venerdi 26 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.09.2015 Kibbutz Ketura, come si combatte il vento e la sabbia
Reportage di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 settembre 2015
Pagina: 26
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Deserti: fermiamo vento e sabbia con il Dna di Matusalemme»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/09/2015, a pag.26, con il titolo " Deserti: fermiamo vento e sabbia con il Dna di Matusalemme " il reportage di Davide Frattini, che il Corriere presenta così: " Fermiamo vento e sabbia con il Dna di Matusalemme In un kibbutz isolato nella regione più arida e riarsa del Paese si cerca la chiave per contrastare i cambiamenti climatici e produrre cibo a sufficienza per i popoli che dall'antichità combattono contro la scarsità di acqua e fanno agricoltura in condizioni estreme dal nostro inviato al Kibbutz Ketura (Israele). Complimenti a Davide Frattini !

Immagine correlata
in alto: ingresso al Kibbutz Ketura
in basso: Davide Frattini

Ecco l'articolo:

 Matusalemme porta bene i duemila anni, cresciuto com'è da un seme scovato dagli archeologi tra le rovine della fortezza di Masada, dove nel 73 dopo Cristo 96o ebrei ribelli scelsero di uccidersi piuttosto che arrendersi ai romani. Quella palma celebrata nella Bibbia per la bellezza, i poteri medicinali, la capacità di fornire cibo (e ombra per ripararsi dal caldo del deserto) sta adesso protetta da un recinto in mezzo alle case da pionieri di questo kibbutz nella regione di Arava, la più arida e riarsa d'Israele. È alta (o bassa per una palma) quasi un metro ed è riuscita a far germogliare una decina di foglie. È accudita dalla dottoressa Elaine Solowey e dai suoi assistenti che l'hanno risvegliata dal sonno millenario sotto la sabbia perché volevano studiare i benefici di quei datteri ormai scomparsi. II frutto simboleggia l'antica Israele, ha ispirato la frase «la terra del latte e del miele», era decantato come cura per le infezioni, per le proprietà lassative, come garanzia di longevità. «I giusti fioriranno come la palma, porteranno ancora frutti nella vecchiaia, saranno prosperi e verdeggianti», recita il Salmo 92. L'albero e i datteri erano e sono venerati anche nel resto del Medio Oriente. Il profeta Maometto li considerava fondamentali per sviluppare la prosperità di una nazione (legname da costruzione compreso) e il Corano li descrive come un simbolo legato alla divinità. Per la dottoressa Solowey sono la via biologica e genetica per comprendere come le popolazioni arcaiche sopravvivessero nelle condizioni estreme del deserto e per adattare quelle imbeccate dal passato adesso che le sabbie avanzano dall'Africa e dall'Asia verso le coste del Mediterraneo. Arrivata in Israele dalla California quarant'anni fa, Elaine non se n'è più andata e dirige il Centro per l'agricoltura sostenibile all'Arava Institute, nella parte meridionale del deserto del Negev, dove scienziati e giovani da tutto il mondo studiano come combattere la desertificazione e coltivare queste terre assetate. Progetti che uniscono Israele (il 65% delle sue regioni sono aride, fanno parte dell'area che va *** dal Sahara alla Penisola arabica) ai pochi Paesi attorno con cui esistono rapporti diplomatici. «Cerchiamo di sviluppare piante e vegetali che tollerino i terreni molto salini e l'acqua riciclata usata per l'irrigazione», spiega Yair Wahle che è nato a pochi chilometri da qui e adesso coordina le coltivazioni, il lavoro nelle serre e nei campi. L'istituto di ricerca ha creato un progetto con la Giordania per riscoprire le colture tradizionali e spingere i contadini locali a rinunciare alle piantagioni che richiedono troppa acqua. «La sostenibilità non è solo ambientale — continua Yak —. Spesso gli agricoltori scelgono i prodotti più vendibili, più redditizi, quelli più di moda a tavola. II rischio è che il crollo del mercato o il cambio nei gusti li riduca in rovina e perdano anche la risorsa per il cibo personale: ormai il suolo è stato sfruttato troppo e le piante più resistenti nel deserto possono richiedere anni prima di dare frutti». Nel caso della palma da datteri ce ne vogliono trenta prima di raggiungere la maturità e solo allora si scoprirà se è maschio o femmina quindi fruttifera: dopo però l'albero garantisce due secoli di raccolto. «E un investimento per il futuro, le nuove generazioni sono protette. Sostenibilità significa anche pensare a loro», commenta Yair mentre aiuta il figlio di quattro anni a mordere e succhiare il frutto di Manila: la polpa è ricca di vitamina C, dal nocciolo si macina un olio pieno di antiossidanti utilizzato in Africa per creare cosmetici naturali e per cucinare. «E le scimmie ci fanno una specie di birra per ubriacarsi». Riscoprire le coltivazioni tradizionali, combattere la desertificazione con metodi sostenibili che evitino di peggiorare il problema, aiutare le popolazioni costrette a migrare dalla scarsità di acqua e di cibo. Secondo Thomas Friedman, editorialista del New York Times che ha vissuto per anni in Medio Oriente, la crisi non è solo umanitaria o ambientale, i rischi più alti sono geopolitici. «Ecco la mia scommessa — ha scritto alla metà di agosto — sul futuro dei rapporti tra i sunniti, gli sciiti, gli arabi, i curdi e gli israeliani: se non trovano una soluzione ai loro conflitti senza fine, Madre natura finirà con il distruggerli ben prima che si annientino tra loro». Friedman elenca una serie di cambiamenti climatici e picchi nelle temperature di questa estate da caldo record in Medio Oriente che hanno scatenato reazioni incendiarie. «II governo iracheno è stato licenziato dal suo primo ministro per l'incapacità di garantire l'aria condizionata dopo settimane di proteste a Bagdad e in tutto il Paese. La questione dell'ondata di calura ha superato le paure per l'avanzata dello Stato Islamico». E continua: nel febbraio del 2014 la prima decisione di Hassan Rouhani, il nuovo presidente iraniano, ha riguardato come fermare la scomparsa del lago di Urmia. E uno dei più grandi bacini d'acqua salata al mondo e si è ridotto dell'8o per cento in un decennio, portando alla rovina i contadini, i pescatori e i barcaioli che prosperavano con il turismo. L'analista americano cita le ricerche di Francesco Femia e Caitlin Werrell che dirigono il Center for Climate and Security a Washington: «Il contratto sociale tra i governi e i loro cittadini è logorato da questi eventi estremi. Queste crisi possono solo peggiorare e aumentare se consideriamo le previsioni sui cambiamenti climatici in molti di questi Paesi». L'esempio è quello della Siria dove la rivolta cominciata nel marzo del 2011— e ormai diventata una guerra da 25o mila morti — è stata preceduta da quattro anni di siccità, la peggiore nella storia moderna della nazione. «Ha spinto un milione di contadini e allevatori a lasciare i villaggi per le città — commenta Friedman — dove II governo di Bashar Assad ha completamente fallito e non li ha aiutati». Le palazzine per gli studenti nel campus a Sde Boker, il distaccamento dell'università Ben-Gurion a nord dell'Arava, sono state progettate rispettando i diritti individuali, quelli a beneficiare del vento e del sole. Non è solo per II benessere dei ragazzi che ci abitano, la disposizione degli edifici (e degli alberi piantati lungo i vialetti) consente di risparmiare sull'aria condizionata d'estate e sul riscaldamento d'inverno. La struttura è stata progetta dal professor Isaac Meir, tra i docenti e ricercatori di questo istituto che studia la sopravvivenza nel deserto. Come quella delle tribù nomadi che per centinaia d'anni si sono spostate tra il Negev e le regioni vicine, le montagne del Sinai a sud o verso la Giordania a est. Adesso i beduini sono rimasti ingabbiati dalle frontiere e dalle guerre, sono stati costretti alla vita sedentaria, hanno perso le distanze da percorrere e i mezzi di sussistenza. La maggior parte dei villaggi in cui si sono insediati è considerata illegale dal governo israeliano, che vuole sfrattarli: le evacuazioni forzate verso nuove aree urbane hanno portato a scontri e manifestazioni di protesta. Cappello in cuoio da esploratore, Meir spiega come il progetto Wadi Attar cerchi di aiutare i beduini a emergere dalla miseria e dai margini della società. «E una cooperativa che vuole recuperare i saperi tradizionali dei clan e allo stesso tempo insegnare l'efficienza: dai pannelli solari all'allevamento del bestiame». Così l'acqua che lava la lana tosata dalle pecore viene riutilizzata nell'irrigazione e per estrarre la lanolina: la cera serve a produrre cosmetici artigianali ed è da sempre considerata un'efficace protezione contro la disidratazione. Qui a Sde Boker lo scorso novembre si sono riuniti 500 esperti da 6o nazioni (una conferenza sostenuta anche dall'organizzazione Keren Kayemeth Lelsrael-Jewish National Fund) per individuare interventi che rallentino la desertificazione: «È un problema olistico — ha spiegato lo specialista israeliano Alon Tal — che richiede soluzioni olistiche». È l'approccio utilizzato al campus: matematici, architetti, agronomi, chimici, esperti di biotecnologie, antropologi, sociologi lavorano e vivono insieme, circondati dalla materia che studiano, il villaggio è appollaiato tra le rocce del Negev. Poco lontano c'è la tomba di David Ben-Gurion, affacciata sui crateri e le distese di sabbia che già settant'anni fa il padre fondatore di Israele sognava di «far fiorire».

Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/ 62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT