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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.10.2014 Tunisia: che ne è stato della rivolta araba
Analisi di Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 ottobre 2014
Pagina: 17
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «L'ambulante, la poliziotta, i parenti. Che ne è stato della rivolta araba»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 25/10/2014, a pag.15, l'articolo di Francesco Battistini dal titolo "  L'ambulante, la poliziotta, i parenti. Che ne è stato della rivolta araba ".

                                               Francesco Battistini

DAL NOSTRO INVIATO SIDI BOUZID (Tunisia) Nemmeno i Bouazizi sanno se andranno a votare. «Ci fosse almeno Ben Ali... Con lui le cose andavano meglio…». A zio Rida spiace per suo nipote Basbusa, sia chiaro, e lo chiama con rispetto lo shahid, il martire: «Basbusa ci ha cambiato la storia». Ma dopo tutta questa rivoluzione a zio Rida Bouazizi, 42 anni e un piede torto, spiace soprattutto per sé: «Da allora, abbiamo solo la libertà di lamentarci». Dice che in famiglia la pensano come lui, si stava meglio quando si stava peggio: «Guarda quest’uva: ai tempi di Ben Ali, la compravo a mezzo dinaro e la vendevo a uno. Adesso la compro a tre e la vendo a tre e mezzo. Me ne andavano venti cassette al giorno: stasera, se va bene, ne ho venduta una».
La famosa carriola che una poliziotta della Tunisia centrale decise di confiscare all’ambulante Mohammed «Basbusa» Bouazizi, il rivoluzionario zero, spingendolo a darsi fuoco e ad accendere le rivolte fino in Yemen, quel carretto oggi è un banchetto un po’ più grande, senza ruote e senza clienti, gestito da zio Rida dietro la via principale di Sidi Bouzid. Il marciapiede dove Basbusa s’incendiò quattro anni fa è stato pavimentato: c’è un monumento alla carriola — «Tunisiens, tout le mond est fier de vous!» —, sopra il palazzo del-le poste una gigantografia di Bouazizi con le foto delle piazze arabe che da quel 17 dicembre si sollevarono. La memoria però si ferma qui: intorno, tutto è cambiato perché nulla cambiasse. La poliziotta arrogante, Fedia Hamdi, scontati quattro mesi di prigione è tornata al suo lavoro e, anzi, è stata promossa tenente colonnello. Il funzionario che aveva negato la licenza a Basbusa, sospeso quattro mesi, è di nuovo il segretario del Comune e ora se la ridacchia: «Bouazizi? Un ubriacone che s’è dato fuoco senza neanche rendersene conto… — è sprezzante Mohamed Salah Masoudi —. La sua famiglia? Spazzatura. La rivoluzione? Eccola qui: terroristi e disoccupazione. Ogni 17 dicembre organizziamo una cerimonia in piazza per ricordare "il grande gesto": ma lo sa che è una festa identica a quella che facevamo per Ben Ali?». Anche la casetta di calce grezza dell’ambulante è sbarrata. I vetri rotti a sassate, i vicini che sanno poco. «Era gente che non veniva nemmeno in moschea», liquida l’imam Mohaddin. Mamma Manoubia e i quattro fratelli Bouazizi vivono ormai fra un elegante residence di Tunisi e il Canada. Qui, li detestano: «Hanno fatto i soldi sfruttando la memoria del martire — dice Nizar, 33 anni, un ingegnere —, hanno avuto pensioni, case gratis. Li hanno portati da Ban Ki-moon. Un loro parente s’è costruito una villa con le iniziali sul cancello. Ma per la città non hanno fatto nulla. Se tornano, la gente li prende a calci».
Sidi Bouzid è la cartolina dell’autunno tunisino. Invelenita, disoccupata, spaventata: in quattro anni, qui hanno visto insediarsi solo una fabbrica di yogurt, migliaia di profughi libici, decine di radicali islamici. Unica rivoluzione araba scampata alle piaghe d’Egitto, di Siria e di Libia, capace di darsi una Costituzione avanzata per i diritti delle donne, la primavera tunisina sta perdendo il dolce profumo del gelsomino: oggi fornisce al Califfato dei tagliagole più volontari di qualunque altro Paese al mondo. Ed è certo che molti di loro non andranno alle urne, né domani per eleggere il Parlamento, né il 23 novembre per il nuovo presidente. La campagna elettorale non s’è vista, con la polizia impegnata a sventare attentati all’ambasciatore americano e a stanare cellule jihadiste: ieri, in una sparatoria alla periferia di Tunisi, ci sono andati di mezzo sei civili. Niente sondaggi, risultati imprevedibili: data per probabile la vittoria di Ennahda, onnipresente partito che gioca il ruolo dell’islamico moderato anti-Isis; scontata la sorpresa di Nidaa Tounes (Appello alla Tunisia) che si rifà alla tradizione laica del padre della patria Bourghiba, pur imbarcando vecchi arnesi del regime e puntando alla premiership con un giurassico leader, Beji Caid Essebsi, 88 anni suonati; possibile una grande coalizione che costringa Ennahda a mantenere un volto rassicurante, evitando quegli strappi da ultrà islamici che dopo Ben Ali hanno spaventato un Paese rimasto legato, comunque, a modelli di laicità francese. «Sarà un voto decisivo», s’appella il presidente uscente Moncef Marzouki. «Comincia il vero dopo-rivoluzione», dice Hassan Zahar, editorialista di Réalité : «Le domande sono: dopo la democrazia, arriverà lo sviluppo? O i tunisini dovranno pentirsi d’aver aperto questa strada?». A Sidi Bouzid, le risposte se le danno già.

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