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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.09.2009 Bisogna mettere di nuovo Gheddafi sulla li­sta nera
L'analisi di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 settembre 2009
Pagina: 14
Autore: Bernard - Henri Lévy
Titolo: «Gheddafi e quella lista nera cancellata dai governi occidentali»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/09/2009, a pag. 14, l'articolo di Bernard-Henri Lévy dal titolo " Gheddafi e quella lista nera cancellata dai governi occidentali ".

Bisogna mettere di nuovo Gheddafi sulla li­sta nera. C’è un avveni­mento che per il torpo­re estivo è passato nel dimenticatoio dell’attualità: la libe­razione, per «ragioni mediche», poi l’accoglienza trionfale a Tripoli di Abdelbaset Al-Megrahi, l’orga­nizzatore dell’attentato di Locker­bie.
Non che io trovi anormale il principio umanitario che consente di abbreviare la pena a un vecchio prigioniero, colpito da un cancro in fase terminale, e di lasciare che torni a morire nel proprio Paese. Ma non trovo normale che la sua liberazione sia stata negoziata, — come subito ha strombazzato in un’intervista al quotidiano scozze­se
The Herald il figlio di Gheddafi - in cambio di contratti di prospe­zione petrolifera per la Shell e la British Petroleum.
Quel che è sconvolgente è che l’ex spia, responsabile della morte, nel 1998, dei 259 passeggeri del vo­lo della Panam e di 11 abitanti del villaggio in cui il velivolo si è schiantato, abbia potuto essere rimpatriato su un aereo personale di Gheddafi. Lo stesso Gheddafi che, come se questo non bastasse, come se volesse essere sicuro di ar­rivare al massimo della provocazio­ne, del cinismo, dell’oltraggio, gli ha riservato per l’indomani un’udienza come si trattasse di un grande personaggio.
E quello che, non soltanto è sconvolgente, ma odioso, è l’acco­glienza trionfale che gli è stata of­ferta sulla pista dell’aeroporto in­ternazionale da una folla in deli­rio, che agitava bandiere libiche e scozzesi, intonava canti patriottici, lo trattava da eroe: e tutto questo in un Paese dove nessuno ignora che le esplosioni di esultanza e di fervore raramente sono sponta­nee...
Forse l’uomo, secondo i suoi so­stenitori, è stato vittima di un erro­re giudiziario che sarebbe così sta­to riparato? Sì e no. Infatti c’è una piccola lobby, è vero, che impiega molta energia nel discolpare il regi­me libico dalla responsabilità del
massacro. Ma oltre al fatto che le «contro-inchieste» di questa lob­by sono sempre di una penosa de­bolezza (con il testimone che ritrat­ta, anni dopo il processo e, guarda caso, alla vigilia dell’accordo an­glo- libico per il trasferimento di prigionieri di cui tutti sanno che l’unico beneficiario sarà Al-Me­grahi), oltre al fatto che in questo attivismo revisionista si sente il for­te odore della sua teoria del com­plotto (l’abominevole Cia che, per ragioni oscure, avrebbe «riscritto la sceneggiatura» di un crimine di cui essa nasconderebbe i veri auto­ri), oltre al fatto che nella lobby si ritrova l’eterno manipolo di specia­listi della disinformazione e di ma­estri della cospirazione (per la Francia, l’inevitabile Pierre Péan che, fra due crociate negazioniste del genocidio in Ruanda, si sforza di dare un giudizio perentorio e puerile sulla tesi della colpevolez­za libica che, secondo lui, «non regge»), la verità è che gli stessi li­bici non sempre hanno negato tale colpevolezza; meglio ancora: l’han­no negata così poco che nel 2003 si sono impegnati a versare dieci milioni di dollari di risarcimento a ciascuna delle 270 famiglie delle vittime; di modo che il Paese dove Al-Magrahi è stato rimpatriato è un Paese dove un uomo è portato in palma di mano non perché lo si crede innocente, ma perché lo si sa colpevole di aver assassinato 270 persone, il cui unico crimine era d’essere cittadini di paesi de­mocratici.
Dopo tutto ciò, Gordon Brown e i suoi ministri possono pure grida­re la propria «costernazione». Or­mai si sono disonorati. I loro omo­loghi scozzesi, che sul ritorno del­l’agente prodigo avevano ricevuto «la garanzia» di una gestione «di­screta e sensibile» e lamentano di non riuscire a capacitarsi di essere stati così malvagiamente presi in giro, sono i primi ad essersi resi ri­dicoli.
Quando Gheddafi si presenta in tv per ringraziare non solo il suo «amico» Gordon Brown, ma «la Regina d’Inghilterra» e «suo figlio
il principe Andrew», è come se in­sultasse un popolo intero, come se ingiuriasse la parte migliore delle sue tradizioni, come se sputasse sulla memoria di Churchill e degli eroi della Battaglia d’Inghilterra; ed è come se questo avvenisse con il consenso di una classe politica pronta a tutto, e per prima cosa a vendere la propria anima e quella di un grande Paese in cambio di qualche barile di greggio.
Per quanto riguarda gli altri, tut­ti gli altri, la Svizzera che non sa più come scusarsi di aver maltratta­to quest’estate l’altro figlio della Guida, Hannibal, l’Italia il cui presi­dente del Consiglio ha appena po­sato la prima pietra di un’autostra­da che dovrebbe suggellare, qual­che ora prima dell’avvio delle festi­vità per il quarantesimo anniversa­rio della dittatura, la nuova e profi­cua amicizia italo-libica, la Francia che quasi due anni fa fu all’avan­guardia di un vasto movimento di riabilitazione di Gheddafi sullo sfondo di traffici economici e com­merciali, aspettiamo che traggano le conclusioni a proposito di quel­la che il
Wall Street Journal non ha temuto di definire una vera e pro­pria «Lockerbie 2».
Chi aveva ragione, in Francia ap­punto: coloro che, come Nicolas Sarkozy, pensavano che Gheddafi fosse cambiato e che bisognasse tendergli la mano per aiutarlo a reintegrare il concerto delle nazio­ni, o coloro che, come Rama Yade (a quel tempo segretario di Stato per i diritti dell’uomo) rimpiange­vano che il nostro Paese divenisse uno «zerbino» sul quale qualsiasi tiranno «può venire ad asciugarsi i piedi dal sangue dei suoi misfat­ti »?
Oggi abbiamo la risposta. Ghed­dafi ha forse rinunciato a commis­sionare egli stesso gli attentati. Ma non ha rinnegato l’odio nei con­fronti dell’Occidente e, attraverso di esso, della democrazia; un odio che è la vera radice del terrorismo. Il resto non sono che chiacchiere, e alibi della nostra vigliaccheria.

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