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Corriere della Sera Rassegna Stampa
01.02.2009 Elezioni in Iraq : la politica americana ha funzionato
La cronaca di Michele Farina, i commenti di Benjamin Barber e Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 01 febbraio 2009
Pagina: 1
Autore: Michele Farina-Ennio Caretto-Guido Olimpio
Titolo: «Elezioni in Iraq : un segno di speranza»

Le elezioni svoltesi in Iraq registrano il successo della politica americana in quel paese, come nota il politologo Benjamin Barber nell'intervista di Ennio Caretto che segue sul CORRIERE della SERA di oggi, 01/02/2009.
La cronaca è di Michele Farina e il commento di Guido Olimpio.

Michele Farina : "Famiglie irachene in fila alle urne. Il premier:  E' una vittoria di tutti  "

Grandi misure di sicurezza come 4 anni fa, ma nessun attentato. Vietato circolare in auto, coprifuoco fino all'alba
Ali non ha comprato una camicia nuova come quattro anni fa. Sorride: «Il primo voto non si scorda mai». Suo padre Nagim aggrotta la fronte: «Invece ce lo siamo dimenticati subito. Doveva essere l'inizio di qualcosa, è stato un passo verso il baratro». La moglie Radiya: «Allora andiamo? E' tutto più tranquillo dell'altra volta. Walid e Ali: portate i bambini così si divertono con l'inchiostro blu».
E così ieri mattina, come milioni di iracheni, la famiglia sciita di Haji Hassun è tornata a intingere il dito nel «barattolo post voto». Hanno camminato fino alla scuola vicina, nel quartiere Karrada di Bagdad, uno dei 6.000 seggi sparsi in 14 province. Hanno fatto la fila a due check-point (polizia ed esercito). Niente telefonini (possibili detonatori) e pacchetti di sigarette (possibili micro-bombe). Per un giorno, come nel gennaio 2005, le strade sono tornate bislunghi campi di calcio per ragazzini. Auto vietate, almeno fino a mezzogiorno. Frontiere chiuse come l'aeroporto, coprifuoco notturno, gipponi con bandiera irachena a presidiare i ponti e le piazze. Grandi misure di sicurezza come nel 2005, ma nessun attentato: invece quattro anni fa, il mattino plumbeo del «primo voto non si scorda mai» di Ali il barbiere, Bagdad si svegliò tra le esplosioni. Ragazzi mentalmente disabili fatti saltare in aria davanti ai seggi. A casa Hassun, dove allora aveva base il Corriere (precisamente nella stanza di Ali, tra un letto e un gigantesco frigo comprato in previsione di nozze) la famiglia del tassista Nagim è diventata più numerosa. Il figlio Ali nel frattempo si è sposato con Fatima, i loro due bambini giocano con le ragazzine di zio Wahid. E ieri tutti insieme sono andati a votare per la lista del Consiglio Supremo Islamico Iracheno (Isci), il partito di maggioranza sciita. Scomparso il gruppo dell'ex signore della guerra Moqtada Al-Sadr, in campo sciita è lotta aperta tra l'Isci e il Dawa del premier Al-Maliki. Alle formazioni maggiori fanno capo le numerose liste in lizza (400). Più partiti, meno entusiasmo? «L'altra volta ci avevamo sperato troppo » dice Walid. «Beh, le cose sono un po' migliorate» replica Ali. «Ve lo dico io cosa è cambiato — li zittisce il patriarca Nagim —. Guardate in tv le immagini da Ramadi: vedete? I sunniti vanno a votare. Ecco la differenza».
Nagim ha ragione. Ramadi è il capoluogo della provincia di Anbar (dove sono morti un terzo degli oltre 4mila caduti americani in Iraq). Lì alle elezioni del 2005 (nazionali e provinciali insieme) andò alle urne il 2% della popolazione. Oggi molto è cambiato (secondo i dati della Commissione Elettorale l'affluenza avrebbe toccato il 60%). Dagli schermi della tv pubblica Al Iraqiya, ecco le immagini dei gipponi dell'esercito iracheno nelle strade di Ramadi. Fino a due anni fa era territorio proibito, la guerriglia le avrebbe spazzate via in un fiat. Ieri le mitragliatrici avevano le canne abbassate verso terra, con la musica che usciva a tutto volume dalle autoradio degli humvees. Una festa. Arwa Damon della Cnn ha intervistato un uomo che andava al seggio con il fratellino di 7 anni: «Voglio che capisca cos'è la democrazia ». In serata uno sceicco di Anbar, Ibrahim Al-Hardani, in una telefonata al Corriere
dava una rappresentazione più prosastica del cambiamento: «E' vero, molto è cambiato. Qui prima comandava Al Qaeda, che voleva proibirci le sigarette e sposare le nostre donne. Noi ci siamo ribellati. Gli americani hanno smesso di spararci addosso e sono arrivati i soldi». Soldi ed elezioni. «Dai proiettili alle urne, ci sono motivi per sperare che questo processo in Iraq sia irreversibile » commentava ieri Staffan De Mistura, massimo responsabile Onu a Bagdad. Dai bullets ai ballots, il sogno di ogni Paese che vuole uscire da una guerra intestina. Votando ieri in un salone dell'hotel Rashid il premier Nouri al Maliki ha definito le elezioni «una vittoria di tutti gli iracheni».
Almeno fino ai risultati ufficiali (tra cinque giorni). Le urne sono un'occasione per contarsi (e magari scoprirsi perdenti). Queste elezioni provinciali erano una prova importante per misurare l'affidabilità delle istituzioni in tema di sicurezza. Ed è chiaro che il piano Obama per un rapido disimpegno esca rafforzato dalla giornata di ieri, che il presidente Usa ha definito «un importante passo avanti, significativo e pacifico». Certo restano molte incognite. Banco di prova le politiche di fine anno. Nel fronte sunnita occhi puntati sugli ex guerriglieri (come lo sceicco Al-Hardani) che hanno scelto la politica nei gruppi del «Risveglio Sunnita». Si farà mai un governo di unità nazionale? Il deputato sunnita Mithal Al Alusi, considerato un traditore dalla guerriglia che dopo il voto del 2005 gli uccise due figli, è pronto a perdonare: «Stringerei la mano agli assassini dei miei ragazzi — dice al Corriere — Sono pronto a lavorare con loro per il futuro di questo Paese».

Ennio Caretto : " Obama conservi l'eredità di Bush "

WASHINGTON — «Sono stato uno dei critici più accesi di Bush. Ma debbo dire onestamente che l'Iraq può diventare una delle sue poche eredità positive per Obama. Se le cose continueranno a evolversi come negli scorsi mesi e se i Paesi circostanti lo aiuteranno, l'Iraq si stabilizzerà. Bush potrà rivendicare un certo successo». Al cellulare dalla Florida, dove si trova per una conferenza, Benjamin Barber, l'autore di Guerra santa contro McMondo
e de L'impero della paura, rende un parziale omaggio all'ex presidente. «Ma la situazione è ancora fragile», aggiunge. «Molto dipenderà da Obama: se ritirasse precipitosamente le nostre truppe e non dialogasse con l'Iran, la Siria e altri, scoppierebbe una nuova crisi ».
Si aspettava elezioni così relativamente tranquille?
«Lo speravo, per il bene nostro e dell'Iraq. Mi opposi alla guerra perché fu sferrata sulla base di menzogne e di inganni, e perché fu condotta in maniera disastrosa, con terribili perdite di vite umane. Ma ultimamente mi ero reso conto che è in atto un riavvicinamento tra sunniti, sciiti e curdi e che, in qualche misura, i partiti funzionano. Bush fu uno dei pochi a crederci quando tutto sembrava crollare. Un merito da riconoscergli, un regalo inatteso a Obama».
Lei considera cruciale il ruolo dell'Iran e della Siria per il futuro dell'Iraq.
«Dell'Iran, della Siria e degli altri Paesi in prima linea come la Turchia, il Libano, la Giordania. Prima la Siria e poi l'Iran destabilizzarono il Libano. Potrebbero farlo di nuovo con l'Iraq, ma mi auguro che non lo facciano, non è nel loro interesse. Però dipenderà anche da Obama, come le ho detto. Contrariamente a quanto promise nella campagna elettorale, il presidente dovrà mantenere una presenza militare in Iraq e negoziare con Teheran, Damasco, eccetera, ossia proteggere il lascito a sorpresa di Bush ».
E se non lo facesse?
«Comprometterebbe il buon risultato ottenuto da Bush, risultato per ora temporaneo e l'Iraq ripiomberebbe nel caos: paradossalmente, il posto dell'ex presidente nella storia sarà determinato dal suo successore. Non penso che l'Onu o l'Ue saprebbero riempire l'eventuale vuoto lasciato da noi. Obama è chiamato a dimostrare un impegno preciso per la pace non solo in Iraq ma nell'intera regione. Sono convinto che agirà con prudenza ma fermezza, anche perché si è circondato di persone capaci».
C'è chi accusa tuttora Bush di avere aggravato la crisi in Palestina e in Afghanistan concentrandosi sull'Iraq.
«L'accusa è fondata, il conflitto iracheno ha distratto troppo l'America dal confronto con Hamas e dalla guerra ad Al Qaeda e ai talebani. Credo però che Obama capisca che le due crisi hanno la stessa radice: il rapporto sbagliato tra l'Occidente e l'Islam, che ha creato pericolose tensioni dall'India al Mediterraneo. E credo che cercherà di porvi rimedio al più presto».
In che maniera?
«Aprendo trattative con tutti, nella consapevolezza che un primo successo con uno di loro porterebbe più tardi al successo anche con uno o più altri, e viceversa un fiasco avrebbe ripercussioni negative ovunque. Lo sta già facendo con i suoi emissari speciali. Io non condivido la tesi che lo scontro di civiltà di Samuel Huntington sia inevitabile, i due mondi cristiano e musulmano possono convivere. Alla fine della sua presidenza, lo ha capito anche Bush».

Guido Olimpio : " Un segno di speranza "

U n piccolo grande giorno. Un segno di speranza.
Una prova che la democrazia, sia pure imperfetta, può funzionare anche a Bagdad. Le code per partecipare alle elezioni municipali, i 14.400 candidati, i seggi tenuti aperti un'ora in più, l'assenza di incidenti seri o attentati rovesciano l'immagine che associa l'Iraq al disastro. Per anni è sembrato che l'invasione americana si fosse tramutata in un'avventura senza limiti. La violenza cieca, il terrorismo rampante, le vendette incrociate, la miseria, la corruzione. Ferite profonde ed evidenti. Gli iracheni arrivavano persino a rimpiangere i tempi della dittatura. Non per scelta ideologica, ma solo perché, pur oppressi, potevano condurre «una vita normale ». All'improvviso era venuto a mancare tutto, tranne le cataste di morti falciati dalla guerra e dai kamikaze. Il cammino apertosi con la cacciata di Saddam pareva inghiottito dal caos insurrezionale.
Invece gli iracheni e gli americani non si sono persi d'animo. Hanno resistito, poi sono ripartiti tenendo conto degli errori. Una strategia più intelligente varata da Bush e dal Pentagono è riuscita a strappare – anche pagando – settori consistenti sunniti alla deriva qaedista. Con un'azione meno ideologica Washington ha ottenuto la tacita collaborazione del-l'Iran per tenere a freno gli sciiti oltranzisti. Scelte mirate che si sono sommate alla voglia di voltar pagina della popolazione stremata.
Certo, troppe cose ancora non vanno e sarebbe un errore sottovalutare le tante insidie. I terroristi sono stati messi nell'angolo ma possono fare danni. Le tensioni tra le diverse componenti – sciiti, sunniti, curdi, minoranze varie – continuano ad essere una minaccia. Molti servizi primari restano un miraggio. E anche sul voto di ieri si sono allungate ombre di brogli. Ma ciò che conta è che gli iracheni una volta messi in condizione di scegliere non sono rimasti rintanati nelle loro case. I candidati, rispetto alle precedenti elezioni, non hanno avuto paura di fare campagna. E hanno dimostrato che anche in una terra difficile come questa non è proibito sognare un cambio. Gli iracheni sperano che il piccolo grande giorno sia l'alba di una nuova stagione.

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