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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.08.2009 L’attentatore di Lockerbie libero per 'motivi umanitari'
Analisi di Antonio Ferrari, cronaca di Fabio Cavalera

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 agosto 2009
Pagina: 10
Autore: Antonio Ferrari - Fabio Cavalera
Titolo: «Lockerbie, tra beffe e un segreto dietro la liberazione del libico - L’attentatore di Lockerbie libero per motivi umanitari»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/08/2009, a pag. 10, l'articolo di Antonio Ferrari dal titolo " Lockerbie, tra beffe e un segreto dietro la liberazione del libico" e, a pag. 16, l'articolo di Fabio Cavalera dal titolo " L’attentatore di Lockerbie libero per motivi umanitari ".

E' stato giusto liberare Abdelbaset Ali Al-Megrahi, non capiamo nemmeno perchè sia stato così a lungo in prigione, mentre il regista dell'operazione, colui che  ordinava di abbattere gli aerei pieni di passeggeri perchè odiava l'Occidente, quello che dava l'ordine di farli esplodere in volo, viene ricevuto come un normale capo di Stato, applaudito e riverito mentre non è stato altro che un dittatore della peggiore specie. L'unico che seppe trattarlo come meritava fu Ronald Reagan, che lo bombardò ben bene. Quella tecnica del dialogo, della mano aperta, ottenne un buon risultato. Gheddafi capì la lezione, e per evitare altri dialoghi e mani aperte, cambiò musica. Reagan, ci manchi.
Ecco gli articoli:

Antonio Ferrari : "Lockerbie, tra beffe e un segreto dietro la liberazione del libico "

Sarà pure malato di cancro alla prostata, come sostiene il mini­stro della Giustizia scozzese. Ma la libera­zione dell’agente segreto libico Abdelba­set Ali al-Megrahi, condannato all’erga­stolo per la strage di Lockerbie (21 dicem­bre 1988, volo Pan Am, 270 morti di cui 189 americani) è una tripla beffa: perché offende soprattutto gli Stati Uniti, tanto che il presidente Obama ha definito il ri­lascio «un errore»; perché la Libia ha ac­colto al-Megrahi come un eroe; e perché la terza beffa forse nasconde un segreto inconfessabile.
L’inchiesta sull’attentato all’aereo in volo da Londra a New York, infatti, si con­centrò su due libici, appunto Ali al-Me­grahi e il suo complice Al Amin Khalifa Fhimah. Il processo, che si tenne in Olan­da nel 2001 con il rito scozzese, si conclu­se con una sorprendente sentenza: uno colpevole e uno «not guilty», quindi in­nocente secondo la legge. Però, lette le carte, bastava avere un po’ di buon senso per capire che i due imputati erano in­scindibili come due gemelli siamesi. Quindi: o entrambi colpevoli o innocen­ti.
La curiosa sentenza fece da preambolo a una clamorosa svolta. Gheddafi decise di indennizzare i familiari delle vittime, e da quel giorno, da sponsor del terrori­smo, ridiventò un partner accettabile, an­zi gradito: fine dell’embargo, ritorno a Tripoli dei capitali internazionali, e una lunga stagione di successi, fino all’ulti­mo vertice del G8 all’Aquila, dove il co­lonnello ha stretto la mano a Obama.
Molti sospetti si sono affollati sulla sentenza, sull’improvviso e generoso «pentimento» del leader libico, e sulla sua tempestiva riabilitazione. C’è chi ha sempre ritenuto che le responsabilità del­l’attentato non fossero soltanto dei libici (al massimo esecutori materiali), ma an­che di altri in area mediorientale, il cui coinvolgimento avrebbe potuto provoca­re gravi imbarazzi. Che il colonnello, ri­sarcendo i familiari delle vittime, ha con­tribuito a cancellare. Di sicuro, la libera­zione di al-Megrahi non contribuisce ad eliminare dubbi e sospetti. Al contrario: li accentua.

Fabio Cavalera : "L’attentatore di Lockerbie libero per motivi umanitari  "

 Abdelbaset Ali Al-Megrahi

LONDRA — Cappellino bian­co in testa e una sciarpa bianca a coprirgli il volto: Abdelbaset Ali Al-Megrahi, l’ex ufficiale dei servizi segreti libici conse­gnato al governo britannico nel 2001 per le sue responsabili­tà nell’attentato di Lockerbie ha lasciato il carcere di Gree­nock e alle 15,30 è salito sul­l’Airbus che lo aspettava sulla pista di Glasgow per riportarlo in patria.
Il ministro della giustizia del­l’esecutivo scozzese si è assun­to la responsabilità di liberare l’unico responsabile conosciu­to della bomba che nel 1988 esplose sul volo 103 della Pan-Am provocando 270 mor­ti, di cui 189 statunitensi. «E’ una decisione soltanto mia», ha detto in mattinata Kenny MacAskill, prima che le porte della prigione si aprissero. A nulla è valso l’estremo tentati­vo della Casa Bianca di blocca­re le procedure. «E’ un atto pro­fondamente sbagliato», ha sot­tolineato Hillary Clinton. «Un errore», lo ha definito il presi­dente americano Barack Oba­ma.
Nulla da fare. Pur ricono­scendo che Al-Megrahi non ha mai espresso, in questi anni, «alcuna forma di compassione per le vittime di Lockerbie», il ministro della giustizia scozze­se ha ritenuto prevalenti le ra­gioni di carattere umanitario: il libico che avrebbe dovuto scon­tare una condanna all’ergasto­lo è malato allo stadio termina­le di tumore alla prostata, i me­dici gli hanno dato tre mesi di vita.
Il suo rilascio ha innescato una furiosa polemica: dietro al­la improvvisa retromarcia del­le autorità britanniche vi sono ragioni di Stato e una trattativa segreta con Tripoli o vi è davve­ro una considerazione legata al­la salute del terrorista? Ma­cAskill ha ripetuto ai giornali­sti: «Solo io ho deliberato la scarcerazione». Nessuna pres­sione da Downing Street e da Westminster. Posizione che
una parte degli osservatori re­spingono ipotizzando un accor­do concluso fra Gordon Brown e Gheddafi al G8 a L’Aquila, per­fezionato negli ultimi giorni.
Al-Megrahi è stata la figura centrale di un attentato deva­stante. Secondo l’Fbi, aveva la­vorato
per i servizi di intelligen­ce di Tripoli, per assumere poi un ruolo di copertura, come ca­po della sicurezza, nella sede maltese delle linee aeree libi­che. La bomba sarebbe stata confezionata proprio qui e, poi, trasferita in valigia a Zuri­go, infine a Londra. Imbarcata a Heathrow sul volo delle 18,25 esplose alle 19,02 mentre il Boeing transitava sopra il vil­laggio di Lockerbie. Le indagi­ni accertarono che l’ufficiale di collegamento del commando incaricato di confezionare l’or­digno e di portarlo a Londra era stato proprio Al-Megrahi. Fino al 2001 l’uomo circolò tranquillamente e con false ge­neralità per l’Europa. Fu ferma­to in Olanda e, forse, la soffiata arrivò dalle stesse autorità libi­che: un segno di distensione per allontanare le accuse di di­retta partecipazione all’attenta­to.
Ieri pomeriggio il discusso atto finale. Al-Megrahi è torna­to a Tripoli, secondo fonti libi­che accompagnato da Seif Al Islam, uno dei figli di Ghedda­fi. Ad aspettarlo all’aeroporto di Glasgow c’era l’Airbus invia­to dal colonnello. Sceso dal­l’ambulanza ha camminato con le sue gambe, ha stretto la mano ai piloti ed è scomparso. Gli Usa hanno chiesto alla Libia di non accoglierlo da eroe. «Sia messo agli arresti domiciliari», ha detto Obama. All’arrivo a Tripoli in migliaia lo hanno fe­steggiato sventolando bandie­re libiche e scozzesi, mentre gli altoparlanti diffondevano mu­siche patriottiche.

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