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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.08.2015 Auschwitz nel Dna: le conseguenze della vita nei lager nei geni dei figli dei sopravvissuti
Analisi di Anna Meldolesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 agosto 2015
Pagina: 23
Autore: Anna Meldolesi
Titolo: «Le conseguenze della vita nei lager nei geni dei figli dei sopravvissuti»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/08/2015, a pag. 23, con il titolo "Le conseguenze della vita nei lager nei geni dei figli dei sopravvissuti", l'analisi di Anna Meldolesi.

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Anna Meldolesi

Ci sono i figli di chi è vissuto al sicuro in una tiepida casa, trovando ogni sera cibo caldo e visi amici, per citare Primo Levi. E poi ci sono i figli di chi ha lavorato nel fango senza conoscere pace, lottando per mezzo pane e sapendo di poter morire per un sì o per un no. I primi sono i fortunati, siamo noi. Gli altri sono i discendenti dei sopravvissuti dell’Olocausto e delle altre grandi tragedie del passato. Destinati a crescere ascoltando e riascoltando storie disperate, a riconoscere i segni di un trauma incancellabile negli occhi dei propri vecchi, e – si scopre adesso – a portarne sulle spalle l’eredità non solo culturale, ma biologica.

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Lo rivela uno studio condotto dal Mount Sinai Hospital di New York e pubblicato sulla rivista Biological Psychiatry . Rachel Yehuda e i suoi colleghi hanno indagato il Dna di 32 ebrei, uomini e donne, che sono stati internati in campi di concentramento, hanno subito torture o le hanno viste infliggere, oppure si sono dovuti nascondere per sfuggire alle persecuzioni naziste. Ma soprattutto i ricercatori hanno analizzato il Dna dei loro figli, identificando delle peculiarità assenti nei discendenti degli ebrei che durante la seconda guerra mondiale si trovavano al sicuro fuori dall’Europa. Com’è noto i geni sono costituiti da sequenze di lettere, che vengono ereditate dai genitori e non sono modificate in via diretta dalle esperienze vissute.

L’ambiente circostante, e dunque gli accadimenti della vita, invece, possono influenzare un secondo tipo di ereditarietà, che viene detta epigenetica per distinguerla da quella genetica classica. Accade attraverso alcune modifiche chimiche come la metilazione del Dna, che influenzano lo stato di accensione o spegnimento dei geni. All’inizio degli anni 2000 la scienza ha iniziato ad accorgersi che lo stile di vita dei genitori può influenzare l’aggiunta o la rimozione di queste targhette chimiche. Il fenomeno, ad esempio, sembra contribuire allo sviluppo di alcune malattie nei figli di madri che non hanno mangiato abbastanza durante un periodo critico della gestazione, come suggerisce uno studio sulla fame che ha colpito l’Olanda negli anni ‘40.

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Mentre un’altra ricerca ha evidenziato una correlazione tra il peso dei figli e l’età in cui i padri avevano iniziato a fumare. Il gruppo del Mount Sinai si è concentrato in particolare su un gene che si trova in una regione importante per la regolazione degli ormoni dello stress e dunque per la capacità di reagire a eventi estremi. Nei sopravvissuti all’Olocausto e nei loro figli il livello di metilazione appare diverso che nei gruppi di controllo. Un segno del trauma che si portano dentro, probabilmente, ma forse anche una risorsa che la biologia offre loro per aiutarli a superare le avversità. Uno strumento di plasticità e resilienza, insomma. «Per quanto ne sappiamo questa è la prima dimostrazione della trasmissione di stress precedente al concepimento con cambiamenti epigenetici sia nei genitori che nei figli», hanno dichiarato gli autori dello studio in questione.

Chissà, forse tra qualche anno i ricercatori potrebbero scoprire tracce simili nel Dna dei profughi di guerra che oggi raggiungono l’Europa in condizioni tragiche e in quello dei bambini che metteranno al mondo. «I padri han mangiato l’uva acerba e i denti dei figli si sono allegati», recita un adagio citato dalla Bibbia. La cultura e la religione ebraica avevano capito il fardello dell’eredità intergenerazionale, nota Yehuda che è una delle massime esperte di stress post-traumatico. «Giusto o ingiusto che sia è un fatto. Un fatto culturale e anche biologico».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


lettere@corriere.it

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