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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.12.2014 Belluno, storia di ordinario jihad: va a combattere per l'Isis con il figlio di tre anni
Giusi Fasano intervista la moglie del terrorista Isis di Belluno, analisi di Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 dicembre 2014
Pagina: 23
Autore: Giusi Fasano - Guido Olimpio
Titolo: «Il pianto della mamma: 'Mi consumo gli occhi guardando il suo viso' - Arruolati (e indottrinati) per la gloria dei genitori»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/12/2014, a pag. 23, con il titolo "Il pianto della mamma: 'Mi consumo gli occhi guardando il suo viso' ", l'intervista di Giusi Fasano a Lidia Solano Herrera, madre del piccolo Ismail, 3 anni, portato in Siria dal padre Ismar Mesinovic, poi ucciso mentre combatteva per l'Isis; con il titolo "Arruolati (e indottrinati) per la gloria dei genitori", il commento di Guido Olimpio.


Ismar Mesinovic ha lasciato Belluno per arruolarsi tra le milizie dell'Isis. Ha condotto con sé Ismail, il figlio di tre anni

Ecco gli articoli:

Giusi Fasano intervista Lidia Solano Herrera: "Il pianto della mamma: 'Mi consumo gli occhi guardando il suo viso' "


Giusi Fasano

Non c’è ricordo che non diventi lacrime. Lidia piange disperata, come se avesse perduto Ismail per sempre. «Ma lei l’ha visto? Ha gli occhi tristi...».

Tristi, sì. «È come se capisse in che mondo è finito, in che mani è finito, povero bimbo mio».

Non mi dica che ha buttato via la speranza. Non ci credo. «No, quella mai. Io prego ogni giorno che me lo riportino indietro. Spero che torni qui accanto a me. Ho consumato le fotografie e i miei occhi a forza di guardarle. Penso sempre a lui, solo a lui».

Cosa ricorda dell’ultima volta che ha visto Ismail? «Mi fa male il solo pensiero. Lui non voleva stare con suo padre. Era legatissimo a me, voleva stare sempre accanto a me. Io sono cubana e in quel periodo dovevo tornare a Cuba per un po’. Ricordo che dissi a mio marito: parto e porto il piccolo con me. Ma obiettò che l’avevo già fatto l’anno prima e che adesso toccava a lui portarlo con sé dai parenti...»

E lei glielo lasciò fare... «Certo. Mi disse: sai che la mia famiglia gli vuole bene. Ed era vero. Eravamo separati e lui aveva portato Ismail altre volte fuori dall’Italia, dai suoi parenti in Bosnia e in Germania. Mi sembrava giusto, per il bene del bimbo e poi perché era giusto che lo vedesse anche la famiglia di lui. Ho lasciato che andasse anche quella volta perché non c’era motivo di credere che me l’avrebbe portato via».

Non ha risposto alla domanda di prima: l’ultima volta che ha visto Ismail. «Sento quasi il suo profumo. Sto male ogni volta che rivedo quel sorrisetto. L’abbraccio, il bacio, le parole di saluto... quanto mi manca. Chissà se mi riconoscerà quando mi vedrà. Chissà se ricorderà la mia voce. Aveva due anni appena quando l’ho visto quell’ultima volta, e a due anni non è che si dicono tante parole. Adesso ne ha tre, magari ha dimenticato le parole imparate in Italia. Farei qualunque cosa per riaverlo fra le braccia, per sentirmi dire ancora “mamma” con quella vocina che è sempre qui, nella mia testa». Pausa. Lacrime. E poi di nuovo ai giorni più bui.

Quando ha capito quello che era un rapimento? «Mentre ero a Cuba. Mio marito non rispondeva più al telefono... poi una zia mi ha chiamato per dirmi che Ismar era andato via col bambino. Quando ho saputo che erano partiti per la Siria è stato come se tutto attorno a me barcollasse. Il mio piccolino in Siria... Ma ci pensa lei? Può immaginare come si può sentire una madre davanti a una notizia del genere?».

Ha mai sospettato che suo marito potesse diventare un combattente dell’Isis? «Mai, assolutamente. Sapevo che suo padre era morto durante la guerra in Bosnia e che questo lo aveva molto turbato. Ma non ho mai avuto nemmeno lontanamente il sospetto che Ismar fosse in qualche modo attratto dalla stessa causa dei fondamentalisti. Figuriamoci pensare che un giorno avrebbe coinvolto Ismail in tutto questo....».

Torniamo alla fotografia recente di suo figlio. «A me sembra proprio lui. Il cuore di una mamma non può sbagliare...»

Diceva che lo trova triste, in quell’immagine. «Sì. È la prima cosa che mi è venuta in mente. Lo vedo con un’espressione che starebbe meglio a un adulto: un po’ preoccupato, quasi. Ma gli occhi sono i suoi, le labbra sono le sue. Lui è il mio Ismail e io non mi arrenderò finché non lo riporteranno da me».

Fonti investigative dicono che indagini sono sulla strada giusta. «Non può sapere quanto sto pregando perché sia davvero così».

Guido Olimpio: "Arruolati (e indottrinati) per la gloria dei genitori"


Guido Olimpio

I khmer rossi usavano i bimbi come spie per tenere d’occhio i genitori. I signori della guerra africani hanno messo un kalashnikov nelle mani di centinaia di minori trasformandoli in macchine per uccidere. Ora è il turno dei militanti dell’Isis che portano i figli, anche in tenera età, sul sentiero della Jihad. Dal Nord Africa e dall’Europa sono partiti in tanti con la famiglia al seguito trasferendosi nei territori sotto l’autorità del Califfo, in Iraq e in Siria. Una presenza per nulla segreta. Nessuno si nasconde. Anzi, molti ostentano le loro attività. Perché portano gloria e riconoscimenti nell’ambiente sociale di riferimento. È la dimostrazione di un’adesione totale. L’Isis ha creato le sue scuole, dove oltre a imparare a leggere e a scrivere, i piccoli adepti vengono indottrinati a dovere. Corsi religiosi che sono resi ancora più forti dalla realtà circostante, intrisa di violenza e sangue. La guerra è vita quotidiana. I filmati mostrano spesso minori, accanto agli adulti, davanti alle vittime di esecuzioni brutali. E in qualche caso non sono soltanto spettatori. Khaled Sharrouf, arrivato dall’Australia per unirsi ai miliziani, ha messo in mano al figlio di sette anni la testa decapitata di un uomo e poi lo ha fotografato. Scatto seguito da un altro: ci sono i tre fratellini, armati e bardati. Si è parlato anche di campi d’addestramento dove i bambini imparano a sparare e forse a fare anche altro sul corpo dei nemici. È un passaggio del testimone, è l’incitamento a proseguire nella battaglia nel caso il padre diventi «martire» e anche una protezione contro il mondo dei «miscredenti». Il volontario dell’Isis che parte da Rovigo o da Bruxelles si porta dietro moglie e prole anche per sottrarli ai pericoli di una contaminazione esterna. Comunque nulla di nuovo rispetto al passato e ad altri movimenti che con sfumature diverse giocano sull’immagine dei mini-guerrieri. Il passo successivo è l’impiego diretto, affidando una cintura esplosiva da attentatore ad un tredicenne convinto che quella sia la scelta giusta. Peccato che siano altri ad averla fatta per lui.

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