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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.01.2009 Gilad Shalit è vivo
la cronaca di Francesco Battistini, e inoltre : l'intervista di Davide Frattini a Yossi Beilin sull'ipotesi di un governo congiunto Fatah-Hamas

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 gennaio 2009
Pagina: 12
Autore: Francesco Battistini - Davide Frattini
Titolo: «L'ostaggio Shalit è vivo» Torna l'ipotesi dello scambio - Un nuovo governo tra Fatah e Hamas non va boicottato»

Da pagina 12  del CORRIERE della SERA del 23 gennaio 2009, riportiamo la cronaca di Francesco Battistini "L'ostaggio Shalit è vivo» Torna l'ipotesi dello scambio":

TEL AVIV — Ma è vivo? «È vivo. Non gli è accaduto nulla ». Ma avete fretta di tirarlo fuori perché arrivano le elezioni? «La questione Gilad Shalit non è legata al periodo elettorale ». Ma lo scambio è davvero vicino? «Rispetto a prima dell' operazione militare, ci sono più chances di risolvere».
La stanza è di quelle con la serratura a combinazione. Anche da qui si sono guidate le tre settimane di guerra. Un'alta carica israeliana, seduta di fronte a sette giornalisti di sette Paesi, prende un foglietto bianco e con un pennarello disegna quattro linee. Quattro parole. Tregua, contrabbando, aspetti umanitari, valichi: «Questi sono i punti su cui si tratta». E il caporale Shalit? «La soluzione del caso non è mai stata legata all'operazione militare su Gaza. Sarà risolto sulla base d'uno scambio di prigionieri, com'è stato trattato fin dall'inizio. Qualcosa di più o di diverso non aiuterebbe a salvarlo».
Sanno che c'è. Punto. Sul dov'è, no comment. Forse incatenato negli scantinati della Striscia, come dice un diplomatico egiziano, assieme ai leader di Hamas che «non hanno ancora tirato fuori la testa e ci costringono ad aspettarli». O forse prigioniero altrove: «In Iran — butta lì un ufficiale israeliano —: l'hanno portato fuori per i tunnel e poi a dorso di cammello, attraverso il Sinai». Ovunque sia, 943 giorni dopo, la storta guerra del caporale Shalit si potrebbe raddrizzare: «Credo — dice il premier Ehud Olmert — che l'operazione militare abbia reso possibile il suo ritorno a casa. Stiamo facendo grandi sforzi. Ci spero, ma non posso prometterlo». Non potendo mostrare l'80 per cento dei tunnel distrutti, portare fuori il ragazzo sarebbe un risultato visibile d'una guerra che più d'un israeliano, ora, comincia a chiedersi che cosa sia stata (un successo, dice in un sondaggio il 59%: e non è più l'80 dei primi giorni di bombe). Olmert e diversi ministri, prima contrari a scambiare l'ostaggio con centinaia di terroristi detenuti, ora sembrano più flessibili: «Siamo pronti a pagare un prezzo terribile», confidano.
«Fino a quando Shalit resterà in mano a Hamas — avverte Tzipi Livni —, sarà impossibile risolvere la crisi di Gaza».
Anche le irrinunciabili condizioni — no al rilascio di Marwan Barghuti o dei mandanti d'attentati terribili, come Sbarro a Gerusalemme e il ristorante Matza di Haifa — ora sono meno irrinunciabili: «Sono pronta ad accettare che escano dal carcere i mandanti di quegli assassini — dice Rachel Koren, 55 anni, che per i kamikaze perse marito e due figli —, pur di rivedere a casa Gilad Shalit».
Si può fare. Purché si risolvano le questioni sospese: «Il controllo del traffico d'armi dovrà essere anche un controllo navale sul Mar Rosso — dice l'alta carica, nella stanza dei bottoni —, perché i Qassam arrivano alla Striscia da Iran, Sudan, Yemen, Eritrea, Somalia. I tunnel, sarà dura distruggerli tutti. E il controllo non si fa a Gaza, perché con Hamas è impossibile trattare: si fa in Egitto». E Obama è d'accordo? «La condotta internazionale è che non si tratta con un'organizzazione terroristica. Ma parlare con Hamas non è un problema di noi israeliani, è un problema dei palestinesi: se non con loro non vuole parlare nemmeno l'Autorità palestinese, non vedo perché dovrebbe farlo Obama».

Sempre dal CORRIERE della SERA del 23 gennaio 2009, l'intervista di Davide Frattini al politico israeliano di sinistra Yossi Beilin,  "Un nuovo governo tra Fatah e Hamas non va boicottato":

GERUSALEMME — Da tre mesi, Yossi Beilin non è più deputato alla Knesset. Ha lasciato Meretz (il partito alla sinistra dei laburisti), è rimasto in politica. Il suo manifesto diplomatico resta l'Iniziativa di Ginevra, la proposta di accordo non ufficiale, negoziata da un gruppo di israeliani e palestinesi nel 2003. La pace possibile sta in un documento di quaranta pagine, che sono state studiate dalla squadra di Barack Obama. Rahm Emmanuel, capo dello staff del nuovo presidente, è tra i firmatari di una petizione in appoggio dell'intesa. «Anche Bill Clinton è tra i nostri sostenitori», spiega Beilin.
Nel 1992 iniziò i negoziati segreti, su mandato di Shimon Peres, che portarono agli accordi di Oslo. Adesso spera che il suo progetto possa essere rilanciato da Obama, anche se Beilin si sta prendendo cura di una nuova creatura, una società che ha raggruppato ex diplomatici per promuovere gli interessi israeliani all'estero.
Il primo test per Obama — scrive il
New York Times — è la strategia da adottare nei confronti di Hamas: sostenere un governo di unità nazionale o mantenere l'isolamento dei fondamentalisti. «La divisione fra i palestinesi va superata — commenta Beilin —, ma non sono sicuro che il presidente Abu Mazen sia già pronto, intendo dire abbastanza forte dopo la guerra a Gaza. Vanno proseguiti i negoziati con l'Organizzazione per la liberazione della Palestina e se nasce un governo Hamas- Fatah, Israele non deve boicottarlo ».
di 75 anni aveva presentato a George Bush un dossier sul conflitto israeliano- palestinese: chiedeva il blocco totale degli insediamenti e l'intervento di Yasser Arafat contro la violenza. «All'inizio Obama non deve concentrarsi sugli insediamenti, troppo complicato, rischia di fermare il processo. La prima mossa è far ripartire i negoziati seri ». Conosce ancora meglio i Clinton. «Questa amministrazione tornerà ai parametri fissati da Bill per un'intesa: due Stati, divisione di Gerusalemme, soluzione del problema dei rifugiati, con il ritorno in Israele per un numero simbolico di loro».
La comunità internazionale sta studiando un meccanismo per gestire i fondi della ricostruzione a Gaza, che non coinvolga direttamente Hamas, l'obiettivo è evitare che gli integralisti raccolgano un successo tra la popolazione. «La soluzione è ancora il governo di unità nazionale. È impensabile far gestire i fondi ad Abu Mazen fino a quando l'Autorità palestinese non riprende il controllo della Striscia».
La Francia è pronta a dialogare con un governo palestinese che comprenda i fondamentalisti, se l'organizzazione rinuncia alla violenza. «È l'approccio giusto. Anche Israele deve prepararsi a trattare con loro, rinunciando alla richiesta del riconoscimento dello Stato ebraico. Voglio essere chiaro: è pazzesco che il governo di Ismail Haniyeh (il premier di Hamas deposto da Abu Mazen, ndr) abbia potuto rinnegare e non rispettare gli accordi firmati da altri esecutivi palestinesi in passato. Un partito come Hamas non avrebbe dovuto partecipare alle elezioni, una clausola degli accordi di Oslo lo vietava. Hanno vinto, sono lì, non possiamo ignorarli ».

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