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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.06.2010 Gilad Shalit, da quattro anni prigioniero di Hamas
Francesco Battistini intervista il padre Noam

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 giugno 2010
Pagina: 19
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Questi quattro anni senza mio figlio ostaggio di Hamas»

Dal CORRIERE della SERA di oggi, 12/06/2010, a pag. 19, l'intervista di Francesco Battistini a Noam Shalit, dal titolo "Questi quattro anni senza mio figlio ostaggio di Hamas".


GERUSALEMME— La stanza del figlio, no. «È l’unica cosa sua che mi è rimasta». I libri di matematica. La lode sul diploma del liceo scientifico Manor Kabri. I poster dei campioni Nba. Le spugne marine essiccate d’una vecchia vacanza. Sono quattro anni che a Noam Shalit, il papà, domandano di mostrare quei pezzi di un’altra vita: «La sua camera non la facciamo mai vedere. Mia moglie l’ha chiusa subito dopo il rapimento. E a nessuno di noi è mai venuto in mente di riaprirla. A chi può interessare la stanza normale d’un ragazzo normale?». A chi. Fino a un paio di mesi fa, ogni mattina, su Haaretz scrivevano da quante ore Shalit fosse ostaggio di Hamas: si sono stancati. A Gerusalemme, sotto la tenda bianca montata davanti alla residenza dei premier, vento o pioggia, si trovava sempre qualcuno a vegliare la notte: da un po’, capita che le sedie siano tutte vuote.

Israele non ha dimenticato l’eterno ostaggio, questo no: Gilad è uno sticker biancazzurro sui portelloni, una foto che scruta da ogni villaggio, un ritratto alla Warhol moltiplicato per migliaia di tralicci e sottopassi. Solo che quegli occhi da sepolto vivo stanno diventando un pezzo di paesaggio, la normalità d’una situazione anormale. Ed è quel che spaventa papà Shalit: «Siamo troppo lontani da una soluzione. C'è molta stanchezza...».

1.448 giorni. Noam Shalit non ne ha dimenticato uno. Eppure non ne ricorda uno peggiore: «Ci sono stati molti su e giù. Aspettative e delusioni. Certe notti senza dormire... Quando m’hanno svegliato per dirmi che l’avevano rapito: mi sembrava già molto che almeno non fosse morto. Un giorno terribile è stato a marzo 2009. Sembrava che l’accordo fosse concluso. Mi chiamano: al Cairo garantiscono che è fatta. Ci ho creduto. Invece non c’era niente. Proprio niente. Chiacchiere. Ci sono politici da cui non m’aspetto più nulla. L’ex la vista sulle vallate della Galilea: il gallo segnavento sul tetto, le pianticelle grasse al davanzale, i nontiscordardimè d’una felicità rimossa. Dentro, è durissimo guardarsi negli occhi: una torta di glassa verde col 23 dell’ultimo compleanno, mai tagliata; un’altra zuccherata d’azzurro, intonsa, con lo squalo e il pesciolino che citano il titolo d’un racconto scritto da Gilad bambino. La posta da tutto il mondo. Le foto dell'infanzia con la piscinetta rossa, l’asilo Yokemberg proprio dietro casa, il Bar Mitzvah in Francia, l’ultima gita tutt’insieme... L'anno scorso, cinquantacinquenne, l'ingegnere Noam ha lasciato il suo lavoro all’Iscar: «Giorno e notte, mi occupo solo di mio figlio».



Aviva, la mamma, fa ancora e senza voglia la segretaria: offre un po’ d’acqua, se ne va di sopra. Yoel, il fratello, vive d’informatica a Haifa. Hadas, la sorella che aveva 16 anni il giorno del sequestro, saluta distratta, butta le ciabatte, apre il frigo: sta facendo il servizio militare, «forse avremmo potuto farglielo saltare, ma in Israele è un dovere di tutti i ragazzi e anche lei ha pensato che fosse giusto andare...». Pezzi di famiglia in attesa del 25 giugno. L’Anniversario. A Roma spegneranno il Colosseo. Anche a Parigi e in altre città s’inventeranno qualcosa. Noam si metterà in marcia: 200 km a piedi, da quassù a Gerusalemme, assieme ai calciatori dell’Hapoel e del Maccabi, a centinaia di sostenitori. Contro la stanchezza: «L’appoggio della gente è fondamentale. Qualche volta, mi arrivano messaggi segreti da Gaza: non vedono l'ora che Gilad sia liberato. Ho avuto contatti anche con qualcuno di Hamas. Lo sanno: se mio figlio esce, l'assedio s’alleggerisce. La chiusura della Striscia non l'ha mandata Dio: può essere risolta in poche ore. Nell’ala politica di Hamas c’è chi ragiona. Anche se non è chi decide. Non è come Hezbollah, che ha un capo solo: qui, chi decide sono 10-15 persone. Molto ciniche. C’era Zahari, ma poi l’hanno dimissionato. E ci sono le Brigate Al-Qassam, i militari, sono quelle che mettono più ostacoli. Che aggiungono altri nomi. Che vogliono stabilire chi dovrà tornare a Gaza e chi no...». Noam Shalit ha imparato cose che non immaginava, in quattro anni. Menashe Kadishman, il pittore, gli ha regalato una tela: la testa d’un agnello. Una rinascita, non un sacrificio. Il papà di Gilad l’ha messa in tinello, vicino a una profezia di Geremia: «E i figli torneranno nei loro confini».

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