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Corriere della Sera Rassegna Stampa
09.12.2006 Parla il padre di Gilad Shalit
nel racconto di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 09 dicembre 2006
Pagina: 2
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Il padre del soldato Shalit,»

Gilad Shalit è stato rapito il 25 giugno 2006. Davide Frattini, sul CORRIERE della SERA di oggi, 9/12/2006, incontra il padre Noam. Ecco il racconto:

HILA — Ogni giorno si sveglia all'alba, esce in giardino e innaffia le piante. Il primo ultimatum stava scadendo, le ore passavano, e Noam Shalit si prendeva cura delle siepi, degli alberi di melograno. Ogni giorno, da quando suo figlio è stato rapito a trecento chilometri da qui, ripete il gesto che per lui vuol dire normalità. La normalità di un uomo tranquillo, diventato un simbolo suo malgrado: i giornali israeliani lo chiamano «eroe della pace», anche se quello che sembra cercare è piuttosto la semplice quiete di queste montagne al confine con il Libano.
Noam Shalit innaffia le piante e risponde al telefono. Parla con tutti quelli che potrebbero aiutarlo.
Parla con gli uomini di Hamas (ed è uno dei pochi israeliani a farlo), parla con i consiglieri di Abu Mazen e gli assistenti del primo ministro Ehud Olmert.
Telefona a Ghazi Hamad e discutono nell'ebraico che il portavoce di Hamas ha imparato in carcere. In questi giorni, sta preparando una visita nella Striscia di Gaza. «Sono disposto a incontrare chiunque voglia incontrare me — dice —. Ho bisogno di capire che cosa impedisca la liberazione di Gilad, soprattutto adesso che Olmert ha dichiarato pubblicamente di voler rilasciare molti detenuti. So che la questione dei prigionieri è fondamentale per la società palestinese, ma non può essere messa sulle spalle di mio figlio. Non sono abbastanza grandi». Dopo il sequestro, si era infuriato con i ministri israeliani che proclamavano quanto fosse importante non negoziare per ristabilire il potere di deterrenza. «Non possono scaricare questo peso su di un ragazzino».
Usa formule politiche, non è un politico. Alle elezioni di marzo non ha votato, per non rinunciare a un fine settimana sul Mar Rosso. Eppure per i giornali è diventato un leader, capace di riempire in parte quel vuoto al potere denunciato dallo scrittore David Grossman, un altro padre che quest'estate ha perduto il figlio Uri nella guerra contro gli Hezbollah. «Noam Shalit è fatto di un materiale diverso — commenta Gili Heskin sul sito Ynet —. Ha dimostrato a tutti, a noi e ai nostri nemici, che in mezzo a questo terribile mare di morte che rischia di farci affogare ci sono ancora isole di umanità ed esseri umani».
Così quando dodici colpi dell'artiglieria israeliana sono finiti fuori bersaglio e hanno centrato le case di Beit Hanoun, a nord di Gaza, Noam Shalit è andato a trovare i parenti dei diciannove morti e i feriti ricoverati in un ospedale israeliano. È andato a incontrarli con un messaggio: «Siamo tutti vittime della stessa follia». Lo stesso che ripete con la sua voce smorzata, mentre indica dove un katiuscia sparato dagli Hezbollah è caduto quest'estate: «Gli estremisti da una parte e dall'altra trascinano la maggioranza in un conflitto che non vorrebbe». Un messaggio che i palestinesi hanno sentito: «Vogliamo ringraziarlo. Ci spezza i cuori, che il suo cuore già provato dal rapimento del figlio si commuova per noi».
Prima di diventare il personaggio che non avrebbe voluto diventare, Noam aveva evitato interviste e apparizioni pubbliche. «Poi ho pensato a Ron Arad. Per me è il segnale rosso d'allarme. La famiglia all'inizio accettò la linea del governo di non parlare troppo della vicenda e se ne pentono ancora oggi che non è tornato a casa dopo vent'anni. Non voglio permettere che ci si dimentichi del caso di Gilad, che tra gli alti e bassi dei negoziati, si finisca col non parlarne più». E ha pensato al fratello gemello, rapito ventitré anni fa nei primi giorni della guerra del Kippur. «Venne ucciso subito. L'esercito aspettò a dare la notizia ai miei genitori fino a quando non mi trovarono. Stavo combattendo nel Sinai».
A 52 anni si è trasformato da ingegnere del colosso locale Iscar a stratega delle pubbliche relazioni. La settimana scorsa ha incontrato Javier Solana, l'Alto rappresentante dell'Unione Europea, e ai diplomatici di Parigi ha invece ricordato che suo figlio, come lui, ha anche un passaporto francese. Tira fuori da una busta le foto di Gilad: in divisa da carrista, con i pantaloncini corti e lo zaino il giorno della partenza per il servizio militare («È ancora un ragazzino, appena uscito dal liceo, sembra che stia partecipando a una gita scolastica»).
Il 28 agosto è andato con la moglie e gli altri due figli nel kibbutz di Kerem Shalom, dove Gilad è stato rapito, per celebrare il suo ventesimo compleanno. «Abbiamo lasciato andare dei palloncini in cielo e ho letto un messaggio per lui». I palloncini sono volati dall'altra parte, verso la Striscia di Gaza, al di là dei reticolati e sopra la sabbia del deserto che nasconde il rifugio dove suo figlio è prigioniero dal 25 giugno

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