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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.07.2008 Se ne vadano
i caschi blu considerano i terroristi di Hezbollah alla stregua di "combattenti"

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 luglio 2008
Pagina: 15
Autore: Giuliano Gallo
Titolo: «Il saluto dei Caschi blu italiani a Hezbollah: «Solo rispetto per i caduti»»

 Lo Stato maggiore della Difesa italiano ricorda, per difendere il saluto militare alla salme dei terroristi di Hezbollah riconsegnate da Israele che 
"al sacrario di Redipuglia, che custodisce le salme di 100 mila soldati morti nella guerra '15-'18, ogni anno viene deposta una corona per i morti italiani e una per quelli austriaci".

Non ci risulta però che in nessuna cerimonia ufficiale lo Stato italiano commemori i morti delle Brigate Rosse. Hezbollah è un'organizzazione terroristica, dunque i suoi morti sono paragonabili a quelli dell'organizzazione terroristica italiana, non certo ai soldati austriaci nella seconda guerra mondiale.

Il saluto militare ai terroristi  conferma ciò che il riarmo di Hezbollah, ormai abbastanza forte da impossessarsi di fatto dello Stato libanese suggeriva da tempo: Unifil 2 non serve a niente, perché nasce da una politica (quella dell'Onu e del governo italiano che ne ottenne al nostro paese il comando) che volontariamente ignora la realtà del Medio Oriente.

Dal CORRIERE della SERA del 23 luglio 2008:

ROMA — Due militari immobili sugli attenti, uno che emerge dalla torretta di un blindato dipinto di bianco, l'altro accanto al portellone dello stesso mezzo. In testa hanno un elmetto e un basco azzurri: sono soldati di Unifil, il contingente di pace schierato nel sud del Libano. Soldati italiani, della brigata Garibaldi. E stanno rendendo omaggio a un camion che trasporta sette bare. È una foto scattata da un fotografo dell'Associated Press a Tiro, al confine con Israele, il giorno dello scambio di prigionieri fra Israele e Libano. Sul camion, oltre alle bare ricoperte da bandiere libanesi, che contengono i resti di uomini di Hezbollah, campeggia anche un grande ritratto di Imad Mughniyeh, il capo militare di Hezbollah ucciso il 12 febbraio scorso a Damasco con un'autobomba.
Un attentato mai rivendicato, ma che tutto il mondo arabo ha fin dal primo istante attribuito ai servizi segreti israeliani.
Ufficialmente Israele aveva subito negato ogni coinvolgimento, ma l'ex responsabile del Mossad Danny Yatom aveva definito l'uccisione di Mughniyeh «un gran risultato nella lotta del mondo libero contro il terrorismo: Mughniyeh è stato uno dei maggiori e più crudeli terroristi di tutti i tempi. Da tempo i servizi di intelligence di diversi paesi erano sulle sue tracce, chi è riuscito a colpirlo ha dato prova di estrema intelligenza e grande capacità operativa».
La foto, pubblicata da diversi giornali, ha provocato l'indignata reazione dell'ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Dan Gillerman, che ha chiesto il rimpatrio immediato dei due militari. Ma al comando di Unifil non si sono scomposti più di tanto: «I due soldati hanno obbedito a una tradizione che risale alla notte dei tempi, e che accomuna tutti i soldati del mondo — dice il colonnello Enrico Attilio Mattina, portavoce militare di Unifil —. Una tradizione che impone il rispetto per i morti in guerra, a prescindere dalla divisa che indossavano».
Quel saluto, dice il colonnello Mattina, «non è legato allo scambio fra Israele e Libano: Unifil è sempre stata equidistante, e questo ci è stato riconosciuto sia da Israele che dai libanesi».
Anche allo Stato Maggiore della Difesa, dal quale dipende il contingente italiano schierato in Libano, preferiscono evitare qualsiasi polemica: «Vorremmo solo ricordare che al sacrario di Redipuglia, che custodisce le salme di 100 mila soldati morti nella guerra '15-'18, ogni anno viene deposta una corona per i morti italiani e una per quelli austriaci».


Saluto Soldati italiani omaggiano i feretri libanesi e la foto di Mughniyeh, di Hezbollah ( Ap) Giuliano Gallo

lettere@corriere.it

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