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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.06.2009 No a Farouk Hosny all'Unesco
Continua la battaglia di Bernard-Henri Lévy

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 giugno 2009
Pagina: 10
Autore: Bernard-Henri Lévy
Titolo: «Unesco, le inaccettabili scuse del candidato nemico di Israele»

La battaglia per impedire l'elezione di Farouk Hosny a presidente Unesco sarà lunga e difficile. Mancherà l'appoggio del governo israeliano, dopo che Netanyahu sembra aver promesso a Obama - in cambio di qualcosa che non si sa ancora - che Israele non si opporrà. Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/06/2009, a pag.10, con il titolo " Unesco, le inaccettabili scuse del candidato nemico di Israele",  l'articolo di Bernard-Henry Lévy, che  rilancia la campagna. L'articolo precedente , scritto insieme a Claude Lanzman e Elie Wiesel, è nell'archivio IC per chi non l'avesse letto. Ecco l'articolo:

Il signor Farouk Hosny aggrava la propria situazione. Candidato egiziano alla direzione generale dell’Unesco e sostenuto, in questa impresa, da Lega araba, Unione africana e Conferenza islamica mondiale, ha risposto, su Le Monde del 27 maggio, alla rievocazione, da parte di Claude Lanzmann, di Elie Wiesel e del sottoscritto, del florilegio di dichiarazioni anti-israeliane o anti-semite che costellano la sua lunga carriera politica.
Nell’articolo, evidentemente, non nega nessuna di tali dichiarazioni. Non nega, e a ragione, la sua ignobile denuncia, sul quotidiano egiziano
Ruz Al-Yusuf, della «infiltrazione degli ebrei nei mass media internazionali» e della loro diabolica abilità a «diffondere» le loro «menzogne». Non nega di aver risposto, l’anno scorso, a un deputato che gli rimproverava di aver lasciato che libri israeliani entrassero nella Biblioteca d’Alessandria resuscitata e che vi propagassero il loro veleno: «Bruciamo questi libri; magari li brucerò io stesso davanti a voi». Da vent’anni ministro della Cultura del primo Paese arabo che possa onorarsi di aver stretto, ai tempi di Anwar al-Sadat, relazioni quasi normali con lo Stato ebraico, Farouk Hosny non cerca nemmeno di minimizzare l’accanimento con cui si dedica ad arrestare questa normalizzazione, a impedirla, a sabotarla. Si accontenta, dice, di «rimpiangere» quelle terribili parole. E «rimpiangerle», per lui, significa concretamente tre mosse.
Primo, chiedere pietosamente che si «tenga conto delle circostanze» e «si situino nel loro contesto» i suoi appelli all’odio e all’autodafé. Secondo, precisare che le sue proclamazioni incendiarie le ha lanciate «senza intenzione né premeditazione». Terzo, riferire tali proclami al legittimo sdegno di un uomo «di coscienza» — messo di fronte all’insostenibile spettacolo delle «sofferenze subite» da un popolo palestinese «privato della propria terra e dei propri diritti» — che talvolta si lascia andare a parole un po’ «dure». Abbiamo letto attentamente. I palestinesi soffrono, quindi ci si propone di bruciare i libri scritti in lingua ebraica. I palestinesi rivendicano, a ragione, una terra e dei diritti, quindi si blocca l’apertura, al Cairo, di un museo della cultura ebraica. I palestinesi vogliono uno Stato e ne hanno
diritto, quindi, come non bastasse raccomandare il sabotaggio dell’unica iniziativa di pace che abbia avuto successo e che, se facesse scuola, si concluderebbe con la creazione di questo Stato, si invita, alla televisione egiziana e altrove, il negazionista della Shoah Roger Garaudy.
Che il Signor Netanyahu, in nome di chissà quale oscuro calcolo di Realpolitik, si accontenti di tale ragionamento, è affar suo. A me invece sembra un ragionamento appena degno di un piccolo vandalo di periferia che, interpellato per aver riempito di graffiti i muri di una sinagoga o di un centro comunitario ebraico, risponde allo stesso modo: «Dovete scusarmi... non è colpa mia, è colpa del conflitto israelo-palestinese che mi ha fatto saltare i nervi...».
Questo ragionamento mi sembra poco compatibile con la moderazione e la saggezza, requisiti fondamentali per un candidato alla direzione di un organismo che, sebbene non sempre abbia brillato per la fedeltà ai propri ideali fondatori, continua tuttavia a dedicarsi alla diversità delle culture, al dialogo fra di esse, allo sviluppo dello spirito di tolleranza, alla pace. Scusandosi, il signor Farouk Hosny si dà la zappa sui piedi.
«Assumendosi la reponsabilità» (l’espressione è sua) della «profonda emozione» che gli detta, fin dall’inizio, il suo piccolo accesso di collera annuale, si discredita ancora di più. La sua retorica mediocre non è degna né della patria di Nagib Mahfuz né, certo, di un mondo che deve scongiurare, ora più che mai, lo spettro dello scontro delle civiltà e delle culture.
Gli europei cominciano a capirlo (come il Parlamento tedesco che, la settimana scorsa, quasi all’unanimità, ha espresso la propria indignazione). Alcuni intellettuali arabi cominciano a preoccuparsi degli effetti deleteri di questa vicenda (come Abdelwahab Al-Effendi che ha appena pubblicato, sul quotidiano
Al-Quds Al-Arabi, un roboante «Non eleggete Farouk Hosny alla direzione dell’Unesco»). Facciamo appello a Barak Obama (che arriva al Cairo domani mattina), a Nicolas Sarkozy (la sede dell’Unesco è a Parigi), agli altri (l’eminente dignità della carica deve far sì che questa controversia preoccupi l’intera comunità internazionale) affinché, prima di ottobre, data della vittoria annunciata del signor Farouk Hosny, si impedisca la sua nomina.

 Bernard-Henri Lévy

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