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Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.02.2009 Tregua : le pretese di Hamas
E i suoi crimini

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 febbraio 2009
Pagina: 14
Autore: Francesco Battistini-Anna Momigliano-la redazione del Manifesto
Titolo: «Hamas : Israele apra i valichi e noi gli restituiremo Shalit-Guerra di aiuti a Gaza-La sorte di Shalit nel rush finale prima delle urne»

La tregua fra Israele e Hamas occupa le pagine dei quotidiani di oggi, 05/02/2009.
Di seguito riportiamo la cronaca di Francesco Battistini  " Hamas : Israele apra i valichi e noi gli restituiremo Shalit "dal CORRIERE della SERA

GERUSALEMME — L'acciaio, il vetro, il cemento: no. L'acqua: sì. Le coperte e il cibo per i poveracci di Gaza: no. La testa di quel poveraccio di Gilad Shalit: forse. Tutto si contratta, s'arraffa, si minaccia al suk della Tregua. Nel silenzio di Obama che evita l'argomento, nel silenzio del mondo che spera non si spari, nel silenzio d'Israele che aspetta il suo martedì elettorale, è al Cairo che la trattativa continua. Con Israele che per la prima volta propone l'apertura delle frontiere al 75-80% delle merci, esclusi però l'acciaio e tutti i beni «dual-use» che servono a costruire case, sì, ma anche a fabbricare armi. Con Hamas che per la prima volta mette sul piatto il caporale israeliano Shalit, ostaggio da 956 giorni, in cambio di quel 20-25% di camion che il nemico vuol bloccare ai valichi. Con l'Egitto che offre un piano in due fasi. E alla fine ancora Hamas che arriva perfino a sequestrare le coperte e le razioni Onu destinate ai profughi, si concede un po' d'ironia: «Israele elenchi con precisione quali siano le merci a rischio. Un giorno, potrebbe venirci a dire che anche l'acqua serve a fabbricare i missili».
La Tregua dura ormai quanto durò la guerra, tre settimane, ma di scritto non c'è ancora nulla. «La colomba non è ancora tornata col ramoscello d'ulivo — dice Ehud Barak, ministro israeliano —, perché le acque non si sono ancora ritirate ». Il mediatore egiziano, Omar Suleiman, vorrebbe una firma prima del 10 febbraio e delle elezioni israeliane. Quelli di Hamas si dicono pronti: gli chiedono che sia l'Egitto a far passare per il valico di Rafah l'acciaio e il cemento che non può passare da Israele; si sentono rispondere che Israele tiene Rafah fuori dal negoziato e che il Cairo aprirà solo in presenza dei poliziotti palestinesi di Abu Mazen; allora non escludono neppure un incontro il 22 febbraio con gli arcinemici del Fatah. Incassano la ramanzina di Hosni Mubarak in persona: «Per quanto vedremo versare il sangue arabo — dice il presidente egiziano a Hamas, ma anche a Hezbollah —, per colpa di chi ha calcolato male la potenza della risposta israeliana? La resistenza deve tenere conto di vittorie e sconfitte, è responsabile del dolore e delle distruzioni».
Il movimento ha fretta di riprendersi e un segnale è la misteriosa scomparsa del suo numero due, il duro Mahmud Al Zahar: la barba tagliata, nascosto in un'ambulanza, sarebbe scappato nel Sinai a casa di mamma. Vero o falso che sia, se la notizia circola è perché Hamas non frena la trattativa e vuole contrastare l'offensiva di Abu Mazen, che già mette cappello sui 600 milioni di dollari in aiuti spediti dai primi Paesi donatori. «Siamo noi a gestire i soccorsi», mette in chiaro Hamas, e infatti ecco l'Onu che subito ordina al movimento di restituire le 3.500 coperte e le 400 razioni di cibo requisite ai senzatetto e redistribuite ai fedelissimi. Su una cosa sola, Hamas e Abu Mazen si trovano d'accordo: denunciare «i crimini di guerra» d'Israele. Anche se decine di uomini del Fatah sono stati fucilati da Hamas come «spie». Anche se ieri è stato l'esercito di Tsahal ad ammettere che fu l'artiglieria israeliana, e non un colpo palestinese come s'era paventato, a colpire la casa del ginecologo di Gaza e a ucciderne le tre figlie. Anche se proprio l'Onu, finita la sua inchiesta, ha riconosciuto che la strage alla sua scuola (46 morti) fu causata da una bomba caduta all'esterno: cambia poco, dicono i funzionari, ma dimostra che almeno in quel caso gl'israeliani non tirarono direttamente su un edificio delle Nazioni Unite.

Il MANIFESTO, accusa Israele di bloccare gli aiuti umanitari per Gaza, senza specificare le motivazioni di questo comportamento. In realtà Israele blocca il passaggio di camion che trasportano materiali che potrebbero essere usati per nuovi attentati contro gli israeliani. Inoltre, il quotidiano comunista ignora quanto riportato dagli altri quotidiani: il fatto cioè che è Hamas a bloccare i camion per sequestrarneil contenuto e rivenderlo.
A questo proposito pubblichiamo in fondo pagina l'articolo " La sorte di Shalit nel rush finale prima delle urne " di Anna Momigliano sul RIFORMISTA. Ecco i due articoli:

Il MANIFESTO : " Guerra di aiuti a Gaza "

Sugli aiuti umanitari e, più in generale, sulla ricostruzione di Gaza, si gioca la partita per il controllo della Striscia devastata dai 22 giorni di bombardamenti israeliani che hanno causato la morte di oltre 1.300 palestinesi. Ieri le Nazioni Unite hanno puntato l’indice contro Hamas. Il portavoce dell’Unrwa Christopher Gunness ha riferito che poliziotti del governo islamista hanno fatto irruzione in un deposito dell’Agenzia dell’Onu responsabile dei rifugiati palestinesi rubando «3.500 coperte e oltre 400 razioni di cibo pronte per essere distribuite a 500 famiglie». Gli agenti si sono impossessati degli aiuti dopo che i funzionari dell’Unrwa si erano rifiutati di consegnarli al ministero degli affari sociali. Hamas pretende di avere il monopolio della distribuzione, per ricavarne consenso politico. E mentre Hamas arriva ai ferri corti con l’Unrwa - da sempre amica dei palestinesi, senza distinzioni di appartenenza a questa o quell’altra fazione, l’Unione europea accusa Israele di bloccare gli aiuti diretti alla Striscia di Gaza, indispensabili per il ritorno alla vita di migliaia di persone stremate dai bombardamenti. La presidenza dell’Unione ha esprime «grave preoccupazione per l’attuale situazione umanitaria nella Striscia di Gaza e per gli ostacoli che incontriamo nella distribuzione degli aiuti». Nella lettera (datata 2 febbraio) diretta a Tel Aviv e intercettata dalla Reuters si legge ancora: «Il vostro governo ci aveva dato rassicurazioni sull’accesso di aiuti umanitari e volontari nella Striscia di Gaza... ma non abbiamo ancora notato un allentamento delle restrizioni». Tel Aviv sta facendo entrare soltanto 200 camion di aiuti europei al giorno, mentre secondo l’Ue Gaza ne ha bisogno di almeno 500. L’Autorità palestinese (Anp) di Abu Mazen dal canto suo ha annunciato che metterà a disposizione 600 milioni di euro per la ricostruzione della Striscia, da cui i suoi politici e le sue milizie furono cacciati nel giugno 2007 dagli uomini di Hamas che ne assunsero il controllo.

IL RIFORMISTA - Anna Momigliano " La sorte di Shalit nel rush finale prima delle urne "

Sono passati più di due anni e mezzo, 955 giorni trascorsi in prigionia mentre Israele teneva il fiato sospeso. Adesso però si intravede una speranza: l'odissea di Gilad Shalit, il giovanissimo soldato rapito da Hamas in territorio israeliano il 25 giugno 2006, potrebbe finire presto. Forse persino oggi. Ieri la stampa locale riportava che il governo israeliano e Hamas sarebbero «molto vicini» a raggiungere un accordo per uno scambio di prigionieri. Secondo il quotidiano Haaretz, che cita l'agenzia palestinese Ma'an, lo scambio potrebbe cominciare già oggi.
Lo stesso governo israeliano ha ammesso di essere disposto a pagare un prezzo alto per la libertà di Shalit. Non è una novità: già la scorsa estate Israele aveva pagato a caro prezzo (la liberazione di 4 miliziani, dell'infanticida Samir Kuntar, e la restituzione di 144 salme di nemici) per riavere da Hezbollah due riservisti di Tsahal, vivi o morti. Ehud Goldwasser ed Eldad Regev tornarono in due bare. Ma questa volta c'è ragione di credere che Gilad Shalit sia vivo e vegeto, nonostante le minacce di Hamas: «Non garantiamo la sicurezza del prigioniero» aveva detto l'organizzazione durante l'operazione Piombo Fuso. Ma la scorsa settimana il presidente francese Nicolas Sarkozy, che fin dall'inizio ha preso a cuore la vicenda di Shalit, ha confermato che il soldato è in vita.
Probabilmente l'accordo prevede un alleggerimento dell'embargo a Gaza: ovvero l'ingresso del 75% dei beni che sono trattenuti alla frontiera, come riportava Haaretz. Ma forse, come sostiene il giornale arabo Al Quds, sul piatto c'è anche la liberazione di Marwan Barghouti, il più famoso prigioniero palestinese nelle carceri israeliane. Condannato nel 2004 per cinque omicidi, di civili e militari, Barghouti sta scontando cinque ergastoli. Anche se Hamas ha spesso chiesto la sua liberazione, è un uomo di Fatah, di cui è stato prima il segretario in Cisgiordania e poi leader del braccio armato Tanzim. La liberazione di Barghouti potrebbe avere un impatto determinante nella politica palestinese, proprio mentre la comunità internazionale sta facendo pressioni per la creazione di un governo di unità nazionale.
Intanto dall'Onu arrivano accuse pesanti al comportamento di Hamas nei confronti della popolazione di Gaza. Ieri l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unwra) ha accusato Hamas di aver sottratto aiuti umanitari per Gaza: le forze di polizia del movimento «hanno sequestrato con la forza 3500 coperte e 406 pacchi contenenti cibo pronti ad essere consegnati a centinaia di famiglie», si legge in un comunicato dell'Unwra, che esprime una «ferma condanna» per il furto. Da tempo la stampa israeliana accusava Hamas di sequestrare gli aiuti umanitari destinati ai civili. A gennaio il Jerusalem Post riportava che Hamas avrebbe saccheggiato 100 camion carichi di aiuti, per poi rivenderne il contenuto. Lo scorso mese anche le autorità giordane avevano denunciato il saccheggio di un loro camion di aiuti. L' Unwra ha inoltre ritirato le accuse rivolte agli israeliani di avere colpito una scuola dell'agenzia: «Vorrei mettere in chiaro che il lancio dei proiettili di artiglieria e le vittime sono fatti accaduti al di fuori della nostra scuola» ha detto il coordinatore umanitario Maxwell Gaylord, riferendosi a un episodio del 6 gennaio in cui hanno perso la vita 43 palestinesi.
Intanto Israele si trova negli ultimi giorni di campagna elettorale: si vota martedì. I candidati fanno la voce grossa contro Hamas. «Non abbiamo altra scelta se non sradicare il regime a Gaza sostenuto dall'Iran», ha detto Benyamin Netanyahu, leader del principale partito di destra Likud. «L'unico modo di fermare i bombardamenti sul Sud è eliminare [il leader di Hamas] Ismail Hanyeh» fa eco il ministro di Kadima Zeev Boim. Nonostante il cessate il fuoco, ieri pomeriggio i miliziani palestinesi hanno lanciato colpi d'artiglieria sul distretto di Eshkol.
I sondaggi attribuiscono al Likud un vantaggio tra i 5 e i 12 punti su Kadima, il che significa che Netanyahu ha buone possibilità di essere il prossimo premier: ha già detto di volere creare un governo di unità nazionale. Gli ultimi giorni però hanno segnato l'ascesa del partito nazionalista Yisrael Beytenu di Avigdor Lieberman. Alcuni rappresentanti del Likud hanno confessato a Haaretz di essere preoccupati: i voti guadagnati da Lieberman sono sottratti a Netanyahu, e così Kadima potrebbe tornare ad essere il primo partito. In questo caso toccherebbe a Tzipi Livni formare un governo. Senza contare che, se davvero riuscirà a riportare Shalit a casa, la coalizione di centro-sinistra può ancora recuperare i consensi necessari per tornare al governo.

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