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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.05.2008 Vuoi conoscere i fatti ? Non chiedere a Sergio Romano
l'ex ambasciatore disinforma su Sabra e Chatila

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 maggio 2008
Pagina: 35
Autore: Sergio Romano
Titolo: «I CAMPI DI SABRA E SHATILA LA TRAGEDIA E I SUOI EFFETTI»

Sul CORRIERE della SERA del 27 maggio 2008, Sergio Romano risponde a un lettore che gli chiede informazioni storiche sul massacro di Sabra e Chatila, compiuto nel 1982 dai falangisti cristiani libanesi.

Purtroppo, Romano non fornisce una corretta informazione storica, ma mezze verità, falsità, distorsioni.

Eccone un elenco, con i nostri commenti:

1) "Israele voleva impedire alle formazioni palestinesi di utilizzare il territorio libanese per operazioni di guerriglia, ma si proponeva altresì uno scopo meno confessabile: la tutela di un piccolo Stato vassallo, nel Libano meridionale, governato per procura dalle milizie cristiane del maggiore Saad Haddad".


Romano dimentica che i cristiani libanesi in Libano erano perseguitati e massacrati dall'Olp e dai suoi alleati, e si difendevano. Dimentica che Israele aveva buoni rapporti con Bechir Gemayel, cristiano eletto alla presidenza del Libano: in un quadro che salvaguardava l'unità del paese. Dimentica i massacri di civili israeliani compiuti nel corso delle "operazioni di guerriglia" compiute dalle "formazioni palestinesi". Forse per evitare di usare la parola "terrorismo" 

2)"L'operazione sarebbe stata condotta dalle milizie cristiane, ma gli israeliani, installati a 200 metri da Shatila, crearono una cinta intorno ai campi e fornirono i mezzi necessari all'operazione. Il massacro durò due giorni e provocò, secondo stime difficilmente verificabili, circa 3.000 vittime".

Da questo passo sembra che l'"operazione" del massacro di Sabra e Chatila fosse concordata tra Israele e falangisti.Il che è falso.  Il massacro si inserisce nel quadro di uno scontro permamente quanto naturale e duro fra falangisti e palestinesi.  Sabra e Chatila fu uno dei tanti episodi di scontro, nel quale ebbe la meglio, e nel modo più crudele, il gruppo falangista.

3) "Il massacro durò due giorni e provocò, secondo stime difficilmente verificabili, circa 3.000 vittime".

Perché Romano sceglie le stime più alte, benché "difficilmente verificabili" ?

4) " In Israele vi fu una grande manifestazione di protesta, a cui parteciparono quattrocentomila persone, e venne costituita una commissione d'inchiesta che attribuì a Sharon la responsabilità del massacro e lo costrinse a dimettersi".

La commissione d'inchiesta escluse in realtà una responsabilità diretta di Sharon nel massacro, gli imputò soltanto il non averlo saputo prevenire ed evitare. La responsabilità venne invece attribuita ai falangisti cristiani libanesi.

5)Ma la maggiore e più grave ricaduta politica del massacro fu l'apparizione di un nuovo nemico: un movimento politico e religioso che si chiamò Hezbollah, «partito di Dio», e riunì i gruppi di militanti sciiti che avevano sino ad allora partecipato in ordine sparso alla guerra civile

In realtà, l'affermazione di Hezbollah in Libano è dovuta alle condizioni di emarginazione della comunità sciita, e soprattutto all'attivismo dell'Iran, deciso ad esportare la rivoluzione islamica khomeinista.

6) "Fu quello il momento in cui la lotta contro Israele smise di essere prevalentemente laica per divenire anche e soprattutto religiosa".

Già nel 48 il muftì di Gerusalemme, Haji Amin Al Husseini, primo capo del terrorismo palestinese, vedeva la lotta contro il nascente stato di Israele come una jihad


Di seguito, la lettera e il testo completo della risposta di Romano:

Grazie a un recente film è tornato alla ribalta, dopo 26 anni, il massacro degli arabi palestinesi nei campi di Sabra e Shatila alla periferia di Beirut. Contrastanti sembrano essere le opinioni sulle effettive responsabilità dell'accaduto, ma comunque non convincenti: può aiutarmi a capire come andarono realmente le cose?
Michele Toriaco
Torremaggiore (Fg)

Caro Toriaco,
L' esercito israeliano invase il Libano nel giugno 1982 mentre da sette anni infuriava in quel Paese la guerra civile. Israele voleva impedire alle formazioni palestinesi di utilizzare il territorio libanese per operazioni di guerriglia, ma si proponeva altresì uno scopo meno confessabile: la tutela di un piccolo Stato vassallo, nel Libano meridionale, governato per procura dalle milizie cristiane del maggiore Saad Haddad. Vi fu quindi, sin dall'inizio dell'operazione, una sorta di collusione tra forze israeliane e gruppi cristiani.
Dopo avere sconfitto rapidamente le forze siriane e palestinesi schierate alla frontiera, i 75.000 uomini del corpo di spedizione israeliano puntarono sui campi profughi, vivaio delle reclute che Yasser Arafat arruolava tra le famiglie di coloro che avevano abbandonato la Palestina nel 1948 e nel 1967. Gli invasori speravano che l'operazione avrebbe permesso l'annientamento dell'Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina) e la cattura, «vivo o morto», di Arafat. Ma dovettero accontentarsi di un accordo, negoziato grazie alla mediazione degli Stati Uniti, che avrebbe permesso a una parte delle milizie palestinesi (circa 15.000 uomini) di lasciare il Paese verso la fine di agosto.
In quegli stessi giorni il Libano ebbe finalmente un nuovo presidente nella persona di Bashar Gemayel, leader delle Falangi cristiane. Ma la sua presidenza durò soltanto sino al 14 settembre quando il capo dello Stato morì con venticinque uomini in un attentato organizzato forse dai siriani. Fu quello il momento in cui il governo Begin e il suo ministro della Difesa Ariel Sharon decisero di occupare nuovamente Beirut per espellere i palestinesi rimasti nella città. L'operazione sarebbe stata condotta dalle milizie cristiane, ma gli israeliani, installati a 200 metri da Shatila, crearono una cinta intorno ai campi e fornirono i mezzi necessari all'operazione. Il massacro durò due giorni e provocò, secondo stime difficilmente verificabili, circa 3.000 vittime. In Israele vi fu una grande manifestazione di protesta, a cui parteciparono quattrocentomila persone, e venne costituita una commissione d'inchiesta che attribuì a Sharon la responsabilità del massacro e lo costrinse a dimettersi.
L'operazione non impedì ai palestinesi di riorganizzarsi ed espose Israele alle critiche della società internazionale. Ma la maggiore e più grave ricaduta politica del massacro fu l'apparizione di un nuovo nemico: un movimento politico e religioso che si chiamò Hezbollah, «partito di Dio», e riunì i gruppi di militanti sciiti che avevano sino ad allora partecipato in ordine sparso alla guerra civile. Fu quello il momento in cui la lotta contro Israele smise di essere prevalentemente laica per divenire anche e soprattutto religiosa. E fu quello infine il momento in cui l'Iran, dove gli Ayatollah avevano conquistato il potere poco più di tre anni prima, poterono contare su un amico libanese di cui si sarebbero serviti, da allora, per influire sugli avvenimenti della regione.

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