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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.01.2010 66 Paperoni di Teheran con i miliardi nelle banche inglesi
Gli articoli di Guido Olimpio, Francesco Battistini

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 gennaio 2010
Pagina: 18
Autore: Guido Olimpio-Francesco Battistini
Titolo: «Traffico d'armi, la via coreana è un rischio per i mullah-Iran, i miliardi segreti della nomenklatura»

Due servizi oggi, 24/01/2010, a pag.18 sul CORRIERE della SERA. Il primo, di Guido Olimpio sul traffico d'armi del terrorismo islamista collegato i rifornimenti all'Iran via Corea del Nord. Il secondo, di Francesco Battistini, sul fondi all'estero della nomenklatura di Teheran, tra cui i figli di Khamenei e Ahmadinejad. Segue una breve sul boicottaggio dei registi europei al Festival del Cinema di Teheran per protesta contro le repressioni del governo.
Eccoli:

Guido Olimpio: " Traffico d'armi, la via coreana è un rischio per i mullah "

MIAMI— La specialità di Ibrahim Dashti è il trasferimento di armi da una parte all’altra del mondo. Dunque non è strano che il nome del cittadino iraniano sia emerso dalle indagini su un traffico di materiale bellico scoperto in Thailandia. L’11 dicembre 2009 un gigantesco Ilyushin 76 è stato bloccato, durante uno scalo tecnico, dalle autorità thailandesi. Nella pancia del jet sono state scoperte 35 tonnellate di armi. Prodotte nella Corea del Nord e dirette in Iran, per essere poi distribuite ad Hamas ed Hezbollah.

La mente della spedizione — secondo una fonte che conosce bene gli ambienti dell’aviazione civile— era appunto Dashti. Una vecchia conoscenza. L’intermediario, attraverso la Top Energy e la Saha Airlines, è stato al centro di numerosi accordi che hanno portato all’invio di materiale nordcoreano verso l’Iran. Insieme a Dashti hanno agito due ufficiali dei pasdaran, membri dell’apparato clandestino «Al Qods». Il primo è Mohsen Jafri Pulbazar, grande esperto di questioni libanesi. Il secondo Amir Roshanbar, specialista dell’Iraq. La vicenda dell’Ilyushin, che ha permesso di far emergere parte del network, ha avuto contraccolpi a Teheran. Il vertice dei pasdaran ha, infatti, sospeso, con effetto immediato, i due ufficiali. E ambienti dell’opposizione sostengono che anche Dashti sarebbe finito nei guai: la sicurezza avrebbe aperto un’inchiesta sul suo conto. I tre sono accusati di non essere riusciti a proteggere un canale di rifornimento così importante.

La via coreana — come ci ha confermato la fonte incontrata a Fort Lauderdale — è fondamentale per i piani degli ayatollah. Perché permette di acquisire «merce» non riconducibile direttamente all’Iran e trasferibile agli alleati sui diversi scacchieri. Dashti, per mimetizzare l’operazione, si è appoggiato ad un reticolo di società vere e false, con indirizzi che portano da Barcellona alla Nuova Zelanda. Molte erano scatole vuote: ossia compagnie solo di nome, con recapiti d’appoggio — spesso solo una targa su un portone— in luoghi insospettabili.

Con il progredire dell’inchiesta — vi partecipano anche gli americani —, i pasdaran hanno chiesto alla Corea del Nord di sospendere nuove forniture. Le 35 tonnellate sequestrate – conferma la nostra fonte— erano solo «un acconto». Per la precisione ve ne sono altre 55 in attesa di essere consegnate.

Francesco Battistini: " Iran, i miliardi segreti della nomenklatura "

GERUSALEMME — «Allah stramaledica gl'inglesi!». E le loro banche. Quando (era giugno) il secondo figliolo della Guida Suprema Ali Khamenei si scagliò contro gli gnomi di Londra e «la loro grande voglia d'impicciarsi negli affari interni dell' Iran e di boicottare la nostra economia», le piazze fedelissime di Teheran alzarono il pugno e gridarono a comando: giusto, che fossero stramaledetti, quelli della City. Giustissimo. Sacrosanto. Anche perché Mojtaba Khamenei, che a quarant'anni dicono comandi a bacchetta il papà ayatollah e sia dotato d'un certo geniaccio per le finanziarie, d'infuriarsi aveva qualche motivo in più delle folle aizzate: il governo di Gordon Brown, secondo le sanzioni imposte da Onu e Unione europea, aveva appena congelato un miliardo di sterline depositato nelle banche del Regno. Mica pound della Repubblica islamica. Soldi suoi. D'uno che è tanto adorato dai Fondatori della Rivoluzione quanto dalle fondazioni bancarie.

Ricchi d'Iran. Ricchi di fede e di qualcosa di più terreno. Sulla stampa kuwaitiana, attraverso i canali dell'opposizione all'estero, arriva un elenco di sessantasei Paperoni di Teheran. Il clan di Khamenei e del presidente, Mahmoud Ahmadinejad. Tutta gente con incarichi pesanti e pesantissime fortune. E' probabile che la lista dei 66 contenga più di un'esagerazione. Ma è una mezza conferma di voci che in Iran circolano da tempo: criptato in conti intestati a società di comodo, ballerebbe un tesoro da 16 miliardi di dollari. Proventi di mediazioni del grezzo, spesso bloccati dalle sanzioni internazionali. Fonti israeliane sostengono che quei soldi risultano di società statali, legate in realtà a favoriti del regime. La mappa kuwaitiana è dettagliata. Il chiacchierato figlio di Khamenei, genero dello speaker del Parlamento Haddad-Adel, oltre al miliardo di sterline inglesi potrebbe disporre di 2 miliardi 200mila euro in Germania, di 766 milioni di dollari in Qatar e d'una somma sconosciuta in Svizzera. Anche una sua parente, Nazia Khamenei, in questi anni avrebbe messo via parecchio denaro: 7 milioni d'euro in Turchia, 65 in Germania, 122 in Gran Bretagna. Non se la passerebbe male nemmeno Ghulam Hussein Elham, secondo la stampa emiratina: ex portavoce del governo, gran negazionista della Shoah e marito di un'influente giornalista di regime, già ministro della Giustizia e persecutore di Shirin Ebadi, il premio Nobel, il nostro Elham avrebbe accantonato 25 milioni di dollari a Dubai, 13 milioni in Turchia, 17 in Svizzera e 700mila dollari a Beirut. Come lui, il generalissimo Hassan Firuzabadi che comanda le truppe rivoluzionarie: 320 milioni di dollari in Malaysia, 65 negli Emirati, 103 in Kuwait, 17 in Turchia, più spiccioli non conteggiati in Svizzera. Il dossier non risparmia neppure Mahdi Ahmadinejad, il primogenito: 18 milioni d'euro in Belgio, 45 nelle casse elvetiche, 44 nelle banche del Golfo.

Sono i conti della casta o è solo una resa dei conti? «Spazzatura», è l'unica parola che una fonte iraniana riserva alle rivelazioni: «C'è in corso una battaglia per delegittimare Ahmadinejad — dice Ruhollah Hosseinian, deputato conservatore— e vi partecipano anche fedelissimi del presidente». «Vere o no che siano le cifre — spiega una voce dell'opposizione —, se escono significa che qualcosa c'è. E qualcuno vuole farlo sapere».

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