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Corriere della Sera Rassegna Stampa
26.03.2008 I paesi arabi inseguono il nucleare. Sarà solo civile ?
cronaca e analisi di Viviana Mazza e Guido Olimpio

Testata: Corriere della Sera
Data: 26 marzo 2008
Pagina: 16
Autore: Viviana Mazza - Guido Olimpio
Titolo: «Emirati: progetto da 100 milioni per il primo Stato arabo nucleare - Corsa all'atomo nel Golfo L'85% dei Paesi lo vuole»

Dal CORRIERE della SERA del 26 marzo 2008 un articolo di Viviana Mazza sul programma nucleare degli Emirati Arabi Uniti e di altri paesi arabi:

L'uranio sarà importato, non arricchito localmente, per fugare ogni dubbio sul possibile uso militare del programma
Gli Emirati Arabi Uniti potrebbero essere il primo Stato arabo a dotarsi di un programma nucleare. Per fini pacifici, precisano le autorità. La scelta è condizionata però sia da motivi energetici ed economici che da motivi politici, secondo gli esperti. È infatti anche una reazione al programma nucleare dell'Iran, che il Consiglio di sicurezza dell'Onu, diviso, non riesce a fermare.
Pochi giorni fa il governo degli Emirati ha approvato l'investimento di 100 milioni di dollari in un'agenzia nazionale per lo sviluppo dell'energia nucleare. Li aiuterà la Francia di Nicolas Sarkozy con cui a gennaio gli Emirati hanno firmato un accordo di cooperazione nucleare. E un consorzio di aziende francesi ha presentato piani per la costruzione di due reattori ad acqua leggera di terza generazione, che promettono di essere funzionali in 8-15 anni. L'uranio sarà importato, non arricchito localmente, per fugare i dubbi sul possibile uso militare del programma.
Gli Emirati sostengono di aver bisogno del nucleare per la desalinizzazione dell'acqua e per produrre elettricità per la popolazione in crescita a Dubai e Abu Dhabi. E vogliono aumentare la capacità energetica senza intaccare i proventi dell'esportazione di petrolio (sono l'8˚ produttore al mondo, ma anche il 3˚ esportatore). «La desalinizzazione negli Emirati e nel Golfo è un problema reale», conferma al telefono dagli Stati Uniti Tariq Khaitous del Centro Studi sulla proliferazione al Monterey Institute. «Inoltre gli Emirati hanno progetti industriali che richiedono energia. Ma questo programma nucleare è anche un segnale: la Francia sta dicendo all'Iran che è possibile farlo in pace rispettando le regole». Sarkozy ha dichiarato a gennaio che i Paesi musulmani hanno diritto al nucleare civile. Ma diversi di questi Paesi erano già da tempo scesi in pista nella corsa al nucleare. Insieme agli altri 5 Stati del Consiglio per la Cooperazione del Golfo — organizzazione economica di cui sono parte anche Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, Kuwait, Yemen e Oman — gli Emirati avevano nel 2006 commissionato uno studio per mettere in piedi un programma nucleare comune con scopi pacifici, sotto la supervisione dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (hanno persino offerto all'Iran di unirsi a loro). Ora si stanno muovendo da soli anche Arabia e Qatar. L'interesse per il nucleare in Medio Oriente e in Nord Africa è grande: va dalla Libia all'Algeria, dal Marocco all'Egitto (che proprio ieri ha siglato un accordo con Mosca) e si fonda spesso su reali esigenze energetiche, secondo diversi esperti. Ma c'è chi teme una corsa alle armi nucleari in competizione con l'Iran. Il vicepresidente del Council on Foreign Relations Gary Samore assicura che quello degli Emirati «non sarà un progetto di armamento nucleare. Oltretutto sarà costruito, operato e monitorato da stranieri». Ritiene che la strategia nucleare di molti Stati arabi «nasce in parte da motivi politici» ma più che influenzare l'Iran, per lui, «vogliono rassicurare la propria popolazione». Khaitous invece crede che la corsa al nucleare sia anche un chiaro avvertimento all'Iran dai suoi vicini: per ora rispondono con programmi nucleari civili, ma se quello di Teheran diventasse militare potrebbero adeguarsi. «Anche se ci vorrebbe molto tempo — sottolinea —. Oltretutto, l'appoggio politico della comunità internazionale potrebbe venir meno. Se la crisi iraniana non sarà risolta, nessuno vorrà troppi Stati nucleari nella regione».

Un'analisi di Guido Olimpio sui programmi nucleari dei paesi del Golfo:

WASHINGTON — «Le regole sono cambiate, ognuno vuole sviluppare il proprio programma nucleare », ha affermato il moderato e filo- occidentale re Abdallah di Giordania. Parole pronunciate oltre un anno fa e che rappresentavano bene quello che stava — e sta — accadendo dal Medio Oriente al Golfo Persico. Oltre una dozzina di Paesi hanno deciso di sviluppare il settore atomico. Una mossa dettata da tre timori. Il primo è rappresentato dalla «bomba sciita», ossia il progetto iraniano per dotarsi di un'arma atomica. Il secondo è l'equilibrio del terrore con Israele, potenza non convenzionale da quasi 40 anni e dotata di oltre 200 ordigni. Il terzo è pensare ad una energia alternativa al petrolio. Un desiderio fatto proprio dai summit arabi e ribadito dai singoli governi. Lo slogan è semplice e chiaro: abbiamo diritto anche noi al nucleare. Uno studio ha fornito una tabella di comparazione interessante: l'85% dei Paesi del Golfo (escluso l'Iraq) è interessato all'atomo contro il 15% degli stati del Sud America e del 20% dell'Africa. Persino il Sudan, alle prese con problemi interni significativi, ha espresso «interesse» verso il settore.
La maggior parte dei progetti sono condotti d'intesa con l'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, che periodicamente invia i suoi ispettori per assistere chi vuole sviluppare un progetto civile. L' ombrello neutrale che dovrebbe servire da garanzie contro manovre clandestine. Ma gli esperti temono che alcuni degli Stati possano condurre piani segreti.
«Vogliamo fare tutto il modo trasparente e soprattutto è nostro desiderio che l'intera regione sia libera dalle armi di distruzione di massa », proclamano solennemente le fonti ufficiali saudite. Più volte, però, nel corso di questi ultimi anni si sono levati dubbi sulle vere intenzioni del regno. Rivelazioni in serie hanno raccontato di un accordo con la Cina, dei contatti con gli scienziati pachistani e della creazione di impianti di natura militare. In particolare sarebbe stata costruita una grande base sotterranea sotto l'oasi di El Solayil destinata a ospitare missili di nuova generazione e un centro di ricerche sofisticato. Stesse — se non più ampie — le preoccupazioni a riguardo della Siria che lavorerebbe all'atomica con l'assistenza della Corea del Nord. Un caso portato alla ribalta da un misterioso raid compiuto da Israele, il 6 settembre, contro un impianto nel nord del Paese.
A nord ovest, in un'area non meno instabile, i turchi hanno svelato di voler realizzare tre impianti. Il primo dei quali sorgerà a Sinop, sul Mar Nero. Un po' più a sud, l'Egitto di Hosni Mubarak ha ribadito che il nucleare rientra «nella nostra sicurezza nazionale». Il Paese dispone già di un reattore commerciale a nord del Cairo — lo hanno costruito gli argentini — ed ha l'intenzione di un svilupparne un secondo a El Dabaa. I piccoli ma ricchi Emirati Arabi Uniti sono stati tra i più determinati nel tradurre le dichiarazioni di impegno in atti concreti stanziando 100 milioni di dollari per finanziare la ricerca. Ed hanno trovato un partner nella Francia, che già collabora con numerosi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente.
La voglia di nucleare, appaiata a spese militari costanti, è seguita con molta attenzione dagli analisti americani indipendenti, che ritengono troppo morbido l'atteggiamento dell'amministrazione Usa. Il loro giudizio è che i progetti se, da un lato, sono ancora in una fase iniziale ed esistono problemi tecnici da risolvere, dall'altro non rappresentano la ricetta indicata per un'area dove non mancano motivi di tensione. «È come se volessimo spegnere il fuoco della proliferazione con un secchio di benzina», è stata la battuta di Henry Sokolski, direttore del «Non proliferation policy education center».
Tre fattori all'origine dell'escalation: paura della bomba di Teheran, equilibrio del terrore con Israele, ansie sul dopo-petrolio Teheran Mahmoud Ahmadinejad, 51 anni, sesto presidente dell'Iran

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