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Il Secolo XIX Rassegna Stampa
14.05.2016 Romeo e Giulietta in Israele? Non facciamo paragoni assurdi
Daniela Pizzagalli disinforma sul romanzo di Dorit Rabinyan

Testata: Il Secolo XIX
Data: 14 maggio 2016
Pagina: 37
Autore: Daniela Pizzagalli
Titolo: «Giulietta e Romeo in Medio Oriente»

Riprendiamo dal SECOLO XIX di oggi, 14/05/2016, a pag. 37, con il titolo "Giulietta e Romeo in Medio Oriente", il commento di Daniela Pizzagalli.

Scrivere di Romeo e Giulietta a proposito del romanzo di Dorit Rabinyan è assurdo: quella raccontata nel libro  della scrittrice israeliana è una storia privata d'amore tra un uomo e una donna, non una vicenda che coinvolge l'atavica ostilità tra famiglie e clan. E', questo, l'ennesimo articolo che prende spunto dalla polemica sul libro per dipingere a tinte fosche la realtà israeliana: anche questa è disinformazione, dietro cui ci saranno anche ignoranza e pregiudizi.
Per approfondire rimandiamo alla pagina pubblicata ieri da IC sull'argomento: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=274&sez=120&id=62400

Ecco l'articolo:

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Dorit Rabinyan

A NEW YORK l'amore fra un'israeliana e un palestinese, benché foriero di qualche imbarazzo, può risultare perfino trendy nel suo lato provocatorio, ma a Tel Aviv sarebbe improponibile: lo sanno bene Liat e Hilmi, i protagonisti di "Borderlife" (Longanesi, 375 pagine, 16,90 euro), il romanzo di Dorit Rabinyan cui il governo israeliano ha elargito un'insperata pubblicità proibendolo come lettura per le scuole e suscitando un'unanime levata di scudi da parte di tutti gli intellettuali che contano, a partire da Amos Oz e Abraham Yehoshua, con il risultato di renderlo un caso editoriale internazionale, di cui si parlerà domani al Salone del Libro di Torino alle 17.30 all'Arena Bookstock, con la partecipazione, oltre all'autrice, di Ferruccio De Bortoli e Moni Ovadia.

Un incontro che pare affiancare la particolarità del Salone di quest'anno: non c'è un Paese ospite, ma si offre un focus allargato e trasversale sulle culture arabe, dal Marocco all'Iran. Per fortuna il romanzo merita la propaganda, è davvero bello e coinvolgente, una sorta di "Giulietta e Romeo" mediorientale: i due giovani, lei borsista in letteratura, lui aspirante pittore, s'incontrano a New York e sono subito travolti da un sentimento che, pur avendo lo stigma della precarietà perché Liat dvrà tornare a Tel Aviv pochi mesi dopo, li avvince in una relazione totale, simbiotica, in una sorta di "borderlife" come dice il titolo, una vita sul confine ma senza confini, in cui anche gli elementi più conflittuali e i ricordi più laceranti, come il servizio militare di lei e l'arresto di lui, non fanno che avvicinarli di più, come i loro due popoli avvinghiati alla stessa terra.

Dorit Rabinyan, nata in Israele nel 1972 da una famiglia sefardita trasferitasi dall'Iran, ha in parte ricavato la storia dalla sua esperienza di studio a New York e dal suo incontro con il pittore Hassan Hourani. «Il romanzo di svolge tra il 2002 e il 2003» racconta «perché mi sono rifatta ai miei ricordi newyorkesi per descrivere i luoghi e l'atmosfera, così come i disegni di Hilmi riproducono quelli di Hassan, la serie che raffigura un bambino sognatore, fra le nuvole, che oggi mi sembra una premonizione della sua precoce scomparsa». Liat è la voce narrante, e la più incline a negare ogni futuro a un amore che mai potrebbe rivelare ai genitori, mentre Hilmi non vuole rassegnarsi. «lo amo entrambi i personaggi» dice Dorit Rabinyan «ma ovviamente sono nella pelle di Liat, mi è venuto più spontaneo descrivere le sue paure e le sue ambivalenze, quindi ho dovuto fare uno sforzo per costruire al meglio anche la figura di Hilmi. Volevo che il lettore si affezionasse a lui. Nella realtà mi comporterei come la pragmatica Liat, che sa bene quanto l'ebraismo porti all'esclusività, mentre la religione islamica è più comprensiva in questo senso. D'altronde, era proprio l'aspetto conflittuale che soprattutto m'interessava: più della storia d'amore in sé, volevo mettere in evidenza la lotta sostenuta da Liat per non lasciarsi sopraffare da quell'amore impossibile. Secondo me le inibizioni che vengono dal profondo sono più forti dei desideri stessi, è questo il tema di fondo del romanzo».

Naturalmente fra i due sorgono anche discussioni politiche. Liat propende perla soluzione di un doppio Stato: "Quanto sarebbe più proficuo uno Stato palestinese indipendente accanto a Israele. Il confine della loro libertà avrebbe definito anche la nostra pace e sicurezza". Ma Hilmi sostiene la realtà di uno Stato binazionale: "La terra è la stessa, come il cielo e il mare. E i luoghi santi sono tutti concentrati nella stessa città. Siamo inseparabili". Questo punto di vista ovviamente preoccupa Liat, timorosa davanti all'alto tasso di natalità dei palestinesi: "Come possiamo vivere sicuri noi, minoranza ebraica, in seno a una maggioranza araba musulmana e nazionalista?". Così i due innamorati, senza volerlo, finiscono per incarnare simbolicamente l'atavica rivalità dei loro popoli. «In un certo senso ho scritto un po' con il microscopio e un po' con il telescopio» spiega l'autrice «trasferendo sul piano nazionale i conflitti psicologici dei protagonisti. Ma oggi questo dibattito risulta superato. Se non si è trovato un accordo sui due Stati quando era ancora possibile, oggi che il processo di pace è congelato si profila inevitabile lo Stato binazionale, con tutte le difficoltà sul controllo reciproco».

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