamente il "moderato " Rohani.  Al contempo, però, non solo non condanna ma anzi sostiene le manifestazioni che invocano la distruzione di Israele e lo sterminio degli ebrei, quotidiane in Iran. Domani Rohani arriva a Roma: siamo sicuri che sia il caso di riceverlo?
Sull'Iran - se il governo a guida Renzi vuol differenziarsi dai precedenti - occorre parlar chiaro e non avere peli sulla lingua.

Ecco l'intervista:

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Viviana Mazza

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Il "moderato" Hassan Rohani

«Sono felice che la mia prima visita all’estero dopo la firma dell’accordo nucleare sia in Italia perché è un Paese con il quale l’Iran ha da tempo ottime relazioni, sul piano economico, culturale e politico. Per un certo periodo l’Italia è stata anche il nostro primo partner commerciale. Sulle questioni internazionali e politiche, i leader italiani hanno sempre avuto un atteggiamento moderato nei nostri confronti. Nelle nuove condizioni, l’Italia può essere per noi uno dei partner più importanti. Consideriamo il vostro Paese un amico in Europa. Spero che il mio viaggio apra una nuova fase nei nostri rapporti». Hassan Rouhani arriva sabato mattina a Roma, per una visita che segna il rientro in grande stile dell’Iran sulla scena internazionale. Il leader iraniano ci riceve in una sala del palazzo presidenziale sullo sfondo di un grande ritratto del fondatore della Repubblica islamica, l’ayatollah Khomeini e dell’attuale Guida suprema, Khamenei. È la prima intervista a un quotidiano europeo dalla sua elezione nel 2013. Il presidente non si sottrae ad alcuna domanda e risponde con un sorriso anche a quelle sulle difficoltà e gli ostacoli alle sue riforme.

Quali passi ha iniziato a fare l’Iran per applicare l’accordo nucleare? Gli americani stanno facendo del loro meglio per rispettarlo? «Ci siamo lasciati alle spalle una fase importante, la fase legale. Adesso cominceremo quella di applicazione dell’accordo. Non abbiamo ancora raggiunto il cosiddetto implementation day (il giorno in cui l’Iran avrà modificato il suo programma nucleare e l’Occidente inizierà a togliere le sanzioni, ndr ), quindi durante questo periodo l’Unione Europea, gli Stati Uniti e gli altri Paesi del 5+1 devono fare quello per cui si sono impegnati, in modo che, quando arriva quel giorno, tutte le sanzioni economiche, bancarie e finanziarie siano rimosse. L’Iran rispetterà i suoi obblighi, simultaneamente alle azioni dell’altro campo. Stiamo entrambi lavorando. Penso che entro fine anno arriveremo all’ implementation day . Stiamo aspettando il rapporto dell’Aiea sulle questioni ancora aperte, nel frattempo andremo avanti con la riconversione del reattore di Arak. Tutto il popolo iraniano guarda con speranza al giorno in cui le sanzioni saranno abolite».

E se il Congresso Usa ne imponesse di nuove? «L’impegno è questo: non saranno imposte nuove sanzioni dai 5+1 e noi dobbiamo rispettare gli accordi. Ma se gli Usa o altri Paesi non rispettano gli impegni presi, non ci sentiremo costretti a farlo neanche noi».

In che modo l’accordo nucleare cambierà le relazioni tra l’Iran e gli Stati Uniti? Nelle manifestazioni si continua a gridare «Morte all’America» e la Guida suprema, l’ayatollah Khamenei, chiama ancora gli Usa «il Grande Satana». Lei considera l’America il Grande Satana? «L’accordo nucleare è una cosa, i nostri rapporti con gli Stati Uniti un’altra. I problemi che abbiamo con loro sono di lunga data e cominciano con la vittoria della Rivoluzione islamica. I punti di frizione permangono: gli americani non rimuoveranno tutte le sanzioni, ma solo quelle collegate al programma nucleare. Quindi, il rapporto tra Iran e Stati Uniti è un’altra storia. Ma il modo in cui applicheremo l’accordo può avere un impatto sul futuro. Se applicato bene, getterà le basi per minori tensioni con gli Usa, creando le condizioni per aprire una nuova era. Ma se gli americani non rispettano la loro parte dell’intesa nucleare, allora sicuramente il nostro rapporto con loro resterà come in passato».

Diversi cittadini americani sono stati di recente arrestati in Iran, fra questi anche un giornalista. Molti vedono questi episodi come azioni ostili da parte di coloro che si oppongono a ogni miglioramento nelle relazioni con Washington. Cosa ci può dire in merito? «Ci sono diverse ragioni per arrestare delle persone e di questo è responsabile la magistratura. I loro casi saranno esaminati dai tribunali e ciò non dovrebbe essere messo in relazione con questioni politiche. Certo, in Iran come in altri Paesi democratici e liberi ci sono opinioni politiche differenti. Rispettiamo i diritti degli stranieri che vivono in Iran. Qualcuno ha avuto problemi ed è stato arrestato, ma è successo anche a cittadini iraniani che sono in prigione negli Stati Uniti».

Ma lei immagina di poter vedere un giorno un’ambasciata americana a Teheran e una iraniana negli Stati Uniti? «Un giorno queste ambasciate verranno riaperte, ma ciò che conta sono i comportamenti e la chiave di questo ce l’hanno in mano gli americani. Se modificano le loro politiche, correggono gli errori commessi in questi 37 anni e si scusano col popolo iraniano, la situazione cambierà e buone cose potranno accadere».

Lei ha criticato alcuni media iraniani, accusandoli di agire come una «polizia segreta». Il capo della magistratura le ha anche risposto a tono, respingendo le sue critiche. È il segnale di un grande scontro in atto all’interno del Paese sulla via da seguire? Le sue riforme sono in pericolo? «Non c’è nessun grande scontro. Non vedo alcun ostacolo per le mie riforme, ma io in quanto presidente ho il compito di far applicare la Costituzione: se vedo che alcuni dei suoi articoli non vengono applicati, sono distorti o violati, ho il dovere legale di lanciare degli avvertimenti. Il presidente è al di sopra di tutti gli organi statali e questi devono farvi attenzione anche se non sono d’accordo con lui».

Lei aveva promesso più democrazia, libertà di espressione e una rete Internet senza filtri. Perché non è successo? «I miglioramenti sociali o nel campo dei diritti dei cittadini non possono avvenire in una notte. Ci vuole tempo. Uno degli obiettivi del mio governo, sin dall’inizio, è stato di concedere più diritti ai cittadini, espandere le libertà e creare un’atmosfera migliore nelle attività culturali e sociali. Negli ultimi due anni ci sono stati progressi. Oggi la situazione nelle università e nei media è migliorata. La stampa critica liberamente il presidente: due anni fa nessuno avrebbe immaginato una cosa del genere. Ma l’esecutivo da solo non può risolvere tutto. Deve esserci una cooperazione con il sistema giudiziario e legislativo. Speriamo che ci sia in futuro».

Due anni fa lei promise di liberare i leader riformisti del Movimento Verde, Mousavi e Karroubi. Manterrà la promessa? «Saranno liberati. Un giorno».

Per la prima volta l’Iran è stato invitato a unirsi agli sforzi diplomatici per risolvere la crisi in Siria insieme a Stati Uniti, Russia, Arabia Saudita e altri Paesi. Qual è per l’Iran una soluzione possibile, efficace e accettabile? «Per la prima volta i grandi Paesi e quelli della mia regione sono allo stesso tavolo, e questo è in sé un risultato importante. Anche se Stati Uniti, Russia, Iran, Turchia e Arabia Saudita hanno opinioni diverse, è un segnale che nelle crisi regionali si possono cercare soluzioni insieme. Quello siriano è un problema assai complesso, non possiamo aspettarci che sia risolto in una sola tornata di negoziati, ma esiste una nuova opportunità. Crediamo che il problema siriano non abbia una soluzione militare, ma ci sarà una soluzione politica. È un piccolo passo che ci offre una speranza».

L’Iran accetterebbe un compromesso che preveda l’uscita di scena di Assad? «Per noi in Siria l’importante è la lotta al terrorismo. Tutti i Paesi stanno combattendo contro l’Isis. Il ritorno della pace e della stabilità dovrebbe essere la priorità numero uno, in modo che i siriani possano ritornare alle proprie case e la Siria sia un Paese sicuro. Le altre questioni sono secondarie. Qualunque decisione sul governo e sul futuro della Siria, spetta al popolo siriano. Altri Paesi e forze non dovrebbero interferire ma preparare la strada a libere elezioni. Chiunque venga eletto noi lo rispetteremo».

Oggi Russia e Iran sono unite nella lotta all’Isis e nell’appoggio ad Assad. È un’alleanza di necessità o una partnership strategica? «È una partnership importante. Tra Iran, Russia, Iraq e Siria è stato raggiunto un accordo per collaborare nella lotta all’Isis. La Russia è concentrata più sulle operazioni in Siria, forse in futuro amplierà il suo raggio d’azione all’Iraq, ma io penso che sia importante che tutti i Paesi del mondo si concentrino nella lotta al terrorismo. L’Isis è una minaccia per l’intera regione e anche per altri, inclusa l’Unione Europea. La regione è in subbuglio. Noi siamo stati tra i primi ad appoggiare l’esercito iracheno contro l’Isis e se non l’avessimo fatto, forse Baghdad sarebbe già caduta».

L’Iran ha il numero pro capite di esecuzioni capitali più alto al mondo, incluse quelle pubbliche. Lei crede che la pena di morte sia un modo efficace per combattere il crimine? «La punizione dovrebbe servire da deterrente. Si può discutere sull’efficacia o meno delle esecuzioni, come pure degli arresti e perfino delle multe. Ma in ogni Paese il codice penale ha a che fare con regolamenti interni, in molti Paesi c’è la pena di morte, in altri no. In Iran la maggior parte delle esecuzioni ha a che fare con crimini legati al traffico di droga, abbiamo un confine lungo e poroso con il nostro vicino afghano. Se abolissimo la pena di morte renderemmo loro più facile portare la droga fin nei Paesi europei e questo sarebbe grave per voi».

«Morte a Israele» è ancora un grido popolare nelle preghiere del venerdì. Non sarebbe ora di farla finita con simili slogan? «Rispettiamo tutte le religioni monoteiste, comprese quella ebraica e cristiana. Nel nostro libro sacro si parla molto di Mosè, che è il profeta degli ebrei, e il Corano loda Mosè, che sia benedetto. Il popolo ebraico ha sempre vissuto e vive in Iran pacificamente. Gli ebrei hanno i propri rappresentanti nel Parlamento iraniano, possono praticare la loro religione liberalmente. Ma questo è diverso dalle politiche del sionismo, che è cosa diversa dall’ebraismo. Noi condanniamo le politiche perseguite dal regime sionista nella regione, inclusa l’uccisione dei palestinesi. E condanniamo le politiche americane quando appoggiano unilateralmente questo regime. Voglio dire che il popolo iraniano può odiare Israele e le politiche sioniste, ma allo stesso tempo può amare l’ebraismo, i suoi profeti e il Libro».

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