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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.07.2007 Mariane Pearl fa causa ad Al Qaeda
perché sia fatta piena luce sulla decapitazione del marito Daniel

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 luglio 2007
Pagina: 14
Autore: Guido Olimpio
Titolo: «La vedova di Pearl fa causa ad Al Qaeda»
Dal CORRIERE della SERA del 20 luglio 2007:

E' il fascicolo 07 cv-2908, presentato davanti alla Corte distrettuale di New York. Mariane Pearl contro Ahmed Omar Saeed Sheikh. Quarantanove pagine per sollecitare giustizia. Con questa mossa legale, la moglie di Daniel Pearl, il giornalista del
Wall Street Journal assassinato in Pakistan nel 2002, muove guerra ad Al Qaeda e ai suoi complici. Mariane ha citato 23 persone, coinvolte su più livelli, nell'omicidio, così come la Habib Bank, accusata di aver finanziato movimenti estremisti pachistani. Nel documento compaiono i nomi di Ahmed Sheikh, il presunto autore dell'orrendo assassinio già condannato a morte da una corte in Pakistan, e di Khaled Sheikh Mohammed, la mente dell'11 settembre. Quest'ultimo, in una drammatica confessione resa ai militari americani, si è assunto la responsabilità del gesto: «Ho decapitato con la mia benedetta mano destra l'ebreo americano Daniel Pearl. Per coloro che vogliono delle conferme ci sono le mie foto su Internet mentre tengo la sua testa».
Mariane, che oggi vive in Francia e fa la giornalista, non ha mai smesso di lottare per fare chiarezza. Un impegno in memoria del marito, che non ha mai potuto conoscere suo figlio Adam. Mariane era infatti incinta quando il giornalista venne ucciso. Risvolti umani e politici raccontati nel film appena uscito con Angelina Jolie nel ruolo della donna.
«Sto cercando la verità», ha affermato Mariane auspicando che le indagini possono scavare a fondo nella complessa trama. Una rete di complicità che ha coinvolto non solo gli estremisti legati ad Ahmed, ritenuto il capo della cellula e uno degli esecutori materiali, ma anche i fiancheggiatori. Nelle pagine inviate alla Corte, si sostiene che la Habib Bank - che ha smentito qualsiasi coinvolgimento - ha garantito trasferimenti finanziari per due associazioni caritatevoli, la Al Rashid Trust e la Al Akhtar Trust Int, ritenute vicine al qaedismo.
Ma il risvolto è solo l'ultimo dei molti angoli oscuri di questa storia. A cominciare dal movente. Quando venne rapito, Pearl indagava sulle possibili connessioni tra Richard Reid, il fallito attentatore con le scarpe bomba, e i fondamentalisti pachistani. Seguendo una pista, è arrivato a Karachi dove è stato rapito da un gruppo di jihadisti, torturato, quindi ucciso. Una fine documentata con video - girato due volte «perché la prima non era venuta bene», ammetteranno i killer - e fotografie. Una esecuzione mediatica che anticiperà quelle poi viste a decine in Iraq.
Il principale imputato resta Ahmed Sheikh, personaggio di spicco dell'integralismo e al centro di intricati dossier. Ma in prigione sono finiti altri due sospetti: Naeem Bukhari e Faisal Batthi, membri del gruppo Lashkar-e-Jhangvi. La loro detenzione è stata tenuta nascosta dai pachistani che solo un mese fa hanno ammesso di averli arrestati.
Ancora più misteriosa la vicenda Saud Memon, un commerciante di Karachi proprietario del magazzino dove venne trovato il corpo mutilato del reporter. L'uomo, catturato nel 2003 in Sudafrica, sarebbe stato preso in consegna dagli americani e portato a Guantanamo, anche se il suo nome non è mai stato incluso nella lista dei prigionieri. Consegnato - sempre in segreto - al Pakistan nel 2006, è stato rinvenuto privo di vita nei pressi della sua abitazione il 28 aprile. La famiglia, che non aveva più sue notizie da tempo, sosteneva che fosse divenuto uno dei tanti desaparecidos pachistani. Ed è stata giudicata di facciata la versione dei medici, per i quali l'uomo è deceduto perché malato di «tubercolosi e meningite».
La morte di Memon ha rafforzato i sospetti sulle connessioni pachistane. Sono in molti a ritenere che elementi deviati dell'Isi, il servizio segreto locale, fossero a conoscenza del complotto. Questo perché gli 007 mantengono, da anni, un filo sotterraneo quanto diretto con lo jihadismo dell'area. Un'alleanza basata sia sulla comune fede religiosa che sugli interessi regionali. I mujaheddin del Laskhar, ad esempio, sono stati usati da Islamabad in funzione anti-indiana. E dunque - sostengono alcuni esperti - le autorità pachistane, oggi loro stesse vittime del terrorismo islamista, temono rivelazioni imbarazzanti sul caso Pearl. Che andrebbero ad aggiungersi a quelle sulle complicità garantite ad Al Qaeda. Nell'ultimo rapporto dell'intelligence Usa si precisa infatti che la rete eversiva si starebbe riorganizzando proprio nell'area tribale sfruttando lo scontro tra i clan e il presidente Musharraf. Non sarebbe una sorpresa se picconando, con maggior vigore, contro questo muro di omertà saltassero fuori risvolti inediti sul fine di Pearl.
La presunta confessione di Khaled Sheik Mohammed potrebbe rientrare in questo schema. Forse davvero l'ex general manager di Al Qaeda era presente al momento della decapitazione. Ma non si può escludere una manovra di depistaggio, un tentativo di proteggere altri segreti. Una matassa di affari, terrorismo e spie ben raccontata nel suo libro-inchiesta sull'omicidio Pearl da Bernard Henry Levy. Chi è coinvolto è disposto a tutto pur di difendere questa alleanza pericolosa.

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