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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.06.2009 Ora in Arabia Saudita si può andare al cinema
Basta essere maschi

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 giugno 2009
Pagina: 31
Autore: Cecilia Zecchinelli - La redazione del Corriere della Sera
Titolo: «A Riad il cinema non è più peccato. Ma rimane 'per soli uomini' - Non vado in tv senza permesso»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/06/2009, a pag. 31, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " A Riad il cinema non è più peccato Ma rimane «per soli uomini» " e la breve dal titolo " Non vado in tv senza permesso ".

Cade un divieto trentennale, quello di proiettare film pubblicamente. Ma alle donne rimane il divieto di andare a vederli. Rimangono anche tutti gli altri divieti incomprensibili, come quello di guidare, di svolgere lavori a contatto con uomini che non siano parenti o il proprio marito, di andare in tv...ci vorrebbe troppo spazio per elencarli tutti.
La condizione della donna è disastrosa. Sottomissione, umiliazione, divieti. Queste le parole chiave per descriverla, come testimoniato dalla cronaca di Cecilia Zecchinelli e dalla breve riportata di seguito. Per questo non vediamo niente di eccezionale in questa notizia: viene proiettato un film, ma non tutti possono andare a vederlo. Non è cambiato nulla. E' sempre la stessa Arabia Saudita fondamentalista. Ecco gli articoli:

Cecilia Zecchinelli : " A Riad il cinema non è più peccato. Ma rimane 'per soli uomini' "

Terra di record importanti (i luoghi islamici più santi, le riserve di greggio più ricche), l’Arabia Saudita è anche Paese dai molti, asso­luti divieti. Nessuna donna, come tutti sanno, può ancora guidare. Nessuna chiesa o sinago­ga o tempio indù esistono sul suo suolo. Ma nemmeno è permessa l’esistenza di cinema. Ed è così considerato un evento «storico» la prima visione pubblica di un film nella capita­le Riad, con modalità quasi normali: un centro culturale trasformato in sala cinematografica, il corredo di bibite e popcorn, i biglietti acqui­stabili da tutti, o quasi.
Vietato, infatti, l’accesso a donne e ragazze sopra i 10 anni, per lo stesso motivo che da 30 anni ha fatto dell’andare al ci­nema una delle tante atti­vità haràm (peccato) per i sauditi. Ovvero la commistione tra sessi, ancora oggi assoluta­mente proibita dall’Islam wahhabita in scuole, uffici, ristoranti, palestre, ovunque possa esse­re evidente (in casa è diverso) un contatto tra uomini e donne non parenti tra loro.
Grande attenzione, quindi, per la prima a Riad di
Menahi, dal nome del protagonista, un ingenuo beduino saudita travolto dalla mo­dernità della vicina Dubai e dai misteriosi mec­canismi finanziari dell’emirato, impersonato dall’attore Fayz Al Malki, già popolarissimo per le sue serie tv. A parte l’esclusione delle donne, la première è stata preceduta da una pubblicità sottotono, dai permessi richiesti a ministeri e varie autorità, soprattutto dalla ta­cita benedizione di Re Abdullah, impegnato dalla sua nomina nel 2005 in una cauta ma co­stante opera di riforme. Anche perché autore dell’iniziativa è un membro della famiglia rea­le.
Il principe Al Walid Bin Talal, nipote del so­vrano, 13esimo uomo più ricco del pianeta, azionista di colossi bancari e immobiliari in mezzo mondo, già socio in Italia di Berlusco­ni, negli ultimi anni ha aggiunto alla sue pro­prietà il gruppo Rotana, primo dell’entertain­ment nei Paesi arabi, attivo nella musica, nelle tv, nell’editoria. E ora nel cinema: già nel 2006 il principe aveva prodotto la prima pellicola nel Regno, Keif Al Hal? (Come va?), «comme­dia alla saudita» ma girata a Dubai e distribui­ta ovunque tranne che in Arabia perché i tem­pi non erano maturi. I sauditi cinefili erano sta­ti costretti, per vederla, a trasferte negli Emira­ti o in Bahrain; la mobilitazione per mettere fi­ne al divieto dei cinema era iniziata. Anche su Facebook, diventato in Arabia (e non solo) il veicolo preferito da giovani e dissidenti per or­ganizzare campagne e proteste, spesso vitto­riose.
Con
Menahi, finalmente, il tabù è stato in­franto: già prima che a Riad, il film era uscito a Gedda, a Taif e a Jazan, dove «25 mila uomini e 9 mila donne — annuncia Rotana — l’hanno visto». Senza problemi: le spettatrice erano in galleria e gli spettatori in platea, nessuno scan­dalo. Ma Riad è un’altra cosa: la capitale e la sua regione, il Nejd, sono la roccaforte dei tra­dizionalisti e degli integralisti, chiusi nell’orgo­glio di essere l’unica terra islamica mai conqui­stata da stranieri, isolati da tutti per secoli. E non sorprende che sia stato qui, e non nella costiera e rilassata Gedda, che sia avvenuta la contestazione di una quindicina di «mutawa». Giovani uomini ferventi e iperconservatori, ri­conoscibili da barbe, tuniche informi e nessu­na concessione al lusso, hanno tentato di bloc­care la visione del film, insultando gli attori e intimando agli spettatori di «non peccare». Nelle ore precedenti, il protagonista aveva rice­vuto minacce via telefono e sms: se oltre a reci­tare nel film ne avesse permessa la visione, di­cevano, gli sarebbe venuto un cancro e sareb­be stato maledetto da Allah.
«Questa gente non ha più una vera influen­za, non rappresenta l’Islam né la virtù, non conta niente», ha minimizzato Al Malki. E la potente organizzazione ufficiale dei «mu­tawa » ha preso in effetti le distanze: il tentato boicottaggio era un atto individuale, ha detto la Commissione per la protezione della virtù e la prevenzione del vizio. Anche questo un se­gnale importante che i tempi stanno cambian­do. La promessa fatta pochi mesi fa ai giovani del Golfo dal principe al Walid — «voglio cor­reggere un grave errore: voi avete il diritto di divertirvi, e di guardare i film» — sembra così vicina ad avverarsi. E non solo nel chiuso delle case, nei cine-club fatti tra amici come avvie­ne pure in Iran, o sul computer: in cinema ve­ri. Magari, perfino, aperti a donne e ragazze.

" Non vado in tv senza permesso "

RIAD — Finché non riceverà il permesso, il primo ministro donna nella storia dell’Arabia Saudita non apparirà in tv. «Non toglierò il velo né apparirò sugli schermi tv a meno che non sia lecito», ha detto Nura Al Faiz, vice ministro per l’istruzione femminile, nominata a febbraio da Re Abdullah.

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