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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.01.2009 Proteste contro la BBC, non abbastanza filopalestinese
e inoltre: il piano italiano per aiutare la Cisgiordania e Gaza

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 gennaio 2009
Pagina: 16
Autore: Fabio Cavalera - Maurizio Caprara
Titolo: «Spot per Gaza, no della Bbc Il governo: «Inspiegabile» - Roma rilancia: piano Marshall per i palestinesi»

La BBC, non certo una testata filoisraeliana, rifiuta un spot di tredici organizzazioni umanitarie per inviare aiuti a Gaza. Per "doveri di imparzialità", afferma. Il che fa pensare che lo spot, più che a stimolare la solidarietà, mirasse a mettere sotto accusa Israele.
Il risultato sono proteste e condanne contro l'emittente televisiva, anche da parte del governo laburista inglese.

Dal CORRIERE della SERA del 25 gennaio 2009, "Spot per Gaza, no della Bbc Il governo: «Inspiegabile»" , di Fabio Cavalera:



LONDRA — È giusto che la televisione di Stato censuri un appello a favore delle famiglie di Gaza? E con quali motivazioni? La Bbc diventa un caso.
Accusata fino a pochi giorni fa di sbilanciare le sue news a favore dei palestinesi, persino di sposare le tesi di Hamas, si trova ora al centro di una accesa controversia politica per la ragione opposta, per avere cioè consapevolmente escluso la denuncia di tredici organizzazioni (fra le quali la Croce Rossa), riunite nel cartello «Disaster Emergency Committee» che sollecita la solidarietà con le vittime della guerra.
Doveri di imparzialità, si è giustificata la Bbc. Uno scandalo, hanno invece attaccato alcuni esponenti del governo laburista. In testa il ministro della Sanità, Ben Bradshaw, che ha parlato di iniziativa «inesplicabile ». Seguito a ruota dal sottosegretario per lo Sviluppo internazionale, Douglas Alexander, per il quale l'opinione pubblica è in grado da sola di distinguere fra l'appoggio a una causa umanitaria e il sostegno a una delle parti in conflitto. Entrambi voce di una forte corrente di pensiero che attraversa il partito di maggioranza: la Bbc è venuta meno al dovere di fornire una informazione completa. Considerazioni che non sono piaciute per niente ai vertici televisivi, tanto da indurli a una durissima replica: «È in gioco la nostra indipendenza ». Le fibrillazioni ruotano attorno a un paio di domande: qual è il modo corretto di coprire gli eventi tragici del Medio Oriente? È possibile mantenere un profilo «equidistante» sui bombardamenti e i combattimenti a Gaza? Paradossale la posizione in cui nel giro di una paio di settimane l'«istituzione» televisiva inglese si è venuta a trovare. Al momento degli attacchi israeliani i suoi servizi non sono piaciuti alla comunità ebraica per l'eccessiva enfatizzazione sui raid aerei e un'impostazione ritenuta poco obiettiva, addirittura incline a sposare il «vittimismo » di Hamas. Ora lo scenario si è ribaltato. E la Bbc si trova sul banco degli accusati. «È la conferma che abbiamo una linea editoriale giusta», hanno spiegato i responsabili della tv di Stato. Caroline Thompson ha sottolineato: «Finora siamo stati esemplari nel raccontare le sofferenze dei palestinesi. Se mettessimo a repentaglio la nostra credibilità presso il nostro pubblico dando l'impressione di schierarci da una parte anziché dall'altra sarebbe una sconfitta per tutti, anche per le organizzazioni umanitarie».
Intervento che non ha placato gli animi. La Bbc è diventata oggetto anche di attacchi pubblici in piazza. Migliaia di manifestanti hanno bloccato ieri pomeriggio le strade del centro di Londra. In Oxford e Regent Street, a Piccadilly e Trafalgar Square militanti della sinistra inglese al fianco di folte rappresentanze dell'emigrazione araba hanno urlato slogan contro Israele, bruciato bandiere con la stella di David e hanno solidarizzato con la causa palestinese. Ma bersaglio della protesta non era soltanto Gerusalemme. Le ire dei partecipanti hanno preso di mira soprattutto l'informazione della Bbc. Diversamente,
Channel 4 e Itv hanno fatto sapere che trasmetteranno l'appello. Già in mattinata, davanti al centro di produzione della tv di Stato, si era avuto un fuori programma quando parecchi giovani avevano chiesto alla
Bbc di riconsiderare la sua posizione. La risposta era stata negativa. Poche ore più tardi la scintilla ha dato il via a una protesta ben più estesa. Nulla, comunque, che abbia scalfito le convinzioni dell'emittente. «Abbiamo trasmesso le immagini su macerie e morti provocati dalla guerra e dai bombardamenti a Gaza. Non smetteremo ». Regola numero uno: al primo posto i fatti. Le polemiche rischiano di essere «un diversivo estraneo alla tradizione della
Bbc ».

Un'intervista di Maurizio Caprara a Stefania Craxi, " Roma rilancia: piano Marshall per i palestinesi ":

ROMA — Per la conferenza internazionale sugli aiuti ai palestinesi che Hosni Mubarak vuole tenere in Egitto verso febbraio, il governo italiano si prepara a ritirar fuori la proposta di un «piano Marshall » per i Territori e Gaza. Nel 2002 Silvio Berlusconi si prefiggeva di creare centomila posti di lavoro in un anno, una superstrada tra Ramallah e la Striscia che una settimana fa è uscita dai bombardamenti, «programmi congiunti» per il «turismo religioso» tra musulmani e ebrei. Adesso i progetti sono meno altisonanti, ma ci sono. «La nostra idea è favorire l'integrazione economica tra Cisgiordania, Israele, Egitto e Giordania», dice Stefania Craxi, sottosegretario agli Esteri incaricata nei mesi scorsi di rielaborare il piano.
Solidità della tregua a Gaza permettendo, quali passi compireste?
«Prendiamo l'acqua, per esempio. Le risorse idriche di palestinesi e Israele coprono soltanto il 60% del fabbisogno di entrambi. A gestire le falde sono per lo più gli israeliani. Nel nostro piano abbiamo progetti per la desalinizzazione che coinvolgano sia Israele sia i palestinesi».
Nel 2002 il piano di Berlusconi prevedeva un porto con attracco delle navi in acque profonde. Adesso?
«Abbiamo affidato all'«Interporto Quadrante Europa» di Verona uno studio di fattibilità per realizzare piattaforme logistiche e distributive, collegate attraverso corridoi autostradali al porto di Haifa e alla Giordania».
Con quali prospettive di sbocchi all'estero?
«Esiste un'intesa con altri porti europei disposti a partecipare alla rete di trasporti. Tra questi, in Italia, Venezia e Gioia Tauro».
Altri progetti?
«Uno è per aumentare la produzione di ortofrutta nell'area di Jenin. Sia con piattaforme logistiche per esportarla appena colta sia con impianti per trasformarla ed esportarla dopo».
Linee guida della vostra proposta?
«Sviluppare il modello delle piccole e medie imprese italiane e dei nostri distretti con produzioni integrate. L'obiettivo è far crescere tra i palestinesi la classe media, seguendo il modello lombardo- veneto che ha consentito a tanti operai di diventare imprenditori».
Rispetto al 2008 i fondi per la cooperazione allo sviluppo sono stati tagliati dal governo del 54%. Con quali soldi pensate di farlo?
«Puntiamo prevalentemente su capitali privati perché bisogna mettere in relazione tra loro forze economiche presenti sul territorio e quelle propense a investire. Per sconfiggere estremismo e fondamentalismo, dobbiamo battere la disperazione ».
Alleati?
«Nei progetti sono coinvolte aziende pubbliche e private, Simest, Enea, altri. Appena la situazione sarà stabilizzata, partirà una missione di imprenditori e tecnici per Jenin. Porteremo il tutto alla conferenza di Mubarak e saremo pronti a condividere l'operazione con i partner

Il  piano di aiuto ai palestinesi dovrebbe essere accompagnato da chiare indicazioni su come evitare che i fondi internazionali vengano intercettati da Hamas, e  da essa dirottati verso il terrorismo, la propaganda e il rafforzamento del suo potere totalitario.

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