lunedi` 06 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
22.08.2009 Il terrorista di Lockerbie accolto con tutti gli onori in Libia
Analisi di Pierluigi Battista, Antonio Ferrari. Cronaca di Fabio Cavalera

Testata: Corriere della Sera
Data: 22 agosto 2009
Pagina: 1
Autore: Pierluigi Battista - Antonio Ferrari - Fabio Cavalera
Titolo: «Tutti i giochi di Gheddafi - Lo 007 scaricato e poi 'ricomprato' - Il terrorista in trionfo Disgusto di Londra e Usa»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/08/2009, l'editoriale in prima pagina  di Pierluigi Battista dal titolo " Tutti i giochi di Gheddafi ", a pag. 11, gli articoli di Antonio Ferrari e Fabio Cavalera titolati " Lo 007 scaricato e poi «ricomprato»" e " Il terrorista in trionfo. Disgusto di Londra e Usa  ". Ecco gli articoli:

Pierluigi Battista : " Tutti i giochi di Gheddafi "

 Gheddafi

Abdel Basset al-Megrahi non è un «ostaggio politico», come sostiene il presidente Gheddafi. È un terrorista che ha ucciso 270 passeg­geri esplosi in volo su un Boeing 747 della Pan Am, sui cieli di Lockerbie. Le autorità scozzesi lo hanno liberato per ragioni umani­tarie. Lui tuttavia non eb­be nessun senso dell’uma­nità quando decise di com­piere una strage. E anche i libici che lo festeggiano senza pudore per il suo ri­torno in patria non stanno dimostrando nessuna sen­sibilità umanitaria nei con­fronti delle vittime e di chi ancora oggi ne piange l’as­surda scomparsa. La storia non si cancella con un provvedimento di clemen­za.
C’è qualcosa di offensi­vo nelle celebrazioni di Tri­poli. Un sovrappiù simboli­co che infligge un colpo umiliante a un elementare senso di giustizia. È la «tri­plice beffa» di cui ha giu­stamente scritto Antonio Ferrari sul Corriere di ieri a rispecchiarsi nell’acco­glienza solenne che la fa­miglia Gheddafi sta tribu­tando a un assassino, nel­le bandiere che sventola­no trionfali, nelle fanfare, nelle urla di giubilo della folla che saluta il corre­sponsabile di uno dei mas­sacri meglio riusciti nella storia del terrorismo inter­nazionale. E anche un sen­so di impunità maturato sulla necessità economica e geo-politica di un buon rapporto che l’Occidente deve intrattenere con il re­gime libico. La percezio­ne, che galvanizza la Ja­mahiriya, di avere il mon­do in pugno, di poter gio­care con disinvoltura spet­tacolare la carta della resa dei conti, conoscendo in anticipo l’identità di chi dovrà inchinarsi (le demo­crazie occidentali) e di chi riceverà omaggi, aperture diplomatiche, clamorosi gesti di riconciliazione (la Libia del colonnello Ghed­dafi). Dal terreno più tradi­zionale del realismo politi­co, strada obbligata per l’Occidente, la Libia esige il passaggio nei territori più ambigui ed evanescen­ti, ma non per questo me­no decisivi, della resa sim­bolica. Per questo il terro­rista appena liberato di­venta un così potente sim­bolo di identificazione: è il prezzo che bisogna paga­re, il biglietto d’ingresso per poter avere con la Li­bia un rapporto non con­flittuale.
Con la Libia di Gheddafi il realismo politico deve di­ventare rappresentazione, cerimonia. È questa la sfi­da imprevista che le demo­crazie devono affrontare come un
unicum nell’at­tuale geometria dei rap­porti internazionali. Se la Cina chiede silenzio sui di­ritti umani in cambio del­la collaborazione economi­ca, se Teheran chiede la non interferenza interna­zionale sul suo armamen­to nucleare come contro­partita per gli interessi eco­nomici da intrecciare con l’Iran, la Libia chiede qual­cosa in più: la riscrittura della storia e un risarci­mento simbolico sul passa­to. È questa la porta stretta che l’America di Obama e l’Europa dovranno attra­versare nel prossimo futu­ro. Sinora l’atteggiamento prevalente, come si è pla­sticamente visto nella visi­ta romana di Gheddafi, ha coinciso con la benevola accondiscendenza nei con­fronti dei libici. Le feste di Tripoli per la liberazione del terrorista della strage di Lockerbie dicono però che il prezzo potrebbe es­sere sempre più elevato e che la sopportazione occi­dentale sarà messa a dura prova. Lo scenario peggio­re prevede che ciascuno, come spesso accade, vada per conto suo: i veri ostag­gi politici (ed economici) decisamente non stanno a Tripoli.

Antonio Ferrari : " Lo 007 scaricato e poi «ricomprato» "

 Abdel Basset al-Megrahi

Ma chi è in realtà Abdel Basset al-Megrahi, il libico condannato all’er­gastolo per la strage di Lockerbie, scar­cerato giovedì in Scozia «per ragioni umanitarie», e accolto a Tripoli come un eroe? Questo cinquantasettenne non ha certo l’aria di una sofisticata mente terroristica, ma si sa che le appa­renze possono ingannare. O è forse un Carneade, capitato in una storia più grande di lui: comprato, venduto, ri­comprato, scaricato, e ora ricompensa­to dal colonnello Gheddafi con una spettacolare e sospetta riabilitazione nazionale, al rientro in patria.
Storia misteriosa e ambigua quella di al-Megrahi, direttore dell’ufficio del­la Libian Airlines presso l’aeroporto di La Valletta, nell’isola di Malta. Crocevia importante per i commerci di Tripoli, ma non certo un luogo dove collocare un agente segreto operativo di altissi­mo rango. E non era di sicuro più im­portante di lui il suo principale collabo­ratore al-Amih Khalifa Fahima, che in­vece fu assolto dalla stessa imputazio­ne, dopo aver partecipato a tutte le fasi (vere o presunte) dell’organizzazione dell’attentato. Che avvenne il 21 dicem­bre 1988, in uno dei momenti più deli­cati della storia del Medio Oriente.
Attentato quasi prevedibile e sicura­mente temuto, soprattutto dai palesti­nesi moderati, dopo quanto era accadu­to una settimana prima a Ginevra. Nel palazzo dell’Onu, infatti, era stata con­vocata un’assemblea generale per ascoltare quanto aveva da dire l’ospite più atteso, il leader dell’Olp Yasser Ara­fat, che non aveva ottenuto il visto per andare a New York.
Un appello solenne al nemico Israe­le: «Venite, diamoci la mano, facciamo la pace», quindi un esplicito riconosci­mento. E un annuncio al mondo, so­prattutto agli americani: «Condanno il terrorismo, in tutte le sue forme». An­nuncio che, reiterato in una conferen­za- stampa notturna, convinse gli Usa ad avviare «colloqui sostanziali» con l’Olp a Tunisi.
L’entusiasmo dei palestinesi mode­rati si scontrava con la rabbia degli estremisti, che parlavano apertamente di «tradimento». Mentre Arafat partiva per la Germania est per incontrare il presidente Honecker, nei corridoi di Ginevra si ascoltavano frasi allarmate. Come se qualcuno sentisse che la rispo­sta alle aperture del leader dell’Olp sa­rebbe stata tempestiva e sanguinosa.
La notizia della strage di Lockerbie fu accolta quindi come una tragedia annunciata. Il discorso di Arafat aveva
fatto infuriare gli ayatollah di Teheran, che volevano vendicare le vittime di un loro aereo civile colpito per errore, nell’estate precedente, da un missile della nave da guerra americana «Vin­cennes », nel golfo. E, via Siria, pare avessero preso contatti con i capi di due gruppi palestinesi, nemici giurati di Arafat: in particolare con Ahmed Ji­bril, ostile a qualsiasi apertura con Isra­ele. Sarebbe stato proprio un terrori­sta palestinese, arrestato in Svezia, a venir riconosciuto come l’uomo che comprò, in una valigeria di La Valletta, la borsa che, poco dopo, riempita di esplosivo Semtex, sarebbe stata imbar­cata, con tanto di targhetta rubata, sul volo per Francoforte; e poi, giunta a Londra, trasferita sul Pan Am 103 per New York. Con tanto di collegamento a un timer nascosto tra i circuiti stam­pati di una radiolina. Eppure la pista degli investigatori seguì presto altre strade, che si concentrarono su al-Me­grahi e su al-Amin Khalifa. Sarebbero stati loro, o forse dovevano essere loro gli organizzatori ed esecutori della strage.
I sospetti di allora, cresciuti durante il processo a Camp Zeist, in Olanda, ce­lebrato da giudici scozzesi, furono ali­mentati dalla vaghezza delle prove, dai dubbi degli stessi familiari delle vitti­me, e dalla sorprendente sentenza che separava il destino dei due libici: uno colpevole, l’altro assolto. Si disse che ac­cusare l’Iran o la Siria avrebbe potuto indebolire la coalizione internazionale che fu formata nel ’90 contro il dittato­re iracheno Saddam Hussein, che aveva aggredito e invaso il Kuwait. In fondo, era più facile concentrare i sospetti su Gheddafi, allora ritenuto un paria, e ria­bilitato quando accettò di risarcire le vittime di Lockerbie. L’accoglienza in Libia ad al-Megrahi potrebbe essere il prezzo che anche Gheddafi paga per seppellire altri imbarazzanti segreti

Fabio Cavalera : " Il terrorista in trionfo. Disgusto di Londra e Usa  "

LONDRA — Poche ore pri­ma che l’attentatore di Locker­bie, ammalato di tumore alla prostata, venisse liberato dal governo scozzese e imbarcato su un volo per Tripoli, il pre­mier Gordon Brown aveva scritto una lettera al colonnel­lo Gheddafi.
Consapevole che l’atto uma­nitario avrebbe scatenato viva­ci reazioni nell’opinione pub­blica e allertato della dura pre­sa di posizione che la Casa Bianca avrebbe assunto, il nu­mero uno del governo britan­nico si era raccomandato alla «sensibilità» della Libia affin­ché all’ex ufficiale dei servizi segreti condannato all’ergasto­lo da un tribunale di Edimbur­go non fosse riservata un’acco­glienza da eroe. Un appello che si è rivelato inutile, poco più che carta straccia. Il cin­quantasettenne al-Megrahi, che al momento di lasciare Glasgow era apparso sofferen­te, una volta rientrato in pa­tria è disceso dalle scalette del­l’Airbus rasato, sorridente, in giacca e cravatta, sorretto da un paio di persone ma rag­giante. Davanti a lui una folla entusiasta lo ha acclamato e osannato.
Le immagini di questa festa popolare hanno raggelato Lon­dra determinando una seria crisi diplomatica e la prospetti­va che il programmato viag­gio del principe Andrea a Tri­poli possa essere cancellato in segno di protesta. Se, infatti, Downing Street e il Foreign Office erano stati bene attenti a non trasformare in un caso politico la scarcerazione del­l’uomo che nel 1988 aveva contribuito a confezionare la bomba e a nasconderla nella stiva del volo Pan-Am decolla­to da Heathrow (270 morti), Tripoli ha risposto caricando l’evento di tutt’altro significa­to. Lo si è capito non soltanto
dagli onori riservati ad al-Me­grahi ma anche da un editoria­le dell’agenzia ufficiale di stampa che ha definito l’ex uf­ficiale dei servizi segreti un «ostaggio politico». Parole che hanno irritato ancora di più il governo britannico.
A decidere la liberazione è stata formalmente la Scozia con il suo ministro della giu­stizia che ha addotto ragioni di natura umanitaria: ad al-Megrahi resterebbero tre mesi di vita. Londra aveva ta­ciuto sin dalle prime indiscre­zioni
dei giorni scorsi sulla possibile scarcerazione, op­tando per una posizione di­staccata nella speranza che ciò contribuisse a tenerla lon­tana da una pesante ricaduta polemica a livello internazio­nale. La lettera di Gordon Brown al colonnello Ghedda­fi e ancora di più gli eventi successivi hanno modificato il quadro.
Il ministro degli esteri, Da­vid Miliband,
ieri si è visto co­stretto a giudicare «profonda­mente penose» le «celebrazio­ni » di Tripoli. E lo stesso Fo­reign Office, quasi a calcare la mano, ha definito «improba­bile » la visita del Duca di York, il principe Andrea, che ha in agenda un viaggio di promozione commerciale proprio in Libia. David Mili­band ha respinto i sospetti se­condo cui l’esecutivo avrebbe segretamente appoggiato, per razionale calcolo econo­mico, «l’atto umanitario» e ha bollato simili congetture come «un insulto a me e al­l’intero governo». Ma ha do­vuto chiarire che dal modo in cui Tripoli si comporterà nel­le prossime ore dipenderà una «significativa valutazio­ne » sul ritorno di Tripoli nel­la «comunità delle nazioni ci­vilizzate ». Poi è stata la volta del presidente americano Obama, che ha definito l’acco­glienza ad al-Megrahi «alta­mente contestabile». Prima il suo portavoce Gibbs aveva parlato di accoglienza «scan­dalosa e disgustosa».

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT