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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.07.2012 Egitto: Alta Corte Costituzionale contro Mohamed Morsi
La riapertura del Parlamento è illegale. Cronaca di Cecilia Zecchinelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 luglio 2012
Pagina: 15
Autore: Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Sfida militari-islamici. I giudici egiziani danno torto a Morsi»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/07/2012, a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo "Sfida militari-islamici. I giudici egiziani danno torto a Morsi".


Mohamed Morsi

Il Parlamento egiziano eletto in inverno e a maggioranza islamica si è riunito per 12 minuti ieri mattina, in seguito al decreto presidenziale di riconvocazione emesso tre giorni fa dal nuovo raìs Mohammed Morsi, primo civile e primo islamico ad assumere tale carica. Una seduta simbolica, non contrastata dai soldati che dal 15 giugno impedivano invece ai deputati di entrare nell'edificio. Quel giorno la Giunta militare al potere da quando cadde Mubarak aveva infatti disciolto l'Assemblea, dopo il verdetto dell'Alta Corte Costituzionale che la dichiarava illegittima perché eletta con vizi giuridici: il terzo dei seggi destinato agli indipendenti era stato occupato in gran parte da candidati dei partiti. Sul verdetto nessuna contestazione. Ma simili casi in passato avevano richiesto anni per arrivare a giudizio, avevano accusato in molti: questa volta la sentenza era stata emessa subito prima dell'ormai probabile vittoria di Morsi, per isolarlo. E la decisione della Giunta di sciogliere poi l'intero Parlamento, anziché invalidare i soli seggi «illegali», era stata vista come parte di un golpe bianco dei militari. Il recente decreto di Morsi che insisteva sulla legalità del Parlamento è stato invece interpretato come una sfida a generali e giudici. I primi hanno reagito solo con un vago appello «perché siano rispettate le leggi». L'Alta Corte tre giorni fa ha invece dichiarato «vincolante e definito» il suo verdetto di giugno e ieri si è nuovamente fatta sentire: «Il decreto del raìs con cui si riconvoca il Parlamento non è valido».
Un pasticcio, un vero caos la cui soluzione sembra ancora lontana. Ma che non necessariamente, anzi è improbabile, porterà almeno nel breve a uno scontro violento, o come qualcuno teme a una guerra civile. Perché la diffida della Corte non vuol dire che la prossima volta i deputati islamici (gli altri ieri non c'erano) troveranno i blindati davanti all'aula. La prossima volta, infatti, chissà quando sarà. Celebrata la doppia affermazione di autorità (decreto e riunione), Morsi si sta mostrando più arrendevole. Ieri il suo ufficio ha dichiarato di riconoscere la sentenza di giugno della Corte, «ne rispettiamo l'autorità». Ma ha precisato che lo scioglimento effettivo del Parlamento è stato invece deciso dai generali, che in assenza di un presidente ne avevano assunto i poteri. Ora che il presidente c'è, ed è Morsi, è la sua legge che va rispettata. La Corte di Cassazione, finora estranea alle dispute, è stata chiamata ieri ad esprimersi su tale punto e fino al suo giudizio l'Assemblea non tornerà a riunirsi.
Non siamo a una guerra civile, ma l'impasse è evidente. Perché due cose sono chiare ormai in Egitto, per ora. Che lo scontro tra l'opposizione islamica e la Giunta si sta combattendo a colpi di sentenze e decreti e non con fucili e blindati in nome di Allah o della sicurezza (ed è certo un bene, se si pensa alla Siria e ai quasi mille morti di Tahrir l'anno scorso). E che questa battaglia «legale» si fa sempre più confusa e accesa per il vuoto giuridico di un Paese da 17 mesi senza Costituzione, dove le due parti non riconoscono il potere e le leggi dell'avversario. Anche Washington lo ha finalmente capito. Nei precedenti appelli un po' minacciosi gli Usa intimavano all'Egitto di «rispettare le leggi» (anche loro), pena la fine degli aiuti miliardari versati ogni anno. Ieri Hillary Clinton, attesa sabato al Cairo, ha cambiato messaggio: «Urge tra le parti un dialogo intenso». Potrebbe essere l'unica strada.

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