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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.12.2007 La giustizia islamica e i musulmani "moderati"
un intervento di Ayaan Hirsi Ali

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 dicembre 2007
Pagina: 30
Autore: Ayaan Hirsi Ali
Titolo: «Se la giustizia dell'islam cancella la compassione»

Dal CORRIERE della SERA del 9 dicembre 2007:

Si è molto parlato, in queste ultime settimane, di tre vicende in cui abbiamo visto all'opera una giustizia islamica da far sobbalzare inorriditi i musulmani moderati.
Una ventenne di Qatif, in Arabia Saudita, ha raccontato di essere stata rapita da un branco di uomini e più volte stuprata. I giudici, tuttavia, hanno dichiarato colpevole la vittima stessa. Il crimine di cui si è macchiata prende il nome di khilwa, «mescolanza »: quando è stata rapita, la ragazza era in macchina assieme a un uomo con il quale non aveva alcun vincolo di sangue o di matrimonio, e in Arabia Saudita tutto ciò è illegale. Così, lo scorso mese ha ricevuto una condanna a sei mesi di reclusione e 200 frustate con una canna di bambù.
Duecento frustate sono sufficienti per uccidere un uomo di robusta costituzione. Di solito, alle donne vengono inflitte non più di 30 frustate alla volta, e ciò significa che per sette settimane la «ragazza di Qatif», com'è generalmente soprannominata dai media, vivrà ogni giorno l'incubo del prossimo incontro con la giustizia islamica. Anche quando sarà rilasciata, sicuramente la sua vita non tornerà più alla normalità: si è già appreso come il fratello abbia tentato di ucciderla perché, con il suo «crimine», avrebbe infangato l'onore della famiglia.
Abbiamo visto la giustizia islamica all'opera anche in Sudan, quando l'insegnante britannica Gillian Gibbons, 54 anni, è stata condannata a 15 giorni di carcere prima che, qualche giorno fa, il governo sudanese le concedesse la grazia: ha rischiato di essere punita con 40 frustate. Aveva appena iniziato un progetto di lettura e, dopo avere portato in classe un orsetto di peluche, ha invitato i suoi alunni a scegliere quale nome dargli. Qualcuno suggerì «Maometto», e lei non si oppose. Tanto è bastato per incriminarla di blasfemia.
C'è poi la storia di Taslima Nasreen, 45 anni, scrittrice bengalese che difende con coraggio i diritti delle donne nel mondo musulmano. Costretta a lasciare il Bangladesh, da qualche tempo vive in India. I gruppi musulmani di quel Paese, però, ne chiedono l'espulsione, e c'è chi ha messo una taglia di 500 mila rupie sulla sua testa. Lo scorso agosto, Taslima è stata aggredita da alcuni militanti musulmani a Hyderabad, e di recente è dovuta fuggire da Calcutta e poi dal Rajasthan. Il suo visto scadrà tra poche settimane, e Taslima teme che non le venga rinnovato.
Si sente spesso dire che l'Islam sia stato «egemonizzato » da un gruppuscolo estremista di fondamentalisti radicali. Quasi tutti i musulmani, secondo queste voci, sono moderati.
Dove sono, però, costoro? Dove sono i musulmani che levano la propria voce contro le terribili ingiustizie in vicende come queste? Quanti musulmani sono disposti a puntare i piedi e scandire — nel caso della «ragazza di Qatif» — che una giustizia del genere è agghiacciante, brutale e fanatica; e che, chiunque ne abbia decretato la legittimità, e in qualunque momento storico ciò sia avvenuto, essa non deve essere più tollerata? Di solito, gruppi musulmani come l'Organizzazione della Conferenza islamica si affrettano a lavare ogni affronto all'immagine dell'Islam. Nel 2003, rilasciai un'intervista in cui affermavo che, a giudicare secondo gli standard occidentali, più d'un precetto del profeta Maometto sarebbe inconcepibile. Poco dopo, la stessa organizzazione, che rappresenta 57 Stati musulmani, ha inviato quattro ambasciatori in Olanda per un incontro con l'allora leader del mio partito (il Vvd di Jozias Van Aartsen, ndt),
cui hanno chiesto di estromettermi dal Parlamento. Qualche anno dopo, gli ambasciatori musulmani in Danimarca hanno protestato contro le vignette sul profeta Maometto e invocato un'azione legale contro gli esecutori del crimine.
Tuttavia, sebbene gli episodi in Arabia Saudita, Sudan e India abbiano contribuito a danneggiare l'immagine della giustizia islamica molto più che una decina di vignette raffiguranti il profeta Maometto, le organizzazioni che, a suo tempo, si schierarono contro l'«odiosa ingiuria» inflitta dai danesi all'Islam, oggi non proferiscono parola.
Sarebbe bello, se ci fossero più islamici moderati. Mi piacerebbe, ad esempio, sentire che cosa ha da dire al riguardo un famoso teologo musulmano della moderazione, Tariq Ramadan. Dinanzi a episodi di concreta sofferenza e reale crudeltà in nome dell'Islam, tuttavia, tutte queste organizzazioni, che tanto hanno a cuore l'immagine del-l'Islam, rispondono prima di tutto con una secca smentita. Ci dicono che non c'è traccia di violenza nel Corano, che l'Islam è sinonimo di pace, che è tutta colpa di un complotto degli estremisti e di una campagna diffamatoria, e così via. Intanto, però, si allunga l'ombra dell'evidenza.
La legge islamica rappresenta un'istituzione solida e autorevole, che gode — almeno in teoria — dell'appoggio di oltre un miliardo di individui e, nella culla dell'universo musulmano, costituisce la «legge della terra». Rileggete, però, il versetto coranico in testa a quest'articolo: ancor più che sull'ingiunzione a frustare gli adulteri, l'enfasi è posta sull'obbligo di non mostrare alcuna compassione. È quest'intimazione a seguire Allah al di là di quel che dice la propria coscienza a imprigionare i musulmani in una mentalità retriva ed estremista.
Se i musulmani moderati ritengono che non si debba mostrare alcuna compassione verso la «ragazza di Qatif », cos'è dunque che li rende davvero tali?
Quando il sentimento di compassione e gli scrupoli di coscienza di un musulmano «moderato» cozzano con i precetti di Allah, egli dovrebbe assecondare i primi. Fino a quando ciò non avverrà molto più spesso, l'Islam moderato non potrà che restare una chimera.
Global Viewpoint
Distribuito da Tribune Media Services
traduzione di Enrico De Sero


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