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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.02.2009 Niente tregua senza Gilad Shalit libero, di Francesco Battistini
con alcuni commenti su Unità e Avvenire

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 febbraio 2009
Pagina: 16
Autore: Francesco Battistini
Titolo: «Olmert frena: niente tregua senza Shalit»

In attesa che il presidente Peres attribuisca l'incarico di formare il governo, alcune cronache del dopo elezioni. Francesco Battistini,sul CORRIERE della SERA, riferisce la posizione dell'ancora premier Ehud Olmert per quanto riguarda la liberazione di Gilad Shalit, articolo che riproduciamo per primo. Sull'UNITA', Umberto de Giovannangeli intervista Salam Fayyad, che commentiamo brevemente, mentre AVVENIRE analizza il dopo voto con un editoriale di Riccardo Redaelli, che analizziamo di seguito.

Corriere della Sera - Francesco Battistini " Olmert frena: niente tregua senza Shalit"

GERUSALEMME — «No Shalit, no crossing». Alza l'indice, Ehud Olmert, e tocca al politico israeliano più impotente del momento spiegare il complicato gioco di potere di queste ore: il premier uscente «ha preso un impegno sulla liberazione del soldato Gilad Shalit e intende agire di conseguenza ». Ovvero: niente apertura dei valichi di Gaza, nessun annunc io a breve d'una tregua con Hamas.
Il puzzle si fa complicato e non riguarda solo le trattative per il cessate il fuoco: se Hamas non libera Shalit, Israele non sblocca le frontiere; se non sblocca le frontiere, Olmert non può firmare la tregua e il pallino passa al prossimo governo; se il prossimo governo sarà troppo a destra, Hamas forse rivedrà la trattativa... Non bastasse questo, aspettando che il presidente Peres apra le consultazioni, ecco le pressioni dall'esterno: Obama e l'Ue, scrive Haaretz, preferirebbero che a Gerusalemme s'insediasse una coalizione d'unità nazionale, Netanyahu Livni. Per rendere le cose meno complicate di come sono.
Tutti alzano la posta. Olmert ha solo da riguadagnare in popolarità, portando a casa l'ostaggio, ma è il primo a capire che «ogni decisione sarà presa tenendo conto delle nuove circostanze create dalle elezioni».
Hamas ostenta indignazione, «Israele sarà responsabile di questa escalation pericolosa » e intanto lancia razzi, ma giovedì ha preannunciato l'accordo pur di non trattarlo con un governo destrorso: sul tavolo restano la durata della tregua (un anno e mezzo? Israele non vuole limiti), assieme al futuro delle centinaia di palestinesi rilasciati in cambio di Shalit (gl'israeliani non li rivogliono in Cisgiordania) e alle guardie dell'Autorità palestinese che dovrebbero co-pattugliare il valico di Rafah (Hamas non le vuole).
Non aiutano i 1.800 poveracci — 800 sono feriti e malati cronici — che in queste ore s'ammassano a Rafah e aspettano d'essere accolti in Egitto.
Niente governo, niente tregua: un rebus forse risolve l'altro. Oggi si saprà la scelta di Tzipi Livni, che vorrebbe una premiership in staffetta (due anni più due) con Bibi Netanyahu, magari solo per trattare le emergenze — Gaza, Iran — e intanto varare la riforma elettorale. Anche per questo, l'amministrazione americana fa discretamente sapere che «lavorerà con qualsiasi governo», ma certo apprezzerebbe un'alleanza Kadima-Likud-laburisti. È un'interferenza? Il responsabile per la politica estera europea, Javier Solana, va oltre: dice di sperare la stessa cosa, pur sapendo che un governo Netanyahu renderebbe «difficili» le cose.
Ci mette becco anche il premier turco, Tayyip Erdogan, che ancora non ha sbollito la rabbia per la mediazione fra Israele e Siria, «bruciata » dalle bombe su Gaza: «Dalle elezioni è uscito un quadro nero — dice —. Il voto degli israeliani mi rattrista molto». Erdogan spera in Obama, che «sia la voce dei senza voce e il protettore di chi non è protetto». Ma gli preme raffreddare un po', dopo la pubblica lite con Peres al vertice di Davos, ora che è diventato un eroe dei siti jihadisti: «Bisogna distinguere fra governo e popolo israeliano. Criticare l'uno, ma rispettare l'altro. L'antisemitismo è un crimine contro l'umanità, come lo è l'islamofobia: il popolo israeliano dovrebbe combattere tutti i pregiudizi, anche quelli sull'Islam».

L'Unità - Umberto De Giovannangeli " " Obama ci aiuti ora che i duri governeranno in Israele "

Quel che colpisce, senza stupire, nell'intervista a Salam Fayyad di Udg è la riproposizione da parte del premier palestinese della più vieta retorica  anti-israeliana.  Fin dal titolo, decisamente sopra le righe. Si direbbe che la dirigenza Anp non abbia il coraggio di dire apertamente qual'è oggi il pericolo più grande per la costruzione dello Stato palestinese, un pericolo che non viene tanto dai risultati elettorali (è d'accordo persino il tanto vituperato Lieberman), ma da Hamas, specializzatosi nel far fuori palestinesi fedeli a Abu Mazen, e intenzionato a riprodurre in Cisgiordania quanto fatto a Gaza. Ma per Fayyad, e non solo per lui, il nemico è ancora Israele. Peccato, non hnno imparato nulla dagli accordi con Egitto e Giordania.

Avvenire - Riccardo Redaelli " Piega a destra ma sceglierà il dialogo con i palestinesi "

Più corretto il titolo dell'articolo. Se si sommano i voti dei partiti di Livni,Netanyahu,Lieberman,Barak, cioà la stragrande maggioranza, non capiamo perchè il dialogo dovrebbe essere compromesso. L'editoriale di Riccardo Redaelli preferisce invece sottolineare supposti ostacoli che nella destra di Lieberman sarebbero di ostacolo ad una intesa sul nuovo Stato palestinese. E' assente quasi del tutto una analisi seria degli ostacoli di provenienza arabo-islamico-plaestinese (Hamas,Siria,Iran,Hezbollah ecc.) Non manca poi il solito, retorico, appello alle "forze internazionali " perchè " premano" su Israele. Ma che qualcuno prema su Hamas-Siria-Iran-Hezbollah,  affinchè la chiudano col terrorismo, perchè non lo leggiamo mai negli editoriali dei nostri esperti ? A pag. 13, il quotidiano della Cei ha questo titolo " Hamas-Israele, ombre sulla tregua". Ci saranno pure delle ombre, ma ci sembra più rilevante il continuo lancio di razzi da Gaza sulle città israeliane. Al posto di ombre era più corretto scrivere razzi.

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