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Corriere della Sera Rassegna Stampa
07.01.2012 Il prof. che odia è sempre titolare della cattedra
Il commento di Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 07 gennaio 2012
Pagina: 23
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Se un prof. insegna a 'stendere i servi di Sion'»

Sulla vicenda del prof. antisemita, negazionista e odiatore di Israele, sul CORRIERE della SERA di oggi, 07/01/2012, a pag.23, con il titolo "Se un prof. insegna a 'stendere i servi di Sion', interviene Pierluigi Battista.
Di Battista ricordiamo il libro " Lettera a un amico anti-sionista", (Rizzoli) una lettura che consigliamo a tutti coloro che pensano che fra antisemita e anti-sionista ci sia differenza.
Ecco l'articolo:


il prof.Pallavidini                     Pierluigi Battista

C'è un momento in cui i razzisti compulsivi, gli antisemiti ossessivi perdono ogni autocontrollo e vengono catturati da una sindrome pazzotica, da una mania persecutoria che fa smarrire ogni residuo di ragionevolezza elementare. «Camerata Casseri presente», ha scritto il 13 dicembre sul suo profilo Facebook Renato Pallavidini per glorificare Gianluca Casseri, il killer fiorentino dei senegalesi che voleva ripulire il mondo dagli ebrei e dai «negri» e che aveva compiutamente oltrepassato il confine che separa la fissazione maniacale dall'atto criminale in senso stretto. Esaltando il pluriomicida Casseri, che come lui credeva al complotto ebraico internazionale, alla cospirazione massonico-ebraica-finanziaria per sporcare l'immacolata purezza di un'irreale razza italo-ariana, Pallavidini aveva già nella sua mente la pistola con cui avrebbe sterminato i «servi di Sion» e «steso un po' di ebrei» dentro una sinagoga.
C'è un video che riprende un convegno sulla «polizia del pensiero» in cui Pallavidini, assieme a un gruppo di notissimi odiatori di Israele, racconta il suo allontanamento da un liceo classico di Torino come l'esito delle losche manovre di una «lobby sionista». Per lui «ebrei» e «sionisti» sono la stessa cosa, Israele è il nemico assoluto. Nel «Giorno della memoria», in classe, per non dover ricordare Auschwitz, si era scagliato contro l'«azione criminale e genocida dello Stato sionista contro gli arabi palestinesi». Si era stupito che qualcuno avesse eccepito sul nesso demenziale ma ideologicamente coerente da lui stabilito tra l'Olocausto e la politica dello Stato di Israele. Ma bisogna anche dire che è stupefacente come la «media intellettualità», secondo la definizione dello stesso Pallavidini, non abbia mai voluto vedere la connessione tra la crociata antisionista e l'odio antiebraico, il corto circuito mentale che fa della battaglia finalizzata alla semplice soppressione dell'«entità sionista» la nuova frontiera, sia pur camuffata, della paranoia antisemita.
Ecco, la paranoia. Pallavidini si sentiva controllato dalla California, terra di «froci». Per lui i «negroni» che infestano le strade di Torino sono il bersaglio di un folle «tiro a segno». Le «femministe» donne degenerate da «deportare in un lager». Sicuramente, nelle aule del liceo torinese D'Azeglio, per ironia della sorte culla dell'azionismo piemontese, dove Augusto Monti aveva la cattedra e Norberto Bobbio si era formato insieme alla crema della cultura torinese, Pallavidini ha dovuto autocensurarsi, soffocare il suo antisemitismo e camuffarlo da più accettabile «antisionismo». Ma la linea di confine verso il delirio violento si è fatta sempre più vicina. Facebook è diventato lo sfogatoio dei suo umori razzisti, confortato pure dai «mi piace» e dai commenti non ostili di alcuni suoi amici: «siamo tutti sorvegliati dal potere sionista»; «sono orgoglioso di essere una delle poche persone, dopo la morte del Fuhrer, che è riuscita nel suo piccolo a sconfiggere gli ebrei»; «contro i mercanti sudditi del giudaismo»; «onore al camerata Hesse»; «Heil Hitler». C'era anche l'esaltazione di Stalin, di Ceausescu e di Mussolini, di qualunque ingrediente totalitario che potesse suonare come scandalo per la flaccida e snervata «democrazia borghese» succube degli «ebrei». Lui e i suoi amici «antisionisti» straparlavano di un «totalitarismo liberale» che avrebbe voluto imbavagliare il loro dissenso: ma il «totalitarismo», quello vero, era e resta l'orizzonte più propizio per dare sfogo alla loro febbre «anticapitalistica»: qualunque dittatore, qualunque despota, qualunque massacratore seriale può andar bene per portare a termine la guerra santa contro il nemico ebraico.
Come un personaggio così possa tornare a insegnare in una scuola pubblica, una volta smaltito il periodo di malattia che lo tiene lontano dalle aule scolastiche, è circostanza difficile da digerire. Gli amici di Pallavidini sono pronti già a gridare alla nuova «censura» e all'ennesima manovra del «totalitarismo liberale», addirittura, come dicono, della «nuova inquisizione» certamente manovrata dagli strateghi della «lobby sionista». Ma appunto sarebbe il solito refrain della paranoia antisemita. La linea di confine con la follia violenta e pericolosa è stata già abbondantemente superata.

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