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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.12.2008 Ecco un esempio di informazione corretta
un plauso al Corriere di Paolo Mieli

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 dicembre 2008
Pagina: 1
Autore: Piero Ostellino,Amos Oz,Antonio Ferrari,Guido Olimpio, Francesco Battistini
Titolo: «Vari»

Anche oggi, 29/12/2008, sul CORRIERE della SERA, servizi accurati e da segnalare per la completezza dell'informazione. A partire dall'editoriale di Piero Ostellino in prima pagina. Seguono le analisi di Amos Oz, anche lui, ormai impegnato nella politica diretta come A,.B.Yehoshua, si richiama ad una tregua immediata. Antonio Ferrari riporta le opinioni dell'analista palestinese Elias Zananiri, molto critico nei confronti di Hamas, mentre Guido Olimpio racconta come l'Iran rifornisce di armi i gruppi terroristi. Le cronache sulla situazione in Israele e a Gaza sono di Francesco Battistini.

Piero Ostellino: " L'opportunità persa ":

Con la decisione di ritirare le truppe israeliane da Gaza, Ariel Sharon aveva offerto ai palestinesi un'opportunità. Al tempo stesso, però, il passaggio della sua amministrazione nelle loro mani aveva creato obbiettivamente le premesse di una loro spaccatura. L'opportunità consisteva nella possibilità che le fazioni nelle quali il movimento era diviso abbandonassero la lotta armata, si unificassero sotto Al Fatah e partecipassero al processo di pace con Israele, voluto da Usa e Europa. Le premesse della crisi stavano nell'eventualità di un acuirsi della divisione fra integralisti, contrari a soluzioni di pace, movimento palestinese moderato e governi islamici favorevoli.
La crisi di questi giorni conferma che, fra le due prospettive, a prevalere è stata la seconda. Ancora una volta sono state le divisioni all'interno del movimento palestinese e, in parte, dello stesso mondo arabo a prevalere, riaccendendo il conflitto. Con il lancio di missili da parte di Hamas contro le popolazioni israeliane limitrofe, cui ha fatto seguito l'inevitabile reazione di Israele. Il successo di Hamas nelle elezioni per l'amministrazione di Gaza, nel gennaio 2006; la rottura, nel giugno 2007, dell'accordo con Al Fatah, raggiunto solo poco più di tre mesi prima, nel febbraio dello stesso anno, ne erano state le avvisaglie.
C'è un convitato di pietra che blocca ogni possibilità di pace. È l'Iran. Che sostiene il rivendicazionismo di Hamas; che, con la sua corsa all'armamento atomico, inquieta Israele, l'Occidente e pressoché l'intero mondo arabo, dall'Arabia Saudita — promotrice, nel marzo 2002, dell'iniziativa Arab Peace e fallita nel 2007 — all'Egitto, alla Giordania. Forse non è superfluo ricordare che l'articolo 7 della Carta di Hamas non propugna solo la distruzione di Israele, ma lo sterminio degli ebrei, così come sostiene il presidente iraniano Ahmadinejad; che all'articolo 13 si invoca la guerra santa; che il nazionalismo del movimento affonda le sue radici nell'interpretazione di Teheran della religione.
La maggioranza del mondo arabo è per la pace. Lo testimoniano — al di là delle condanne di rito di Israele e delle manifestazioni di piazza — le reazioni alla crisi di Fatah. Abu Mazen, il presidente del-l'Autorità palestinese, ha ricordato di aver implorato Hamas a non rompere il cessate il fuoco. L'Egitto fa trapelare che esiste un piano Iran-Hamas-Fratelli musulmani per creare disordini in Palestina e nel suo territorio. Tacciono la Giordania, l'Arabia Saudita, i palestinesi della West Bank. L'attacco israeliano — invece di ricompattarlo contro Israele, come vuole una tesi propagandistica anti israeliana — ha rinsaldato il mondo arabo contro Hamas e l'Iran. È un ulteriore segno che Ariel Sharon aveva visto bene.

Amos Oz: " Chiedo a tutti: cessate il fuoco "

E' il momento per un urgente e immediato cessate il fuoco tra Israele e Hamas. Hamas deve subito bloccare i suoi attacchi insensati ai danni dei civili israeliani e Israele deve fermare le sue operazioni a Gaza. Ulteriori violenze non condurranno a nulla, se non all'inasprimento del circolo vizioso fatto di attacchi e contro-attacchi sempre più gravi e senza fine.
L'unico obiettivo delle operazioni militari di Israele a Gaza è di raggiungere la fine degli attacchi contro i propri cittadini e la sua società civile. Va detto che non deve esistere alcun altro obiettivo che Israele possa raggiungere tramite il ricorso alla forza militare.
D'altra parte, noi tutti dobbiamo adattarci all'evidenza della profonda divisione esistente all'interno del campo palestinese e prendere atto che oggi convivono due Palestine: una nella striscia di Gaza e l'altra in Cisgiordania. Gaza è stata sequestrata da una banda di estremisti islamici che si muovono sulla falsariga dei talebani e sono sostenuti dall'Iran, il quale a sua volta da tempo proclama la necessità di perpetrare un grande genocidio ai danni di Israele. La Cisgiordania è controllata dall'Autorità Palestinese, che si è dimostrata pragmatica e moderata. Detto ciò, va però anche ricordato che Gaza resta un luogo di immense povertà, disperazione e miseria. Ed appare dunque ancora più assurdo e tragico che questa comunità di profughi palestinesi sia controllata da un gruppo di cinici assetati di guerra dediti alla causa della distruzione di Israele e che considerano qualsiasi cittadino israeliano come una loro vittima più che legittima. Gaza merita molto meglio di Hamas.
Se dunque è indispensabile che il governo dello Stato israeliano faccia del suo meglio per stipulare immediatamente il cessate il fuoco con Hamas a Gaza, resta anche prioritaria la ripresa dei negoziati di pace con l'Autorità Palestinese in Cisgiordania, e, anzi, proprio di questi tempi tali sforzi vanno raddoppiati. I termini delle intese sono ormai ben noti a tutti: tornare ai confini precedenti il conflitto del giugno 1967 con leggere reciproche modificazioni tracciate di comune accordo; due città- capitali a Gerusalemme; non deve esistere alcun insediamento ebraico all'interno del territorio del futuro Stato palestinese e va imposta un'autentica demilitarizzazione nelle regioni che Israele dovrà evacuare. Sarà di grande aiuto l'impegno della comunità internazionale nel favorire gli accordi tra Stato israeliano e dirigenti palestinesi in Cisgiordania. In particolare l'Europa potrebbe giocare un ruolo trainante incoraggiando, aiutando e rassicurando entrambi i contendenti chiamati comunque a fare reciprocamente gravose concessioni e ad assumersi una lunga serie di rischi.
L'intesa tra Israele e l'Autorità palestinese sulla falsariga di questi principi è giusta e possibile. E io ritengo che, se Israele avrà il coraggio di concludere la pace con i responsabili palestinesi della Cisgiordania, alla fine seguirà anche quella con Gaza. Ma, lo ripeto, il primo passo deve essere un immediato cessate il fuoco con Hamas, accompagnato dal raddoppio degli sforzi per giungere all'intesa con l'Autorità palestinese. L'alternativa è semplicemente troppo orribile per essere presa in considerazione.

Antonio Ferrari: " Hamas ha ignorato le lezioni della storia, e ora sta pagando"

«Che disastro! I leader di Hamas non hanno saputo neppure far tesoro della lezione dell'Hezbollah libanese. Non hanno valutato le conseguenze, forse non erano e non sono in grado di valutarle».
È chiaro e duro Elias Zananiri, ex portavoce del governo palestinese, oggi apprezzato analista politico. Non è un uomo che si rifugi nelle scorciatoie ipocrite, è uno che non ha paura di dire ciò che pensa. «E penso che le parole di Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah, dopo la guerra del 2006 con Israele, fossero un'importante lezione. Disse: "Se avessi immaginato le conseguenze per il mio Paese in questa guerra, probabilmente non avrei neppure ordinato il rapimento dei soldati israeliani". Fredda e realistica analisi dei fatti. Hamas, invece, ha continuato a provocare Israele, pretendendo di ignorarne la supremazia schiacciante, e ora è arrivata la devastante risposta. Quando non si vogliono imparare le lezioni della storia, si rischiano errori fatali».
Risposta devastante, che però potrebbe rafforzare proprio Hamas. «Non so. Hamas sta cercando di manipolare l'opinione pubblica. Le immagini televisive mostrano devastazioni, ma spesso non si dice che la stragrande maggioranza delle vittime sono miliziani. Mi creda, le uniche vere vittime sono i palestinesi di Gaza. Vittime due volte. Vittime degli israeliani e vittime della cecità di Hamas».
Cecità, d'accordo. Ma che cosa ne guadagna l'Autorità nazionale palestinese guidata dal presidente Abu Mazen?
«Non so se guadagni o se perda. Il presidente è il nostro capo, legittimamente eletto. Lei potrebbe obiettare che anche il primo ministro Ismail Haniye è il leader di un partito che ha vinto le elezioni. Ma non si può pretendere di essere primo ministro e guidare un esecutivo quando si rifiuta ostinatamente il dialogo con l'Olp, con i laici del Fatah, e si pensa soltanto al potere. Magari con l'idea di trasformare la Striscia di Gaza in un mini-stato islamico, con la legge della Sharia, e pensare di esportarla poi nei Paesi vicini, come l'Egitto e la Giordania. Come si può attaccare il presidente Hosni Mubarak e poi chiedergli di trovare una soluzione ai nostri problemi? Che fallimento!».
Fallimento sì, ma chi se ne avvantaggia? Israele?
«Non pensiamo ai vantaggi, pensiamo alle vittime, ai nostri fratelli palestinesi. Il gioco di Hamas è mortale, non ha senso. Non si può respingere sempre il dialogo; non si può pretendere di governare comportandosi come un'organizzazione rivoluzionaria e basta; non si può cercare il consenso con la costrizione. Israele non ha agito di sorpresa, da tempo aveva annunciato che se fosse ripreso il lancio di missili Qassam avrebbe risposto duramente. La risposta è stata ordinata da un governo dimissionario senza alcuna contestazione. La politica, se se ne è capaci, significa saper decidere lucidamente nell'interesse del popoli, valutando i pro e i contro. Non mi sembra che Hamas abbia dimostrato di saperlo fare. Però mi consenta di essere ottimista. Non so quanto continuerà questo disastro, ma in fondo al tunnel vedo una luce di speranza. Che si arrivi, dopo questa durissima prova, ad un dialogo vero tra tutte le componenti palestinesi».

Guido Olimpio; " La nave che svela le trame iraniane a Gaza "

Teheran ha investito tanto nella causa palestinese e non vuole perdere neppure questa occasione per estendere la sua influenza. L'ayatollah Alì Khamenei ha emesso una fatwa con la quale esorta a difendere «con ogni mezzo» Gaza e ha proclamato per oggi un giorno di lutto. Da un porto iraniano è intanto salpata una nave che in 12 giorni raggiungerà la Striscia provando a violare il blocco. A bordo vi sarebbero dottori e 3 mila tonnellate di aiuti. Il cargo segue una rotta che gli iraniani hanno già usato per portare materiale bellico e che è emersa in modo clamoroso nel gennaio 2002. In quell'occasione la Marina israeliana intercetta un mercantile, la Karine A, con a bordo 50 tonnellate di armi che devono essere trasferite a terra all'interno di contenitori galleggianti semi-sommergibili. A gestire il traffico ufficiali della Forza Qods, lo speciale apparato iraniano che assiste movimenti guerriglieri e terroristi. Da quell'episodio l'Iran ha provato a proteggere meglio un flusso continuo di equipaggiamento bellico. Certamente si tratta di un arsenale modesto — insignificante se paragonato a quello israeliano — sufficiente però a tenere in piedi l'apparato militare di Hamas e a conquistarsi la riconoscenza dei palestinesi. E di conseguenza i rapporti del movimento con gli ayatollah si sono ampliati. Una situazione ben diversa rispetto al passato.
Per anni Teheran ha puntato sulla più malleabile Jihad islamica e ha guardato con cautela ad Hamas, che, forte della sua base popolare e gelosa della propria autonomia, non si è mai trasformata in un docile burattino. Ma da quando Gaza è diventato l'Hamastan le cose sono cambiate. L'indice del mutamento nei rapporti è dato dai finanziamenti iraniani: 30 milioni di dollari nel 1993, 120 nel 2006, oltre 350 nel 2007. Più l'embargo anti-Hamas si è fatto soffocante e più Teheran ha trovato spazi per infiltrarsi. Lungo quest'asse si è sviluppata la cooperazione militare. Diverse centinaia di militanti, in particolare membri delle Brigate Al Kassam, sono andati ad addestrarsi in Iran alle tecniche di guerriglia. Consiglieri khomeinisti hanno compiuto il percorso inverso stabilendo a Gaza un team di assistenza. Gli iraniani hanno fornito nuovi mortai — da 120 mm, raggio d'azione 10 chilometri — che sono una copia di un «pezzo» israeliano. Poi sono arrivati razzi Grad, capaci di raggiungere un bersaglio a 40 chilometri. Teheran ne ha sviluppato una versione «ad hoc» per l'export clandestino con un raggio ridotto (16 chilometri): si smonta e si rimonta abbastanza in fretta. Li puoi celare nelle stive di un peschereccio oppure li fai passare nelle gallerie. Gerusalemme sostiene che nell'ultimo anno sono ripresi i traffici via mare. Sempre i consiglieri iraniani hanno migliorato la catena di montaggio a Gaza e oggi le piccole officine di Hamas possono costruire ordigni in grado di arrivare fino a 21-22 chilometri. Li hanno battezzati Nasser 4 e il costo unitario è di appena 400 dollari. Merito dell'intraprendenza dei tecnici e dei buoni suggerimenti ricevuti.

Francesco Battistini: " Lo scudo anti-kassam ? Il tavolo da cucina "

DAL NOSTRO INVIATO
ASHKELON (Israele) — «Tzeva adom!». Codice rosso. Per chi suona la sirena, lo capisci dopo il botto. Il Qassam non fa mai lo stesso fischio. Il Grad non ha mai la stessa traiettoria. A volte sibilano, altre s'avvitano. Se ti tocca, ti tocca. E non c'è precauzione che tenga. Gaza laggiù fuma di morte eppure spara, anche oggi. Sputi disperati. Sono appena piovuti cinque razzi, ne caleranno altri cinque in giornata, i crateri nei prati sembrano fosse pronte da riempire, gli occhi di Moshe Kalifa sono traversati da cattivi presagi: «Ieri stavo a Netivot e hanno colpito il mio quartiere. Oggi sono venuto qui a fare spesa e ne è arrivato un altro...». Ad Ashkelon, le fermate dei bus sono scudi di cemento.
L'ospedale più grande, il Barzilai, s'è trasferito nei sotterranei. I parchi giochi hanno la campana d'emergenza. E se giri in auto, raccomanda la polizia, devi tenere sempre il finestrino abbassato, la cintura slacciata, la sicura disattivata e soprattutto la radio spenta: altrimenti non la senti, la sirena.
E magari sta suonando proprio per te.
Aspettando la vendetta. L'altra metà della storia è questa qui. L'altra metà del massacro di Gaza è il terrore di questo Sud. Nella Striscia, la censura militare israeliana vieta d'entrare ai giornalisti. Nel triangolo della paura, Ashkelon-Sderot-Netivot, la propaganda li incoraggia a venire. Qui c'è mezza verità, ma pur sempre una verità. Al caffè Giò, l'autogrill dei camionisti che fino a qualche mese fa uscivano dall'Hamasland, pochi chilometri dopo il muro di Eretz, c'è David, il proprietario, che chiude a chiave le porte vetrate: «Non l'ho mai fatto, ma non ho mai avuto questa paura». Paura della rappresaglia: i razzi di stamattina sono caduti più lontano e dicono che allora è vero, i consiglieri iraniani hanno lavorato bene.
Anche David è un immigrato, sa che questo triangolo è stato disegnato da un boom dietro l'altro: quello demografico, cominciato nel 1991 col ritorno degli ebrei di Russia e Marocco; quello dei Qassam, cominciati 7 anni fa e conteggiati nell'ufficio di Noam Bedein, direttore del Media Center governativo, che ha segnato sul tabellone la tacca dei settemila razzi. «Una volta questo non era un posto così — racconta Yakob Grant, 28 anni, bancario da San Pietroburgo —. Nel '94 mia nonna comprava la verdura da un palestinese di Gaza, la pagavamo meno ed era più buona. A gennaio le è finito un Qassam sulla casa. Due mesi in ospedale».
Un israeliano su dieci è disoccupato, da queste parti, e costruirsi un rifugio in casa è un lusso. Le bombe su Gaza sono benvenute, nessuno si commuove per le donne e i bambini ammazzati — «i palestinesi, che si buttino a mare e se li piglino gli squali! » grida un esaltato davanti al supermarket Mirage — ma nessuno dimentica che cinque mesi fa c'è voluta una legge apposita della Knesset per garantire un tetto per tutti, un tetto rinforzato, e c'è voluta una sentenza della Corte Suprema perché questa legge venisse applicata, e ci vorrà ancora del tempo perché tutti abbiano davvero un rifugio dove andare. «Io vivo con mia nonna — racconta Ortal Ysralh, 19 anni — il nostro scudo è il tavolo della cucina. I muri sono fatti di gesso e fil di ferro. Non abbiamo i soldi per pagarci qualcosa di meglio, e una donna anziana non ce la fa a correre in uno shelter appena squilla la sirena. Dal governo non è mai arrivato uno shekel per la nostra sicurezza ». I rifugi sono diventati sinagoghe o asili, racconta Ortal: «Ma quando c'è la sirena e corriamo dentro, a volte li troviamo chiusi. Mio papà una volta ha preso il cacciavite e ha smontato la serratura, per far entrare la gente. Tra un paio di settimane, comincio il servizio militare. Vorrei andare nell'intelligence. O magari entrare a Gaza, prima e poi, per dare la caccia a quelli là».
L'ironia popolare dice che Sderot è il posto peggiore, per chi vuole smettere di fumare. Shani Peretz, 26 anni, è una bellissima e speciale immigrata che non toccava sigaretta, quando stava a Londra: suo papà, il baffuto Amir, è stato una speranza della sinistra e il ministro della Difesa nell'ultima, disastrosa guerra del Libano; sua mamma, Achlama, in novembre s'è candidata a sindaco ed è stata sconfitta con una lista che univa, caso unico, la destra Likud e i laburisti di Barak (ha vinto David Buskila, che rivendica antiche radici siciliane e sostiene d'essere un lontano parente dell'ex calciatore azzurro Totò Schillaci). «Non so a che cosa serva tutto questo — dice Shani —. La guerra non risolve. Avremo altri morti, qui non so come si vivrà. Ma peggio d'adesso è impossibile. Non si poteva più aspettare il razzo senza fare nulla. Vorrei però che il governo israeliano si ricordasse di noi sempre, non solo quando c'è da risolvere la pratica Hamas ».
Lungo la strada centrale di Netivot, sbiadiscono al sole i manifesti della campagna elettorale, strillano che «bisogna cambiare direzione» o «dare speranza a chi non ne ha più». Due operai in pausa pranzo siedono su una panchina e masticano semi di girasole. Placidi, parlano di faccende religiose. Di paura, neanche parlarne: «Voi arrivate oggi, noi viviamo qui da sempre. Se suona la sirena, ci mettiamo lì dietro gli alberi. Abbiamo semi per una settimana: basteranno?».
Francesco Battistini Ispezione I resti di un razzo a Sderot

Francesco Battistini: " Gaza nuovi raid, Israele prepara l'attacco di terra "

DAL NOSTRO INVIATO
NETIVOT (Israele) — «Abbiamo imparato la lezione del 2006, in Libano. Non ci facciamo più fregare. Queste guerre si vincono dal cielo e dal mare. L'attacco di terra ci sarà, ma solo se necessario. Non vogliamo perdere soldati inutilmente. Il 95 per cento delle nostre bombe ha colpito con precisione i 240 bersagli che avevamo in lista. L'elenco è stato fornito dal governo, noi abbiamo eseguito. Oggi, in quattro minuti, abbiamo distrutto quaranta tunnel. Meglio di così non potevamo fare ». Il meglio è nell'opinione d'un alto ufficiale di Tsahal, l'esercito israeliano. E' la seconda sera di Piombo Fuso, l'operazione che ha ustionato ma non incenerito Hamas, e nel peggio di queste 48 ore di guerra su Gaza ci sono altre cifre: quasi 300 morti e 620 feriti, secondo fonti imparziali, 400 e 950 secondo i medici palestinesi.
«Sono finiti i teli funebri per avvolgere i cadaveri — racconta Ala Majid, dal pronto soccorso —, usiamo le lenzuola sporche dei nostri letti. Ci sono almeno sessanta gravissimi che moriranno nei prossimi giorni, se non li portiamo fuori di qui. La gente dona il sangue, ma stanno finendo anche le sacche per conservarlo».
La Striscia fuma nero, là dentro, e fuori fumano i motori dei tank pronti a entrare. Centocinquanta blindati, seimilacinquecento riservisti mobilitati. Ehud Barak, il ministro della Difesa, conferma che l'attacco di terra è un'opzione probabile. «Non c'interessa andare a stanare i capi di Hamas», dice al telefono l'ufficiale israeliano, perché «rovesciare un regime politico non fa parte dei piani militari». L'obiettivo numero uno è distruggere tutte le postazioni da cui partono i razzi: il 50% è andato a pezzi nei raid, ma ieri da Gaza ne sono partiti altri 150 in un solo giorno, senza colpire granché ad Ashkelon, Sderot, Gan Yavne e Ashdod. Non solo Qassam, stavolta: «I Grad sono la dimostrazione che hanno da parte ancora roba pericolosa».
I tunnel che collegano Gaza con l'Egitto sono stati quasi tutti seppelliti: ci passavano gli aiuti umanitari, i medicinali, ma anche le armi. I nuovi raid stanno spingendo proprio verso il confine egiziano gli effetti di questa guerra: il valico di Rafah è stato sfondato da centinaia di palestinesi in fuga. Stavolta, però, Mubarak (preallertato dagl'israeliani) ha mandato ambu-lanze, container, ma anche tremila soldati di rinforzo. Ci sono stati scontri, spari: uccisa una guardia egiziana, una decina di palestinesi feriti.
Preoccupa anche il fronte nord. Gli Hezbollah libanesi chiamano la gente in piazza, oggi a Beirut, e Nasrallah ha messo «in allerta» i suoi miliziani al confine israeliano, senza però minacciare guerre. Il leader sciita soffia sul fuoco, invita i fondamentalisti a organizzare uno sfondamento a Rafah: «Può la polizia uccidere milioni d'egiziani? ».
Intanto, scontri violenti sono scoppiati in serata in diverse località della Galilea, tra arabi- israeliani che protestavano per gli attacchi e la polizia. Al lancio di pietre, gli agenti hanno risposto con lacrimogeni per disperdere i manifestanti.
Nella notte, l'aviazione israeliana ha colpito anche l'Università islamica di Gaza. Sulle radio della Striscia, una voce registrata disturba e interrompe spesso le trasmissioni: è lo speaker israeliano, che spiega «non ce l'abbiamo con la gente, ce l'abbiamo con Hamas». E' la guerra mediatica invocata da Tzipi Livni, che dà risultati anche sul fronte interno: secondo un sondaggio tv, l'82% degli israeliani appoggia l'attacco.

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