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Corriere della Sera Rassegna Stampa
14.01.2010 L'antisemitismo non è solo quello della Shoà
Analisi di Sergio Harari

Testata: Corriere della Sera
Data: 14 gennaio 2010
Pagina: 40
Autore: Sergio Harari
Titolo: «Torna l’antisemitismo quotidiano: il male si insinua nelle battute»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/01/2010, a pag. 40, l'analisi di Sergio Harari dal titolo "Torna l’antisemitismo quotidiano: il male si insinua nelle battute".


N on possiamo fare finta di niente: l’antisemitismo sta tornando a riempire la nostra quotidianità. Ce ne accorgiamo sempre più frequentemente, dalla battuta, dalla barzelletta acida, dal sottinteso. L’antisemitismo non è solo quello di Auschwitz, non è solo quello delle leggi razziali del 1938, ma è anche quello che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, quando qualcuno «ci ricorda» che siamo diversi, italiani, certo, ma ebrei. Mai come in quest’ultimo anno mi è capitato di sentirmi a disagio per battute e frasi idiote pronunciate con assoluta normalità, come se non si stesse dicendo nulla di male, tantomeno qualcosa di razzista. Ciò che più mi ha stupito è stata l’indifferenza con cui venivano proferite: in più di un’occasione, infatti, dopo una frase sbagliata, ho subito dichiarato di essere ebreo per evitare ulteriori imbarazzi, ma in risposta non ho rilevato alcun disagio, nessuna percezione della gravità di quanto era stato appena detto. Nelle chiacchiere quotidiane passa quasi inosservato, e allora, facilmente, se uno raggiunge certi obiettivi non è per le sue capacità ma per le oscure lobby ebraiche che l’hanno sostenuto, se un imprenditore di origine ebraica licenzia è perché gli ebrei, si sa, non hanno scrupoli, come se in questo periodo licenziassero solo loro, e così via, manca solo di risentire parlare del complotto pluto-giudaico massonico! Nei salotti più o meno bene, così come ovunque, nelle librerie o nei bar, certi temi, certe battute fino a qualche tempo fa erano banditi, non si facevano neanche sottovoce, stava male; ciò non voleva dire che non esistesse un fondo di antisemitismo ma non era dichiarato, né socialmente accettato. Oggi invece traspare, nella generale indifferenza, infiltrandosi nelle pieghe della crescente xenofobia. Un giorno, anni or sono, un amico mi confidò a proposito di conoscenti comuni dei quali non capivo il comportamento nei miei confronti: «Sergio, non prendertela, quelli hanno verso di te uno snobismo religioso»; credo che usò il termine religioso e non razziale per non ferirmi troppo, io restai senza parole ma capii che aveva ragione. Diversi anni dopo il ricordo di quel momento e dell’affettuosa sincerità del mio amico è rimasto vivo, come anche il senso di stupore per aver incocciato contro qualcosa che fino allora avevo solo percepito e che era improvvisamente diventato una concreta realtà. L’antisemitismo di allora era però non detto, sviluppato sottotraccia, intuibile ma mai manifesto anche se non per questo meno deprecabile. Ora si è passato il livello, come ha scritto su questo giornale Claudio Magris, «è caduto un muro morale, che aveva messo al bando una volta per tutte ogni barbarie razzista, e dunque in primo luogo quella antisemita». Elie Wiesel, premio Nobel per la pace e sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti che sarà quest’anno presente in Parlamento, invitato dal Presidente Gianfranco Fini al decennale dell’istituzione in Italia della giornata della memoria, due anni fa ospite della Fondazione Corriere della Sera disse: «Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall’antisemitismo, cosa potrà guarirlo?». Continuiamo a chiedercelo, mentre ci imbattiamo nelle piccole ma significative «attenzioni» che ci vengono riservate quotidianamente. Questo mese si celebreranno la giornata della memoria e la visita di Papa Benedetto XVI alla più antica comunità della Diaspora, quella romana. Speriamo che questi due eventi così importanti e tra loro diversi possano ricordare a tutti che l’antisemitismo non è solo rappresentato dai campi di sterminio o dai negazionisti: l’antisemitismo è anche quello, solo apparentemente innocuo, che si insinua subdolamente nella nostra vita.

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