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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.04.2009 Le belle famiglie: Gheddafi censura la rete televisiva del figlio
Denunciava le attività di terrorismo e tortura dei Comitati Rivoluzionari libici e difendeva Mubarak

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 aprile 2009
Pagina: 15
Autore: Cecilia Zecchinelli
Titolo: «Gheddafi chiude la tv del figlio e (ex) delfino Saif»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/04/2009, a pag. 15, l'articolo di Cecilia Zecchinelli dal titolo " Gheddafi chiude la tv del figlio e (ex) delfino Saif  ".

Il messaggio per Saif Al Islam Gheddafi non poteva es­sere più esplicito: a metà del programma in diretta An Qurb (da vicino) il segnale della sua tv satellitare Al Libiya s’inter­rompe; breve pausa, poi com­pare il logo della rete governati­va della Grande Jamahiriya libi­ca. Trascinata in questura e in­terrogata la conduttrice Hala Al Musrati, mentre il direttore Ab­dessalam Mechri era stato arre­stato sabato (sarà liberato ieri). Motivo dichiarato del raid: un’inchiesta di An Qurb sulle attività di tortura e terrorismo all’estero dei Comitati Rivolu­zionari (una sorta di partito unico libico) e le accuse lancia­te giorni prima sulla stessa rete dal giornalista egiziano dissi­dente Ahmed Qandil contro il raìs del Cairo Hosni Mubarak (che ha protestato formalmen­te). Confiscate infine le due ra­dio sorelle: se le tre emittenti continueranno a trasmettere non sarà certo da Tripoli (ma da Londra), perché la sentenza pare definitiva. E questo varreb­be anche per l’(ex) figlio predi­letto di Muammar Gheddafi.
Capire cosa succede in un Pa­ese chiuso e complicato come la Libia non è impresa facile. Ancora più opaca è la questio­ne della successione al Colon­nello, 67 anni di cui 40 da «fra­tello leader» di un Paese fonda­mentale per gli equilibri della regione: terzo produttore afri­cano di petrolio; snodo chiave per l’immigrazione clandesti­na; tuttora in bilico tra isola­mento tribal-socialista e aper­tura al mondo, in campo econo­mico e politico. E Saif, figlio maggiore della seconda (e pre­ferita) moglie del Colonnello, laurea in architettura in Au­stria, studi a Londra, è da anni il paladino di tale apertura. Ha lanciato campagne per intro­durre una Costituzione (idea non bocciata dal padre); batta­glie su diritti umani e libertà d’espressione (la sua tv era l’unica voce fuori dal coro); ri­chieste di trasparenza al gover­no (a partire da quella sul mas­sacro di Abu Salim: 1200 dete­nuti uccisi dalla forze di sicu­rezza nel 1999).
Per anni il Colonnello ha gra­dito o tollerato tutto questo, af­fidando a Saif il ruolo di capo informale della diplomazia, in negoziati politici ed economici con Europa (Italia compresa) e Usa, facendolo mediare in casi difficili (a partire da Locker­bie). E a lungo Saif era stato ri­tenuto il delfino designato tra gli otto figli, tra cui un econo­mista, un play-boy e un calcia­tore. Poi, lo scorso agosto, l’ini­zio del ritiro. «Ho deciso di non intervenire più negli affari di Stato», aveva dichiarato Saif a migliaia di sostenitori. Qual­cuno l’aveva trovata una mos­sa tattica, un voler evitare la parte del figlio-delfino in stile Gamal Mubarak per poi torna­re alla grande. Ma ormai troppi segnali indicano il contrario: a fine 2008 Saif si era ritirato in
Svizzera (si era parlato di «asi­lo politico», poi smentito). Da poco era tornato in Libia. Ma nessuna missione per conto di papà: nella Washington di Oba­ma c’è andato il fratello Moates­sem. E silenzio su cosa stesse facendo. Poi il raid contro la tv. Saif, a quanto pare, ha davvero perso i favori del Colonnello.

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