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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.01.2015 L'allarme di Alain Finkielkraut
Lo intervista Stefano Montefiori

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 gennaio 2015
Pagina: 5
Autore: Stefano Montefiori
Titolo: «Solo un soprassalto salverà l'dentità della Francia»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA/LETTURA di oggi, 25/01/2015, a pag. 5, l'intervista di Stefano Montefiori a Alain Finkelkraut, dal titolo " Solo un soprassalto salverà l'dentità della Francia ".


Alain Finkielkraut

Stefano Montefiori

Sotto la lente deformante del romanticismo verso gli altri, la nuova norma sociale disegna una Francia in cui l'origine non ha diritto di cittadinanza se non a condizione di essere esotica, e in cui una sola identità è tacciata d'irrealtà: l'identità nazionale». Ecco perché, secondo il filosofo Alain Finkielkraut, quella francese è un'identità infelice. È uno dei passaggi chiave di un saggio che, da quando è uscito in Francia nell'ottobre 2013, sta al centro del dibattito politico e sociale. L'identità infelice esce adesso in Italia per Guanda, e «la Lettura» ha incontrato il sessantacinquenne filosofo per parlare dei temi del suo libro — integrazione, immigrazione, Europa, Islam — alla luce degli attentati, e della grande marcia dell'11 gennaio, che ha visto scendere in piazza milioni di persone in tutta la Francia.
Alain Finkielkraut, qual è il suo giudizio sui fatti di Parigi?
«La manifestazione è stata enorme. Direi che i francesi, onorando le vittime del terrorismo, hanno sotterrato il dopoguerra. Un altro periodo di storia si apre, cambiamo epoca. Lo spirito del Sessantotto è morto».
Perché?
«il Sessantotto e gli anni successivi sono stati, in Francia, una specie di combinazione di radicalismo e spensieratezza. Un radicalismo fondato sull'idea che la storia non potesse più essere tragica. Ed ecco che un nemico vero arriva a falciare i giornalisti di "Charlie Hebdo", interpreti di quello spirito beffardo. Il popolo si mobilita per rendere loro un ultimo omaggio, che si accompagna con il canto della Marsigliese e la celebrazione dei poliziotti. Nel Sessantotto gridavamo: "Crs Ss!" (i Crs sono reparti della polizia, ndr). L'11gennaio invece le forze dell'ordine sono state applaudite. Perché avevamo bisogno di essere protetti».
Lei vede oggi all'opera in Francia un «partito del Soprassalto» e un «partito dell'Altro», ed è stato un precursore del primo. Può descriverlo?
«Per la prima volta i giornalisti, i media, raccontano l'ampiezza del movimento ostile a "Charlie", quelli che anche in Francia dicono Je ne suis pas Charlie. Tutto questo esiste da tempo. Sappiamo dal 2002 che ci sono territori perduti della Repubblica. L'antisemitismo non è solo l'opinione dominante nelle nostre banlieue, ma un vero codice culturale, i professori non possono più insegnare la Seconda guerra mondiale. Questa realtà era taciuta per paura di essere tacciati di islamofobia. Adesso invece si è prodotto, e non so quanto durerà, un vero disvelamento. Questo è il partito del Soprassalto».
E il partito dell'Altro?
«Non ha detto la sua ultima parola. Il premio Nobel per la letteratura Jean-Mane Le Clézio ha appena pubblicato una lettera a sua figlia in cui sostiene che la vera guerra è quella che dobbiamo condurre contro l'ingiustizia, il partito dell'Altro è questo movimento rousseauiano radicato nella nostra società, secondo il quale la fonte di tutti i mali del genere umano è la dominazione. Dunque, un dominato è innocente anche quando è colpevole, e un dominante è colpevole anche quando è innocente».
Chi vincerà?
«La battaglia ideologica è cominciata, non so ancora dire quale sarà il suo esito. Ma bisogna porre la questione dell'immigrazione. L'antisemitismo e il negazioni-smo regnano, oggi, nel mondo arabo-musulmano. Una stragrande parte dell'opinione pubblica egiziana è certa che i massacri dell'11 settembre siano un complotto del Mossad».
Crede che questo antisemitismo venga importato in Francia?
«L'immigrazione in Francia è soprattutto musulmana e araba. Più vivranno in Francia delle persone formate da questo tipo di discorso, meno sarà possibile fare loro intendere ragione. Se si continua così tra 20 anni, 30, diciamo tra 50 anni, gli ebrei qui non avranno più il loro posto».
Lei parla dell'immigrazione, eppure i terroristi islamici che hanno colpito a Parigi sono nati in Francia, non erano appena arrivati.
«D'accordo, sono nati in Francia ma sono figli dell'immigrazione. Viviamo in una specie di separazione territoriale e culturale, è quel che mostra molto bene il geografo Christophe Guilluy: il popolo autoctono non vive più in banlieue, ma al di là di essa, in quella che lui chiama la zona peri-urbana».
L'impressione, però, è che lo Stato francese non sia così debole: la legge sul velo, il divieto di burqa, la laicità ribadita.
«Queste leggi sono state denunciate — non solo da accademici americani come Martha Nussbaum o Charles Taylor, ma anche da tutta una parte di opinione pubblica francese — come islamofobe. Anche "Charlie Hebdo" è stato accusato, negli ultimi anni, di razzismo e islamofobia. ll minimo sarebbe, oggi, farla finita con questa etichetta infamante».
Accanto a queste forme di separazione non pensa che molti musulmani siano integrati, a Parigi o in altre città?
«Certamente. Questa minoranza che si integra soffre del radicalismo islamico, si sentono sospettati e pagano per gli altri. Una cosa terribile. Ma si dice che gli integrati rappresentino l'immensa maggioranza... Non lo so. Se fosse così, la marcia dell1 gennaio sarebbe stata in effetti il trionfo della diversità, cosa che non è stata. Era invece etnicamente molto omogenea».
Lei viene spesso rimproverato di alimentare un clima poco propizio all'integrazione, le sue previsioni di sventura sono definite profezie che si auto-avverano.
«SI, certo, siamo io e gli altri come me a fabbricare l'islamismo radicale... Io cerco di seguire la grande indicazione di Péguy: dire quel che si vede e soprattutto vedere quel che si vede. Non minimizzo i rischi di razzismo. Sì, certamente, è un pericolo che si arrivi a trattare qualsiasi musulmano come un invasore, un nemico, un jihadista potenziale: sarebbe instaurare da noi lo spirito del pogrom. Bisogna lottare nel modo più implacabile contro simili derive. Ma è l'antisemitismo musulmano che oggi non si vuole riconoscere».
Come aiutare l'integrazione dei musulmani che sono già qui?
«Bisogna affermare che un certo numero di cose non sono negoziabili, ed essere intransigenti con chi rifiuta di stare al gioco. In particolare a scuola. La difficoltà è estrema, perché le nuove tecnologie vengono in aiuto all'oscurantismo. I giovani che evocano una montatura a proposito della strage a "Charlie Hebdo" brandiscono lo smartphone come prova delle loro parole. Internet offre tutto, e io posso inventarmi la realtà di cui ho bisogno per essere quel che sono e continuare a credere a quel che credo».
Alain Finkielkraut, lei si è spesso lamentato del «pensiero unico» e del politicamente corretto, ma le sue idee ora sono più accettate. Di sicuro più di quanto non accadesse per esempio dieci anni fa.
«Nel 2005, quando rifiutavo di interpretare la sommossa delle banlieue come una rivolta contro l'ingiustizia della République, ero molto isolato. Lo sono meno oggi, certamente. La mia inquietudine è che la lucidità alla fine sta arrivando, ma quando forse è troppo tardi».

Alain Finkielkraut: scheda

Alain Finkielkraut (Parigi, 1949) ha insegnato Cultura generale e Storia delle idee al dipartimento di Scienze umanistiche e sociali dell'Ecole Polytechnique di Parigi. Noto per le sue prese di distanza da relativismo e pensiero debole, Finkielkraut ha quali modelli alla base delle sue riflessioni sulla contemporaneità  Emmanuel Lévinas e Vladimir Jankélévitch. Nel 2014 è entrato a far parte dell'Académie française, fondata nel 1635 dal cardinale Richelieu.
Fra le sue opere tradotte in italiano: II nuovo disordine amoroso (con Pascal Bruckner, Garzanti 1979; traduzione di Clara Morena, pp. 294, 12,30); L'ebreo immaginario (Marietti 1990; traduzione di Emanuela Fubini, pp. 172, 12,91); L'umanità perduta. Saggio sul XX secolo (Lindau 1997; traduzione di Liliana Piersanti, pp. 148, 14); Nel nome dell'Altro. Riflessioni sull'antisemitismo che viene (Ipermedium Libri 2004; a cura di Enzo Campelli, pp. 40, 5,50); Un cuore intelligente (Adelphi 2011; traduttore Francesco Bergamasco, pp. 212, 20); e L'incontemporaneo. Péguy, lettore del mondo moderno (Lindau 2012; traduzione di Sergio Levi, pp. 160, 19) Il volume Il nuovo saggio L'identità infelice esce il 5 febbraio da Guanda (traduzione di Sergio Levi, pp. 240, 18)

 

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