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Corriere della Sera Rassegna Stampa
15.08.2006 D'Alema a braccetto di Hezbollah
sono queste le premesse della missione italiana in Libano

Testata: Corriere della Sera
Data: 15 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «D'Alema tra le macerie «Ora una pace vera» - Il deputato Hezbollah accanto al ministro: l'Onu non interferisca»
Dal CORRIERE della SERA del 15 agosto 2006 una cronaca del tour propagandistico organizzato da Hezbollah tra le macerie lasciate dai bombardamenti israeliani a Beiurut :
Una replica di analoghe visite guidate organizzate per la stampa internazionale, esclusivamente nei pochi quartieri di Beirut colpiti dalla bombe (perchè  militarizzati da Hezbollah).
Messe in scena che suscitarono le proteste dei giornalisti meno disposti a divenire strumento della guerra mediatica di Hassan Nasrallah, ma non certo del nostro ministro degli Esteri, "equivicino"...  ad Hamas e a Hezbollah, all'Iran e alla Siria.
Ecco l'articolo:


BEIRUT — Davanti ai giornalisti arabi interessati a sapere quando arriveranno nel Sud del Libano i soldati italiani, Massimo D'Alema ha rinunciato alla vaghezza che accompagnava le versioni di Palazzo Chigi e Farnesina. «Potrebbero partire nel giro dieci giorni, due settimane. Anche se dipende dal governo libanese e dalle Nazioni Unite», è stata la risposta del ministro degli Esteri, durante la sua visita di ieri a Beirut, sul dispiegamento della forza voluta dall'Onu per tenere lontani da Israele i guerriglieri di Hezbollah. In vista di quel momento, nella città bombardata sino a poche ore prima dall'aviazione dello Stato ebraico D'Alema è sembrato porsi innanzi tutto un obiettivo: evitare che il «Partito di Dio» abbia motivo di attaccare il contingente italiano.
Si è seduto a tavola con un ministro di Hezbollah, il vicepresidente del Consiglio del nostro Paese. È successo nel Grand Serrail, l'equivalente del Palazzo Chigi di Beirut, il una colazione offerta dal premier Fouad Siniora. Non erano in due, c'era quasi tutto il governo libanese. Ma per avere idea del valore politico del fatto basta un precedente. Prima di ammalarsi, Ariel Sharon si arrabbiò con Gianfranco Fini, allora titolare della Farnesina, perché il nostro ambasciatore Franco Mistretta aveva incontrato un ministro di Hezbollah, Mohamad Fneich, responsabile per l'Energia. Ieri a tavola con D'Alema c'era Trad Hamade, ministro del Lavoro, stesso partito. Fneich era altrove. Degli altri due sciiti presenti, i ministri degli Esteri Fawzi Salloukh e dell'Agricoltura Nawwar el Salili, almeno il primo è in buoni rapporti con il partito contro il quale Israele ha combattuto una guerra. «Una guerra che è stata una tragedia per tanti civili, una tragedia anche politica. Ora ci vuole una pace vera», ha dichiarato D'Alema dopo essere andato tra le rovine dei quartieri sciiti di Beirut sud (seguito da un'auto non richiesta con bandiera di Hezbollah). «In quelle macerie ho visto quanto è cresciuta la popolarità dei leader più estremisti», ha detto il ministro giudicando negativa l'offensiva di Israele, Paese al quale ritiene vada garantita comunque «sicurezza».
Per il resto D'Alema ha lasciato capire ai padroni di casa di non giudicare inopportuno il contatto con la parte di loro in conflitto con lo Stato ebraico. «Abbiamo fatto colazione con l'intero governo del Libano. È stato molto interessante per noi, e un grande onore», ha riferito proprio il ministro italiano alla stampa, locale e non. In Svizzera o in Svezia sarebbe stata una frase di maniera, protocollare. Nel Paese che ha bisogno di 15mila caschi blu per provare a tenere distanti i razzi di Hezbollah da Israele, non era scontata.
D'Alema ha fatto presente che per schierare la forza dell'Onu è indispensabile l'invio rapido al Sud dei 15mila soldati libanesi. Ma è lui stesso a sostenere: «In 10 giorni vanno messe nel conto numerose violazioni del cessate il fuoco. Finché ci sono militari stranieri sul suolo del proprio paese c'è un diritto di resistenza riconosciuto anche dall'Onu. Bisogna vedere se poi viene esercitato, e qui sta un'equilibrio delicato...». Delicate erano state le manovre necessarie per far atterrare l'aereo degli apparati dello Stato che ha portato Libano D'Alema e alcuni giornalisti. Discesa a vista, atterraggio in pista ridotta. Benché gran parte della città sia intatta, dalle zone sciite colpite prima del cessate il fuoco scattato alle 7 si alzavano tre nuvole di fumo. Poi, tra le tappe del giro del ministro, una Nabih Berry, sciita che chiese una mediazione all'Italia quando Hezbollah lo indicò come negoziatore sugli israeliani catturati. D'Alema: «Berry ritiene che la questione va trattata direttamente con i gruppi che hanno i prigionieri. Chi ci chiamava a quel ruolo non lo reputa più attuale».

CON IL DEPUTATO DI HEZBOLLAH Il ministro degli Esteri Massimo D’Alema sui luoghi dei bombardamenti a Beirut

Di seguito, l'intervista al deputato di Hezbollah, che chiarisce il rifiuto, da parte del gruppo terroristico del disarmo richiesto dall'Onu :

TIRO (Libano) — Il disarmo dell'Hezbollah?
«È una questione interna libanese. Nessuno ha diritto di interferire, neppure l'Onu», risponde secco Hussein Haji Hassan per telefono dal suo ufficio di Beirut. Deputato dell'Hezbollah dalla metà degli anni Novanta, docente di bio-chimica con laurea presa a Parigi, grazie al suo francese perfetto Haji Hassan è spesso mandato dalla sua organizzazione a ricevere le personalità straniere. E infatti ieri ha avuto il compito di accompagnare Massimo D'Alema a visitare i quartieri sciiti di Beirut sud colpiti dalle bombe israeliane.
Con il ministro degli Esteri italiano avete parlato del cessate il fuoco?
«Certo, ho spiegato che la sua tenuta dipende dagli israeliani. Perché noi siamo pronti a rispettarlo alla lettera. Se loro non sparano e non riprendono l'aggressione, noi non spariamo».
Cosa gli ha detto durante la visita a Beirut?
«Gli ho fatto vedere gli effetti terribili della barbarie israeliana contro la nostra popolazione. Non servono molte parole, è bastato girare tra le macerie».
Avete parlato di un'eventuale mediazione italiana per lo scambio di prigionieri tra voi e Israele?
«No non è stato uno dei temi trattati tra noi e non penso ne abbia parlato in altra sede. Ma quello italiano è un governo amico, non avremmo alcun problema nel caso cercasse di mediare per risolvere la questione prigionieri».
Gli italiani manderanno un contingente militare destinato a rafforzare la forza di pace Onu nel Libano meridionale. C'è il rischio che si scontri con la vostra milizia armata?
«Gli italiani non sono nostri nemici. Come non lo è nessuno dei Paesi che invierà militari per la forza di pace in Libano. Sono più che benvenuti, noi siamo pronti a cooperare pienamente con loro. I problemi semmai potrebbero venire da Israele. Già in passato i suoi soldati hanno sparato contro le forze Unifil qui nella nostra regione».
Israele sostiene di avere ucciso 6 miliziani dell'Hezbollah nelle ore seguenti l'entrata in vigore del cessate il fuoco.
«Questo lo dicono loro. Personalmente non ho ricevuto alcuna conferma dai nostri comandi. Potrebbe rivelarsi l'ennesima menzogna israeliana».
L'Hezbollah è pronto a disarmare i suoi uomini almeno a sud del fiume Litani?
«È un tema che va discusso tra le forze politiche libanesi. Nessuno ha il diritto di interferire, neppure l'Onu. Ne parleremo tra noi a suo tempo».
Scusi, ma il suo partito dice di accettare la risoluzione Onu, che a sua volta prevede il vostro disarmo nel Libano meridionale!
«Il nostro leader, Hassan Nasrallah, ha detto chiaramente che nutre alcune riserve in merito alla risoluzione per il cessate il fuoco. La accetta, ma sul capitolo relativo al nostro disarmo la critica».
E cosa capiterà nel caso i soldati italiani o qualsiasi altro contingente Onu cercasse di levare le armi a una vostra pattuglia per esempio a Bint Jebail, gli sparerete contro?
«Non capiterà perché la missione Onu si coordinerà con il governo libanese e il suo esercito. Lo ripeto, il disarmo dell'Hezbollah può essere decretato e applicato solo dalle forze politiche libanesi. E noi cerchiamo l'unità del nostro Paese, certo non l'anarchia».

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