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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.11.2012 Obama vince le elezioni, ma è solo un 'tragico e infelice clone di Carter'
Alessandra Farkas intervista Cynthia Ozick

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 novembre 2012
Pagina: 13
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «Che errore le scuse all'Islam. Così gli Usa vanno in declino»

Elezioni americane, Barack Obama si riconferma presidente degli Usa per i prossimi quattro anni. Il commento di IC è espresso nella Cartolina da Eurabia di Ugo Volli di oggi (http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=&sez=280&id=46729).

A destra, 'la storia si ripete'

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 07/11/2012, a pag. 13, l'intervista di Alessandra Farkas a Cynthia Ozick dal titolo "«Che errore le scuse all'Islam. Così gli Usa vanno in declino»".


Alessandra Farkas           Cynthia Ozick

NEW YORK — «Dai tempi di Abramo Lincoln un'elezione non era stata tanto cruciale per la salvezza del nostro Paese». Cynthia Ozick, la raffinatissima autrice di capolavori della letteratura americana quali Il rabbino pagano e Il messia di Stoccolma, non associa la propria influente voce al coro di autori che da sempre fanno delle lettere Usa un'isola di liberalismo obamiano.
«Il clima politico in America non è mai stato più ferocemente polarizzato — spiega Ozick — e nessuna elezione della storia recente era più cruciale per il futuro degli Stati Uniti». Ma dopo quattro anni di Obama, il suo bilancio è a dir poco negativo. «Disoccupazione, sottoccupazione, pessimismo, laureati senza sbocco e uso record di buoni pasto ci hanno fatto rivivere l'incubo della Grande Depressione degli anni 30». »
Eppure non è solo l'economia a farle dire di «tremare all'idea di un Obama bis». «Barack Obama non crede nell'eccezionalismo americano, la dottrina universale della libertà individuale che il suo approccio in politica estera ha umiliato fin dall'inizio». Ozick rimprovera ad Obama «tre incidenti indelebili e dolorosi»: l'aver «goffamente restituito agli inglesi il busto di Churchill» (un regalo fatto negli anni 60), il «minaccioso avvertimento a Israele» («faremo chiarezza tra Gerusalemme e Washington») e, infine, il suo «muto silenzio di fronte alla rivoluzione, repressa nel sangue, dei giovani iraniani».
«Ha ragione Romney quando ha accusato Obama di aver organizzato un apology tour accolto in Europa da entusiaste folle di estremisti antiamericani — incalza la scrittrice — che sono andati in delirio quando il neopresidente ha esternato la propria ira contro la presunta arroganza imperialista dell'America».
Non parliamo poi dello storico discorso all'Università del Cairo pronunciato da Obama nel 2009. «Il tentativo maldestro di falsificare la storia ebraica e il suo millenario legame con Israele», lo liquida Ozick, secondo la quale sarebbe coinciso col «corteggiamento dei leader oscurantisti che hanno sempre disprezzato l'America proprio per la sua storica alleanza con Israele».
All'amministrazione Obama, Ozick non perdona di «aver snobbato il discorso del premier israeliano Netanyahu all'Assemblea Generale dell'Onu di due anni fa» né di aver appoggiato il Consiglio del Diritti Umani delle Nazioni Unite, «il più vergognoso covo di antisemiti al mondo».
E se gli ebrei americani hanno continuato imperterriti a votarlo è solo perché «il loro spirito autoassolutorio di incorreggibili liberal gli fa dimenticare le sue passate affinità con il reverendo Jeremiah Wright, il terrorista Bill Ayers e i palestinesi Rashid Khalidi e Edward Said, amici del leader del terrore Arafat. Nel passato di Romney — puntualizza — non ci sono amicizie tanto sgradevoli».
Ma alla fine è in nome dei «nuovi americani» che Ozick — discendente da emigranti ebrei mitteleuropei — ha scelto di votare Romney-Ryan. «Albanesi, nigeriani, messicani, haitiani, coreani, colombiani arrivano su questi lidi per la stessa ragione che un tempo vi spinse italiani, polacchi, cinesi, ebrei, tedeschi, svedesi e giapponesi: la fiducia nella promessa americana di un'opportunità per tutti. Incoraggiare il declino dell'America come fa Obama significa minare la fede di questi emigranti — teorizza —. E dopo tutta quella gran retorica sulla speranza e il cambiamento di quattro anni fa, è indegno che Obama si sia ridotto ad interpretare il tragico e infelice clone di Jimmy Carter».

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