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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.04.2015 Perché la Turchia non può entrare nell'UE
Analisi di Ricardo Franco Levi

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 aprile 2015
Pagina: 32
Autore: Ricardo Franco Levi
Titolo: «Perché la Turchia non può entrare nell'Ue»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 15/04/2015, a pag. 32, con il titolo "Perché la Turchia non può entrare nell'Ue", l'analisi di Ricardo Franco Levi.


Ricardo Franco Levi


La Turchia di Erdogan

Posto di fronte alla furibonda reazione della Turchia alle parole di papa Francesco sul «genocidio degli armeni» — e particolarmente all’«avvertimento» lanciato ieri da Erdogan al pontefice — il governo italiano ha scelto la strada dell’estrema prudenza con il ministro degli Esteri Gentiloni che ha definito «ingiustificati» i toni usati dai turchi. Da dove nasce la straordinaria timidezza del governo di Roma?

Questa è la domanda a cui è più interessante cercare di dare risposta. Una chiave ce la danno le parole del sottosegretario alla Presidenza del consiglio Gozi, non a caso, all’interno dell’esecutivo, delegato agli Affari europei: «il governo italiano con la Turchia sta affrontando i problemi di oggi: diritti umani, minoranze e democrazia».

Questi sono i termini che definiscono il criterio ultimo e decisivo con cui l’Unione europea giudica se un Paese abbia le carte in regola per diventare un membro della propria famiglia.

Eh sì. Perché la Turchia, insieme all’Islanda e a tutti i Paesi dei Balcani non ancora entrati come membri di pieno diritto (Albania, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Serbia), compare nella lista dei Paesi che si preparano all’ingresso nell’Ue. È una lunga storia quella dell’avvicinamento della Turchia all’Europa. Una storia che va indietro nel tempo sino al 1959, quando la Turchia fu tra i primi Paesi a cercare una stretta collaborazione con l’allora giovanissima Comunità economica europea, e che ha conosciuto le sue più recenti e importanti tappe nel 1996, quando fu varata l’unione doganale con l’Ue, nel 1999, quando alla Turchia fu ufficialmente riconosciuto lo status di Paese candidato e nel 2005, quando si aprirono i negoziati per l’adesione. Da allora, la strada è stata tutta in salita e i negoziati, complice o scusante la crisi turco-cipriota, si sono di fatto impantanati.

La realtà, la dura realtà, è che i tempi stavano cambiando. Finiva una lunga stagione nella quale i governi europei, un po’ trattando i turchi come «figli di un dio minore», un po’ concedendosi lo spensierato lusso di promesse poste nel grembo di un futuro che immaginavano lontanissimo, avevano preso impegni senza realmente pensare di doverli poi mantenere. E iniziava il tempo dei conti veri e dei dubbi di fondo. Quanto ai conti, da parte europea si prendeva progressivamente coscienza del fatto che una Turchia membro dell’Unione, in base al proprio reddito pro capite e alla propria popolazione, avrebbe ricevuto più aiuti regionali e avuto più seggi nel Parlamento europeo di qualsiasi altro Paese.

Quanto ai dubbi, il pendolo delle riflessioni oscillava tra chi voleva la Turchia nell’Unione come ponte strategico, culturale e religioso tra Europa e Islam, e chi, proprio in quanto Paese musulmano non la voleva nell’Europa dalle radici cristiane. Da parte turca, in parallelo, si andava indebolendo la prospettiva dell’ingresso nell’Ue vista come unica e obbligata strada verso lo sviluppo. Stanno qui, in questa ambiguità di fondo, in questa mancanza di sincerità nei rapporti tra Europa e Turchia, le radici della timida reazione del governo italiano all’ira di Ankara contro il pontefice. È ora di riconoscere e di dire apertamente che la Turchia non può entrare nell’Unione europea e che le ragioni di questa impossibilità sono interamente e profondamente laiche e politiche.

La Turchia è e si sente ormai una grande potenza regionale che, come tale, non può accettare di contenere le proprie aspirazioni e ambizioni nel quadro definito dagli interessi condivisi dei Paesi europei e non può, per questo, in alcun modo essere assimilata a un semplice Paese membro dell’Unione. Con la Turchia bisogna trovare insieme le forme di un rapporto importante e ricco di contenuti ma diverso dalla partecipazione all’Unione. In questa prospettiva tutto potrà diventare più chiaro e semplice: anche la critica sul genocidio degli armeni.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


lettere@corriere.it

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