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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.09.2004 La sconfitta in Iraq non è inevitabile, ma potrebbe rivelarsi una profezia che si autoavvera
l'allarme di Angelo Panebianco

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 settembre 2004
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «Se l'Occidente perde in Iraq»
Che cosa accadrebbe se l'Occidente perdesse la guerra in Iraq? Le conseguenze sarebbero certamente gravi, e proprio per questo occorre non rassegnarsi alla sconfitta quando l'esito dello scontro in atto è ancora incerto. Dal Corriere della Sera di oggi, 24-09-04, un importante articolo di Angelo Panebianco:
Gli storici del futuro discuteranno all'infinito sul ruolo da assegnare alla vicenda irachena nel quadro della guerra fra l'Occidente e il terrorismo jihadista, sugli errori dell'Amministrazione Bush dopo la caduta di Saddam Hussein e sugli effetti, quali che essi siano nel lungo termine, dell'intervento in Iraq. A noi, contemporanei degli eventi, non spetta il compito di storicizzare ma di agire, poiché anche dalle nostre scelte dipenderanno gli sviluppi futuri. A fronte della gravissima situazione sul terreno, è forte la tentazione di dare già per persa la partita, di dare già per sconfitta la coalizione occidentale in Iraq e vincente il terrorismo. Il rischio è che questa convinzione funzioni da profezia che si auto-adempie: poiché prevediamo la sconfitta, ci rassegniamo ad essa rendendola così inevitabile. Partendo dall'idea che la sconfitta occidentale in Iraq sia un fatto già compiuto e che la sola cosa da decidere riguardi il momento della ritirata delle truppe, Sandro Viola (La Repubblica 23 settembre) ha scritto un acuto articolo sulle conseguenze della, da lui prevista, débâcle occidentale. Quando le truppe della coalizione si ritireranno sconfitte, dice giustamente Viola, «due diverse percezioni di quanto è accaduto in Iraq domineranno in Occidente e in Oriente. Da noi una labile e confusa coscienza della sconfitta che si cercherà in ogni modo di rimuovere. Nel mondo arabo-islamico, invece, l'esultante coscienza di una grande vittoria». La sconfitta occidentale galvanizzerà i fondamentalisti in tutto il mondo islamico e le simpatie per il jihadismo che ha umiliato l'Occidente dopo secoli di umiliazioni patite dai musulmani si diffonderanno a macchia d'olio (anche fra i milioni di islamici che vivono in Europa), i regimi musulmani moderati traballeranno ovunque. In Europa, poi, prevarrà il compiacimento fatuo di quelli «che lo avevano detto» e che, anziché sentirsi sconfitti come gli americani, ne trarranno motivo per manifestare nuova ostilità nei confronti degli stupidi e arroganti yankees. Aggiungo alle ineccepibili considerazioni di Viola il fatto che la sconfitta occidentale in Iraq, determinando un crollo verticale del prestigio americano, accrescerà l'antiamericanismo ovunque, anche in Europa. E le classi politiche europee dovranno tenerne conto, allentando i legami transatlantici. Viola ha dunque ragione tranne che su un punto: là dove auspica, poco realisticamente, che la discussione sulla sconfitta in Iraq induca l'Occidente «ad affrontare compatto, con un comune progetto difensivo (...) le conseguenze del colpo che l'America ha subito a Bagdad». Ma se si verificherà la sconfitta occidentale non ne seguirà alcun comune progetto. L'Europa sarà allo sbando pronta, di fronte al jihadismo trionfante, a venirci a patti. Per questo non si può dare già per persa la partita in Iraq. L'Iraq è come Stalingrado: se i nazisti passano lì, dilagheranno ovunque. Il furbo Zapatero lo sapeva e ritirò le truppe solo perché in Iraq, a tentare l'impresa della pacificazione, restavano comunque gli altri occidentali. Come lo sapeva la sinistra italiana che presentò una mozione di ritiro del nostro contingente solo perché consapevole che sarebbe stata respinta. Non possiamo dare per perduta la partita, non possiamo permettere che questa diventi una profezia che si auto-adempie. E che si verifichi in Iraq la sconfitta, non della sola America, ma di tutto l'Occidente. Dobbiamo fare l'impossibile per portare quel Paese alle elezioni e impedire che cada in mano ai terroristi. Nei confronti dei quali abbiamo una sola opzione, come dice giustamente il candidato democratico Kerry: fare di tutto per «distruggerli».
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