sabato 20 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.08.2014 James Foley come Daniel Pearl, il silenzio sui cristiani perseguitati
Riflessioni di Bernard Henry Lévy e Ronald Lauder

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 agosto 2014
Pagina: 4
Autore: Bernard Henry Lévy - Ronald Lauder
Titolo: «James, Daniel: il rito dell'umiliazione - 'Il silenzio sui cristiani ricorda quanto successe agli ebrei'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/08/2014, a pag. 4, l'articolo di Bernard Henry Lévy dal titolo  "James, Daniel: il rito dell'umiliazione" e da pag. 7, l'articolo di Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, dal titolo   'Il silenzio sui cristiani ricorda quanto successe agli ebrei'.

Di seguito, l'articolo di Bernard Henry Lévy:

      
Bernard Henry Lévy         James Foley


                                                    

Daniel Pearl

Ci si chiede fino a che punto l’esecuzione del giornalista americano James Foley abbia segnato, in questa guerra, una svolta nell’orrore: difficile dirlo. C’era già stato, dodici anni fa, il caso di Daniel Pearl. E nello stesso Iraq, nelle ultime settimane, si sono succedute decapitazioni, crocifissioni, mutilazioni genitali inflitte a cristiani e yazidi. Ma in questa occasione si è toccato certamente un apice. La messa in scena dell’esecuzione, la scenografia delle immagini, in diretta, su Internet, non possono che far rabbrividire e denotano incontestabilmente un salto nell’efferatezza globalizzata.
Perché la decapitazione? A che cosa corrisponde, in ultima analisi, questa scelta particolarmente spettacolare e atroce? Ho passato mesi interi, in Pakistan, alla ricerca degli assassini di quell’altro giornalista, che assomigliava a Foley come a un fratello e che si chiamava Daniel Pearl, a setacciare i loro discorsi. L’idea era chiarissima: trattare la vittima come una bestia, sgozzarla come si sgozza un animale. Svuotarla della sua umanità man mano che si svuota del suo sangue. Bisogna immaginare la lama che cerca, tasta, riprova più volte prima di trovare il punto dove conficcarsi. Anche in tutto questo cerimoniale abietto ritroviamo la volontà sadica di far assaporare alla vittima la sua stessa morte, fargliela vedere in faccia, e nella sofferenza peggiore. Questa era la logica dei carnefici, allora, e si è ripetuta anche con Foley.
Come interpretare le ultime parole del giornalista prima del supplizio? Nel caso di Daniel Pearl, avevo scoperto che le sue frasi finali erano state un messaggio in codice, una specie di celebrazione — destinata alla famiglia — della sua identità ebraica, umiliata e schernita dai suoi aguzzini. Nel caso di Foley, il suo modo di rivolgersi non soltanto a Obama, ma anche al fratello, per addossare sulle loro spalle il peso della sua morte imminente, rappresenta il colmo dell’infamia e non so ancora, a questo punto, come interpretarlo. Quelle frasi gli sono state dettate? Sperava forse, nel pronunciarle, di sottrarsi al destino che lo aspettava? L’avevano forse drogato? Plagiato? Ad ogni modo, ci siamo ritrovati spiazzati, rapiti nel vortice di un orrore senza fine, orrore destinato a ripetersi innumerevoli volte in tutti i passaggi mediatici di questo video nella società dello spettacolo.
Una simile messa in scena non può che scatenare lo sdegno generale nel mondo intero e in particolar modo nel mondo arabo-musulmano. Allora perché? A cosa mira lo Stato islamico nel perseguire questa rotta? Si è tentati di immaginare che lo sdegno non sia poi così universale, o che i dirigenti dello Stato islamico siano convinti che tanti esseri infami, in giro per il mondo, troveranno del tutto normale, per non dire eroico, uccidere un uomo in quel modo.
Quando lavoravo al caso di Daniel Pearl ero riuscito a scovare, nei mercati e nei negozietti di Karachi, alcune videocassette della sua decapitazione, messe in vendita accanto a quelle di Bin Laden o altro materiale di propaganda di Al Qaeda. In altre parole, esiste un mercato anche per questo. E questi individui, gli apostoli del Male del XXI secolo, calcolano freddamente di raccogliere nuovi adepti offrendo loro un nuovo modello, una nuova forma di terrore, una nuova arma. Terrore, istruzioni per l’uso: è assurdo, ma è così.
E quale sarebbe a conti fatti il peso di questo Stato islamico? Rappresenta forse un pericolo maggiore rispetto ad Al Qaeda al tempo della sua strapotenza? Certamente, se non altro per il fatto che è impegnato a ritagliarsi un territorio, uno vero, con tutto il suo potenziale finanziario, petrolifero e militare derivato dalle sue «conquiste». Non dimentichiamo poi il vecchio sogno, che risale alla Setta degli Assassini e successivamente ai Fratelli musulmani pro nazisti, e cioè quello che i nostri jihadisti di terza generazione stanno cercando di realizzare a marce forzate: l’annientamento dei cristiani nell’ultimo angolo del mondo in cui si parla ancora la lingua di Cristo. Se permetteremo questo scempio, se non saremo capaci di opporre resistenza, e subito, sarà una catastrofe immane per la civiltà umana e per il mondo intero.
Che cosa possono fare le grandi potenze? Proseguire sulla strada dell’intervento militare, come stanno già facendo, e senza tentennamenti. Ma non è solo compito delle grandi potenze, bensì anche quello, e soprattutto, del mondo arabo. Alla grande Conferenza di Parigi annunciata dal presidente francese François Hollande sarà opportuno invitare i qatarioti, i sauditi, gli emiratini e altri ancora, per far sì che costituiscano, dietro l’iniziativa della Francia o dell’Europa, il nocciolo di una coalizione militare capace di fermare il Califfato della morte. Questi pompieri piromani hanno giocato, assieme all’Iran, con il fuoco dell’Islam radicale e del jihadismo. Ora è venuto il momento di prendersi le proprie responsabilità. È venuto il momento di spegnere l’incendio che essi stessi hanno innescato, perché ormai è in gioco la loro stessa sopravvivenza.
Basterà fornire armi ai curdi e continuare con i bombardamenti aerei? Lo so che questa è la domanda che ci si pone ovunque, nelle cancellerie e nei dibattiti pubblici. Ma nessuno ha la risposta esatta e persino in questo momento nessuno è ancora in grado di valutare il reale potenziale militare di questi fanatici di Dio, che sono fortissimi quando si tratta di sgozzare un uomo in ginocchio, ma che lo saranno forse meno quando si ritroveranno di fronte i peshmerga agguerriti e sufficientemente equipaggiati. Se è necessario cominciare, facciamolo subito. Ma facciamolo veramente, e seriamente, e non solo per la platea e a parole, ma a fianco dei Paesi della Lega araba, che dovranno fare causa comune con l’Europa, con maggior forza e convinzione di quanto è stato fatto in Libia. Solo a quel punto si capirà se occorre — e se conviene — inviare truppe di terra.
Le comunità musulmane, specie in Francia, hanno condannato a chiare lettere l’oppressione dello Stato islamico. Da Riad al Cairo fino a Parigi, le massime autorità spirituali hanno cominciato — per fortuna — a denunciare questa barbarie che sfigura e disonora l’Islam. Hanno tardato a far sentire la loro voce, ma alla fine l’hanno fatto e l’assassinio atroce di James Foley ha avuto almeno l’effetto di risvegliare le coscienze e di costringere molti a prendere posizione. Ma che dire di quei manifestanti che, ancora ieri, sfilavano per la Palestina e per Gaza? Che cosa aspettano per scendere di nuovo in piazza a prendere le difese dei fratelli cristiani, yazidi e musulmani minacciati di genocidio in nome di un vessillo nero che sventola sulle fosse comuni dell’antica Ninive? Perché non si sentono, non dico gridare e denunciare, ma nemmeno esprimere l’orrore che ispira l’omicidio di un giornalista che era, e che resterà, come Daniel Pearl, il volto del martirio e dell’innocenza? Davvero strano.

Di seguito, l'articolo di Ronald Lauder:


Ronald Lauder


Cristiani iracheni

Perché il mondo tace mentre i cristiani sono sterminati? In Europa e negli Stati Uniti abbiamo assistito a dimostrazioni di massa per la morte dei palestinesi, usati come scudi umani come copertura per il lancio di razzi da parte delle organizzazioni terroristiche di Gaza. L’Onu fa le sue indagini e indirizza la sua attenzione solo su Israele. Ma il terribile massacro di migliaia e migliaia di cristiani nei modi più barbari è stato accolto con assoluta indifferenza.
Le comunità cristiane del Medio Oriente e di parte dell’Africa centrale stanno scomparendo più o meno allo stesso modo nel quale in Europa ottanta anni fa gli ebrei furono uccisi o si diedero alla fuga. Poche proteste si levarono sulle campagne di epurazione naziste del 1930 prima che fosse troppo tardi, e come allora, il silenzio di oggi è altrettanto assordante. Gli storici guarderanno a questo periodo chiedendosi se le persone avessero veramente perso la ragione. Pochissimi i giornalisti che hanno potuto testimoniare in Iraq l’ondata di terrore simil-nazista che sta invadendo il Paese. Le Nazioni Unite sono state per lo più immobili. I leader mondiali sembrano essere impegnati in altre questioni in questa strana estate del 2014. Non ci sono «flottiglie» umanitarie in viaggio verso la Siria o l’Iraq. Perché le grandi celebrità e le invecchiate stelle del rock non sono preoccupate quando sono i cristiani ad essere macellati?
Lo Stato islamico dell’Iraq e della Siria (Isis) non è una semplice coalizione di gruppi jihadisti. Si tratta di una vera e propria forza militare che è riuscita a conquistare gran parte dell’Iraq, con un modello economico vincente che diffonde in punta di lancia dispensando omicidi a sangue freddo. L’Isis prende i soldi dalle banche ed usa le estorsioni vecchio stile per finanziare la sua macchina di morte. Sistema che lo ha reso forse il più ricco gruppo terroristico islamico al mondo. Ma dove eccelle veramente è negli eccidi a sangue freddo che rivaleggiano con le carneficine medievali. Lungo il suo cammino l’obiettivo principale sono diventate tutte le comunità cristiane incontrate, purtroppo molto numerose.
Un uomo d’affari caldeo-americano di nome Mark Arabo intervistato dalla Cnn ha descritto questa scena in un parco di Mosul, «… decapitano bambini e mettono la loro testa su dei bastoni. Per ogni nuovo bambino ucciso, altre madri violentate e uccise, e i padri impiccati».
Ora, dove sono le proteste? Dove sono le grandi manifestazioni di massa con i cartelli e gli slogan urlati? Dov’è la rabbia e lo sdegno?
In un discorso davanti a migliaia di cristiani a Budapest lo scorso giugno, ho fatto una promessa solenne: così come non rimarrò in silenzio di fronte alla crescente minaccia dell’antisemitismo di destra e sinistra in Europa e Medio Oriente, non sarò mai indifferente alla sofferenza cristiana. Ebrei e cristiani leggono la stessa Bibbia, la loro religione condivide la stessa base comune e ora, purtroppo, essi condividono un tipo di sofferenza che li ha presi di mira per una e una sola ragione: muoiono a causa delle loro convinzioni. Muoiono perché sono stati presi di mira da assassini, perché sono indifesi e perché il mondo è indifferente alle loro sofferenze.
Ma questo può e deve essere fermato. Invito i leader mondiali a riunirsi insieme, non per parlare, ma per agire. Abbiamo bisogno di una coalizione formata da uomini e donne di buona volontà per unirsi e fermare questo abominio. Non siamo impotenti. Scrivo questo come cittadino della più forte potenza militare sulla terra. Scrivo questo come leader ebreo che si preoccupa per i suoi fratelli e sorelle cristiani. Questa ondata di morte deve essere fermata. Ora.

Per esprimere la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare al numero 02/62821 oppure cliccare sulla e-mail sottostante

lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT