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Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.06.2008 Romano confonde ancora le carte
replica e controreplica sul Libano

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 giugno 2008
Pagina: 29
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Israele e fattorie di Sheba, carta buona per due tavoli»

Il 22 giugno 2008 il CORRIERE della SERA pubblica una lettera di Emanuel Segre Amar   a Sergio Romano e la risposta dell'ex ambasciatore.
Le pubblichiamo oggi, insieme alla replica di Segre Amar, che bene evidenzia la scorrettezza di Romano.

Ecco il testo:


«Che sventura quella del Libano, sottomesso agli appetiti dei suoi potenti vicini»! E, fra questi, ancora una volta lei volutamente trae in inganno il suo lettore, additando, con Iran e Siria, anche Israele, reo di ancora «detenere le fattorie di Sheba, conquistate durante la guerra del 1967». Eppure lei dovrebbe ben sapere che anche l'Onu ha dichiarato che quei pochi metri di terra mai appartennero al Libano, ma furono sottratti alla Siria. Israele ha restituito al Libano la sovranità su tutti i territori occupati in occasione delle guerre, mentre con la Siria non è mai arrivato, almeno per il momento, ad alcun accordo che giustificasse il ritiro.
Visto che questo è stato il suo primo articolo sull'argomento, beh, direi che davvero non si smentisce neanche in questa occasione. Non resta che aspettare le prossime puntate. Mi permetto di osservare: poveri lettori del Corriere, così ingannati!
Emanuel Segre Amar
segreamar@fastwebnet.it
Caro Segre Amar,
T
ralascio le sue annotazioni sulla mia persona perché non desidero occupare lo spazio della rubrica facendo l'avvocato di me stesso e vengo al tema della sua lettera che potrebbe maggiormente interessare i lettori, soprattutto in questi giorni.
Il punto in discussione è un fazzoletto di terra, le Fattorie di Sheba, incastrato tra la valle libanese della Bekaa, le Alture del Golan e la punta più settentrionale del territorio israeliano. E' lungo nove km, largo due km e mezzo e comprende in tutto ventidue km quadrati. Gli israeliani lo occuparono durante la guerra dei Sei giorni e lo considerarono parte del territorio siriano conquistato nella stessa occasione. Quando abbandonarono il Libano meridionale nel maggio del 2000, le Nazioni Unite certificarono il ritiro dal territorio libanese e accreditarono in tal modo la tesi secondo cui le Fattorie di Sheba dovevano considerarsi siriane. Ma il Libano non ha mai smesso di rivendicare Sheba ed Hezbollah si è servito di tale rivendicazione per giustificare la propria struttura militare. Finché un pezzo di terra libanese è in mano di Israele — ha dichiarato più volte in questi anni il «partito di Dio» — abbiamo il diritto e il dovere di armarci e combattere. Il governo siriano, dal canto suo, non ha mai contraddetto esplicitamente la posizione del governo di Beirut. Non era nel suo interesse, evidentemente, privare l'alleato Hezbollah dell'argomento di cui si è servito per rifiutarsi di rinunciare alle proprie armi. Sta di fatto comunque che sulle Fattorie di Sheba esistono due rivendicazioni: quella esplicita dei libanesi e quella tacita dei siriani.
Israele ne è perfettamente consapevole e sa di possedere una carta che può essere giocata indifferentemente su due tavoli. Negli scorsi giorni il governo israeliano ha fatto sapere ai libanesi di essere pronto ad aprire negoziati e a discutere con Beirut di tutte le questioni aperte fra cui, per l'appunto, quella delle Fattorie di Sheba. Ha deciso di giocare la sua carta sul tavolo libanese? Lo ha fatto per dare agli Stati Uniti, dopo il recente viaggio di Condoleezza Rice a Gerusalemme e a Beirut, una prova di buona volontà? Vuole togliere a Hezbollah l'argomento che gli ha consentito di mantenere un esercito composto da circa 40.000 uomini? Vuole mettere alla prova i rapporti che legano la Siria a Hezbollah? Vuole puntellare la traballante la posizione del premier Ehud Olmert, insidiato da un'azione giudiziaria? Sono domande a cui soltanto il negoziato con la Siria e quello con il Libano, se Beirut accetterà di trattare, potranno dare una risposta. Nel frattempo mi limito a osservare che Israele non è mai prigioniero della propria linea ufficiale e che chiede spesso ai suoi amici e alleati di assumere posizioni da cui è il primo, se necessario, a discostarsi. Lo ha dimostrato negli scorsi giorni riconoscendo di fatto Hamas e potrebbe dimostrarlo ancora una volta nei prossimi mesi.

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Dottor Sergio Romano,
il mio intervento era volto a contestare la sua affermazione perentoria
che Israele dovrebbe mettere fine al proprio contenzioso col Libano
restituendo le fattorie di Sheba sottratte appunto al Libano nel 1967.
Solo grazie alla pubblicazione della mia lettera il lettore meno informato
è ora al corrente del fatto che il controllo passato, da parte del Libano,
non è comunque così certo come da lei scritto.
In un documento dell'allora Segretario Generale delle Nazioni Unite Kofi
Annan del 22.5.2000 è chiaramente riportato che, in contrasto con quanto
reclamato dal Governo libanese in un suo documento del 15.5.2000 (documento
che appunto reclama la proprietà libanese sulle fattorie di Sheba), le
Nazioni Unite sono in possesso di 10 documenti dei passati governi del
Libano, dal 1966 in avanti, tutti unanimi nel riconoscerne la proprietà alla
Siria. E sta anche scritto che la stessa Siria, dal 1966, ha
inviato, a sua volta, 6 documenti ufficiali alle Nazioni Unite nei quali
rivendica il possesso di tali fattorie.
E' quindi scorretto quanto lei scrive ora di una rivendicazione esplicita
libanese ed una tacita dei siriani!
Mentre  dovrebbe riconoscere che  mantenere 40000 uomini in armi da parte di
Hezbollah, adducendo a pretesto queste terre reclamate, è:
1) in contrasto con la risoluzione ONU del 2006 che proibisce sia la
detenzione di armi nel sud del Libano, sia l'importazione di armi da parte
di gruppi politici senza l'esplicito consenso del governo centrale.
2)  una grave forma di pressione nei confronti sia degli ultimi due governi
libanesi, sia di tutte le realtà politiche libanesi che siano in disaccordo
con Hezbollah.
3) un fatto che nessun paese democratico, come il Libano continua a cercare
di essere, può permettere sul proprio territorio.
Per questa ragione ritengo sia scorretto presentare solo una parte delle
rivendicazioni o dei tanti fatti che hanno reso così tragicamente complessa
la questione. Per poi dire, come è suo costume, che la responsabilità è di
Israele. Affermazione che non stupisce più di tanto, visto che lei considera
l'Iran, stato dei Mullah, un paese"secolare" ! ( l'ha scritto il 20.6 us in
risposta ad un lettore).
Emanuel Segre Amar

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lettere@corriere.it

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